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LA STRUTTURA PROPRIETARIA

Capitolo 3. STRUTTURA PROPRIETARIA, GOVERNANCE E CONTROLLO

3.2 LA STRUTTURA PROPRIETARIA

Esiste una forte correlazione tra le imprese italiane e la scelta della formula del gruppo imprenditoriale.

Il gruppo gerarchico è una struttura verticale capeggiata da una holding finanziaria (in genere con sede all’estero) da cui dipendono, direttamente o in via indiretta, varie società operative e commerciali. Anche se giuridicamente distinte queste società sono legate fra loro da rapporti di proprietà o contrattuali, al cui vertice c’è un solo soggetto economico.

Più della metà delle aziende appartenenti al sistema industriale ha effettuato tale scelta per il proprio percorso di crescita (secondo i dati dell’osservatorio sui gruppi d’impresa di

57 Barca F. et al., Assetti proprietari e mercato delle imprese, Il Mulino, Bologna 1994. 58

Centro Studi Unioncamere, Rapporto Unioncamere 2007. L’economia reale dal punto di osservazione delle Camere di commercio, Retecamere, Roma 2007, in www.unioncamere.gov.it.

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Unioncamere, in Italia operano circa 72.300 gruppi a cui fanno riferimento oltre 183.000 imprese)59. Secondo l’indagine effettuata dal centro studi Mediobanca – Unioncamere60 nel 2008 su un totale di 3.921 imprese considerate erano ben 1.140 i gruppi che avevano depositato conti consolidati. Questi dati confermano la tesi assunta da Colli61 di come cioè l’esercizio del diritto di proprietà avvenga tramite lo strumento del gruppo gerarchico. Secondo Arrighetti e Traù62, la diffusione di forme di controllo quali i gruppi di società negli ultimi anni è riconducibile ai mutamenti di contesto avvenuti negli anni novanta.

Per comprendere al meglio le ragioni che hanno condotto a questo cambiamento strutturale è necessario ripercorre l’ultima fase dello sviluppo industriale delle economie avanzate.

Nell’ultimo quarto del XX secolo il contesto macroeconomico ha visto aumentare l’incertezza e la concorrenza, determinando la fine della Golden Age delle economie industriali63.

Naturalmente il mutare del contesto ha portato ad un cambiamento sul piano organizzativo delle imprese, che hanno cercato di contrastare l’incertezza attraverso l’abbattimento dei costi, portando ad una riduzione dell’integrazione verticale. Mentre per fronteggiare la concorrenza è stato necessario abbandonare le attività “non core” (ossia una riduzione del grado di

integrazione conglomerale). L’esito di queste politiche è stato un incremento delle transazioni che dall’impresa sono state trasferite al mercato e che hanno richiesto un ampliamento

dell’offerta imprenditoriale. Questa tendenza ha incrementato il numero ed il peso economico delle imprese di piccola dimensione determinando un cambiamento significativo nella

struttura industriale. Lo sviluppo industriale si è incentrato sulla moltiplicazione delle unità produttive piuttosto che sulla crescita delle imprese già esistenti.

In un decennio, fra la fine degli anni settanta ed ottanta, si assiste all’espansione di un modello di architettura organizzativa poliarchico64. Ciò ha coinciso con un forte ricorso agli scambi di mercato con un rafforzamento delle industrie più esposte all’instabilità della domanda e meno soggette ad economie di scala e ai vantaggi derivanti dall’integrazione

59 Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 1998-2008, Milano aprile 2011, in www.mbres.it.

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Indagine Mediobanca – Unioncamere, Le medie imprese industriali italiane 2000-2009, Milano aprile 2012, in www.mbres.it.

61 Colli A., Il quarto capitalismo. Un profilo italiano, Marsilio, Venezia 2002.

62 Arrighetti A. e Traù F., “Struttura industriale e architetture organizzative: ipotesi sul “ritorno” della gerarchia”, Economia e Politica Industriale, 33, 2006.

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Questo termine sottintende l’estinzione di un regime macroeconomico caratterizzato da un elevato grado di regolazione.

64 Numerose organizzazioni di piccola dimensione selezionano, in forma decentrata e indipendentemente l’una dall’altra, quali progetti accogliere e quali rifiutare.

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verticale. I bassi costi generali per unità di prodotto e l’accentuata divisione del lavoro permettono il consolidamento di questo modello.

Negli anni novanta il contesto che aveva permesso la diffusione della poliarchia muta: il processo di de-verticalizzazione sembra arrestarsi. Si va verso un rafforzamento organizzativo e dimensionale delle imprese di media dimensione e la forma di controllo scelta diviene quella gerarchica65. Il dato che conferma il riorientamento del sistema industriale è quello che riguarda l’evoluzione di medio termine del ritmo di formazione di nuove imprese. Le

rilevazioni effettuate mostrano una flessione nei tassi di natalità delle imprese66; flessione che alla fine degli anni novanta diviene addirittura negativa, sottolineando come il contesto recessivo abbia spinto fuori dal mercato l’eccedenza di produttori marginali. I dati a disposizione di questa letteratura dimostrano che la diffusione, all’interno della struttura industriale, di un insieme di variabili di natura esogena, ed in parte endogena, abbia annullato i vantaggi garantiti dall’adozione di forme poliarchiche tutto a vantaggio di un’architettura gerarchica.

Spostando l’ottica della ricerca a livello delle medie imprese è possibile affermare che questa forma organizzativa di gruppo viene assunta come tratto distintivo del modello. Da alcune osservazioni empiriche67 effettuate sui fenomeni di gerarchizzazione vengono individuate nella forte variabilità della domanda e nella sua frammentazione le motivazioni che spingono all’adozione di forme organizzative costituite da società indipendenti rispetto a strutture più rigide, come per esempio le strutture multi divisionali68.

I processi di crescita delle medie imprese definiscono l’integrazione verticale e la differenziazione segmentale69 come le direttrici dello sviluppo, fissando una prima discontinuità con le tradizionali strutture del capitalismo italiano.

La segmentazione dei mercati70, accresciuta dai cambiamenti avvenuti nei mercati dei beni intermedi e finali, ha condotto all’attuazione di strategie di differenziazione segmentale o

65 In questo caso poche organizzazioni di grandi dimensioni sviluppano al proprio interno un processo di selezione sequenziale delle opportunità.

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Tali rilevazioni sono state effettuate da Infocamere; i dati misurano semplicemente il numero delle iscrizioni e delle cancellazioni dal Registro Imprese.

67 Balloni V. e Iacobucci D., “I nuovi protagonisti dell’industria italiana”, L’Industria, 22(4), pp. 633-675, 2001. 68 La struttura multi divisionale ha una strutturazione interna di tipo polifunzionale con divisioni, quindi articolate in funzioni. Questa struttura è tipica delle imprese con un’elevata differenziazione di prodotto, ma anche di mercato oppure rispetto alla clientela. Di conseguenza la specializzazione del lavoro direzionale è commisurata rispetto al tipo di prodotto, cliente o area geografica.

69 Per differenziazione segmentale si intende l’entrata in segmenti diversi dello stesso settore.

70 La segmentazione dei mercati è un’operazione che comporta la suddivisione del mercato in gruppi di clienti simili sulla base di variabili diverse.

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strategie di diversificazione in quanto la crescita derivante dalle strategie di espansione e penetrazione dei mercati risultava essere effimera. Inoltre è possibile riscontrare un

incremento del gap qualitativo fra segmenti per quanto riguarda le condizioni di produzione e di vendita (soprattutto nel caso della differenziazione verticale). Per ovviare a questo ostacolo una delle soluzioni attuate è l’acquisizione o la costituzione di società indipendenti71.

Di conseguenza risulta necessaria una natura giuridica indipendente per fornire alle nuove unità un’autonomia strategica ed organizzativa, richiesta dalla diversità delle nuove attività rispetto a quelle già svolte. La diffusa autonomia all’interno del gruppo è funzionale a diverse esigenze: come coniugare la diversità degli stili produttivi e commerciali, la necessità di mantenere indipendenti i diversi marchi appartenenti al gruppo, avere maggiore autonomia nelle relazioni con i clienti ed i fornitori e a livello di gruppo poter valutare in maniera efficace i risultati della nuova attività, evitando anche di diffondere il rischio al resto della struttura.

Grazie all’indagine effettuata dal Centro Studi Mediobanca – Unioncamere è possibile isolare alcune tra le motivazioni che hanno condotto gli imprenditori a capo delle società,

appartenenti alla categoria intermedia, a scegliere la formula del gruppo (le motivazioni vengono elencate in ordine di importanza):

- La possibilità di attuare economie di specializzazione (grazie alla specializzazione in differenti beni intermedi o prodotti finali, non necessariamente correlati, delle imprese appartenenti al gruppo) oppure economie di scopo (generate dalla condivisione dei costi per la creazione di prodotti diversi all’interno del gruppo). Queste economie sono frutto delle “competenze distintive” delle imprese appartenenti al gruppo;

- Esiste per alcune imprese l’esigenza di integrarsi all’interno della filiera produttiva per conseguire una maggiore efficienza attraverso il coordinamento delle diverse fasi di lavorazione. Tale processo porta alla nascita di un “unico soggetto” (il gruppo) focalizzato sul core business originario ma composto da unità produttive con buon grado di autonomia;

- La necessità di raggiungere un maggior potere contrattuale nei confronti dei clienti o dei fornitori per poter conseguire possibili economie di scala;

71 È essenziale utilizzare marchi diversi per muoversi lungo le fasce verticali di uno stesso mercato per la “vischiosità” dell’immagine di marca dei consumatori.

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- La creazione di un gruppo permette facilitazioni per quanto riguarda l’accesso al credito, sia in termini di costi che quantità;

- La formazione di una holding è talvolta utilizzata per mantenere un controllo

famigliare unitario, anche se gli eredi sono ognuno a capo di un’area specifica; quindi trovare il giusto compromesso fra l’autonomia delle singole aree gestionali ed l’unità dell’impresa. Gli imprenditori controllano solo quote partecipative minoritarie, il grosso delle azioni sono di proprietà degli eredi;

- La diffusione di un modello di holding risponde ad un aspetto connesso a benefici sul versante fiscale. Infatti esiste la possibilità, data dal sistema giuridico italiano, di “mimetizzate” le reali dimensioni dell’impresa, in quanto a holding-società di capitali fanno capo numerose società di persone generalmente a responsabilità limitata. Un altro aspetto fiscale permette la creazione di finanziarie di famiglia, suddividendo le quote di proprietà attraverso la formazione di “scatole” di controllo. Ciò permette di attenuare la fiscalità successoria. La forma di gruppo sopperisce anche alla norma del diritto successorio che obbliga a ripartire il patrimonio tra i successori, “allontanando” dalla gestione gli eredi meno capaci o meno interessati per mantenere così l’unita e il comando nelle mani del successore designato.

In conclusione è possibile affermare che nonostante l’utilizzo della struttura del gruppo d’impresa sia divenuto una prassi consolidata per il sistema produttivo italiano, la scelta effettuata dalla media impresa risulta essere di discontinuità rispetto alla tradizione. La

creazione di gruppi d’impresa non risponde principalmente a motivazioni “classiche” (quali la struttura famigliare e i benefici a livello fiscale) ma semmai “dinamiche”. Questa forma viene adattata per facilitare le strategie di integrazione all’interno della filiera con l’incremento del numero di imprese facenti parte del gruppo e per rispondere ad una logica di ampliamento e/o diversificazione della gamma produttiva. Questo aspetto dinamico trova riscontro anche in alcune valutazioni empiriche che sostengono come la scelta di tale tipologia di struttura proprietaria abbia subito una notevole accelerazione, soprattutto negli ultimi anni, in conseguenza della scelta di attuare da parte delle media impresa strategie di

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