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Il diritto internazionale può – a certe condizioni – “rimediare” ad una violazione del principio del “trattamento

e non discriminatorie

3. Il divieto di discriminazione e il principio del “trattamento nazionale”

3.1. I concetti di fondo

3.2.2. Il diritto internazionale può – a certe condizioni – “rimediare” ad una violazione del principio del “trattamento

nazionale”

Le norme contenute nelle convenzioni contro le doppie impo- sizioni rilevano poi sotto il profilo della possibile correzione delle restrizioni all’esercizio delle libertà fondamentali causate a livello di norme domestiche.

Più precisamente, poiché il diritto convenzionale integra l’ordi- namento tributario di ogni singolo Stato membro, esso può “porre rimedio” ad una situazione di incompatibilità con il diritto comuni- tario provocata da una disposizione puramente interna.

Il caso che ha per primo messo in luce questo particolare aspetto del ruolo giocato dal diritto convenzionale nel processo di integrazione negativa è Bouanich16.

La questione pregiudiziale – sollevata da una contribuente re- sidente in Francia – riguardava il trattamento che la Svezia riservava alle operazioni di riacquisto di azioni proprie emesse da società ivi residenti: ove l’azionista che procedeva al riacquisto era anch’es- so residente, l’operazione generava capital gains tassati in capo a costui previa deduzione del costo di acquisto delle azioni; ove vi- ceversa l’azionista era non residente, la stessa operazione generava dividendi tassati al lordo del costo di acquisto.

La fattispecie si presentava dunque come un caso “host”, dove lo Stato della fonte riservava al contribuente non residente – che aveva investito i propri capitali in una società ivi residente  – un trattamento diversificato rispetto a quello applicato ai soggetti re- sidenti.

La Corte, dopo aver notato che una simile differenziazione de- terminava in principio una restrizione della libera circolazione di capitali17, ha affrontato la seconda questione postagli dal giudice

16 Causa C-265/04.

17 Bouanich, § 40-41: “Si deve notare che le spese di acquisto sono diretta-

mente connesse con l’importo versato per riacquistare le azioni, di modo che i residenti e i non residenti versano, sotto tale profilo, in una situazione pa- ragonabile [rectius: “comparabile”]. Non sussiste alcuna obiettiva diversità di situazione che giustifichi una disparità di trattamento su tale punto tra le due

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nazionale: ovvero se la suddetta restrizione potesse considerarsi su- perata dal fatto che –  in base alla convenzione contro le doppie imposizioni applicabile al caso di specie (stipulata tra Svezia e Fran- cia), così come interpretata alla luce del Commentario al Modello OCSE – l’aliquota applicata dalla Svezia agli azionisti non-residenti era fissata nella misura ridotta del 15% (in luogo del 30% applicabile agli azionisti residenti) ed era ammessa la deduzione del valore no- minale delle azioni dall’imponibile sottoposto a tassazione18.

Muovendo dalla premessa che il diritto convenzionale entra a far parte dell’ordinamento tributario di uno Stato membro19, la Corte

ha riconosciuto che esso deve essere preso in considerazione al fine di accertare se il trattamento riservato ai non-residenti era – nel suo insieme – meno favorevole di quello applicato ai residenti. La relativa valutazione – da compiersi a cura del giudice nazionale tenuto conto degli accertamenti in fatto a tal fine necessari20 – doveva pertanto in-

vestire, da un lato, il “trattamento nazionale” (ricavabile dalle norme interne) applicabile ai residenti (deduzione del costo di acquisto e aliquota del 30%) e, dall’altro, il “trattamento nazionale” (ricavabile dalle norme interne e da quelle convenzionali) applicabile ai non residenti (deduzione del costo nominale e aliquota del 15%)21.

Con la sentenza Bouanich, la Corte ha individuato, pertanto, un’ulteriore modalità di interazione del trattamento nazionale di uno Stato membro con il diritto (di fonte) internazionale: quest’ul- timo entra a far parte del trattamento nazionale stesso e concorre a definirne il contenuto:

(i) non solo sotto il profilo dei benefici riservati ai soggetti-re- sidenti: tali benefici debbono essere estesi ai soggetti non residenti i quali si trovino in una situazione comparabile a quella dei residenti (come visto al precedente paragrafo);

(ii) ma anche dei benefici direttamente applicabili ai soggetti non-residenti: tali benefici possono sanare le misure restrittive nei loro confronti previste dal diritto domestico.

Questo secondo profilo è successivamente riemerso nella giuri- sprudenza in ACT IV GLO.

categorie di contribuenti. Ciò considerato, una legge nazionale come la legge 1970 discrimina arbitrariamente gli azionisti non residenti in quanto li assog- getta ad oneri maggiori di quelli gravanti sugli azionisti residenti che versano in una situazione oggettivamente paragonabile [rectius: “comparabile”]”.

18 Id., § 52. 19 Id., § 51. 20 Id., § 54. 21 Id., § 55.

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Qui la questione era sorta in relazione alla legislazione del Re- gno Unito in tema di tassazione alla fonte dei dividendi distribuiti da società ivi residenti ed alla fruibilità –  da parte dei soci non- residenti  – delle misure volte ad eliminare o attenuare la doppia imposizione economica (prima in capo alla società e poi al socio) su detti dividendi quando distribuiti a soci residenti.

La Corte ha tracciato una fondamentale distinzione sulla quale torneremo al momento di affrontare il tema della comparabilità: se lo Stato della fonte dei dividendi distribuiti a soci non residenti non assoggetta detti dividendi ad imposizione, esso non è tenuto ad estendere a favore dei predetti soci non residenti le eventuali mi- sure predisposte per eliminare od eliminare la doppia imposizione economica sui dividendi distribuiti a soci residenti, e ciò per la sem- plice ma risolutiva ragione che residenti e non-residenti non sono comparabili in relazione alla applicazione delle misure in questione visto che, mentre i primi subiscono il prelievo alla fonte, i secondi non lo subiscono22; se, invece, lo Stato della fonte dei dividendi

distribuiti a soci non residenti – unilateralmente o per il tramite di una convenzione contro le doppie imposizioni  – assoggetta detti dividendi ad imposizione, ecco che residenti e non residenti diven- gono comparabili agli effetti delle eventuali misure predisposte per eliminare o attenuare la doppia imposizione economica a favore dei primi, con la conseguenze che esse debbono essere estese ai secondi23.

Con riferimento a questa seconda ipotesi, la Corte – espressa- mente richiamandosi sul punto alla sentenza Bouanich – ha rimesso al giudice nazionale l’accertamento se l’appena menzionato obbligo di estensione risultava essere stato assolto dal Regno Unito, avendo a tal fine riguardo, non solo alle norme interne, ma anche alla con- venzione contro le doppie imposizioni che esso aveva concluso con lo Stato di residenza del socio non residente24.

Con le successive sentenze pronunciate rispettivamente nei casi Amurta25 e Commission v. Italy26 la Corte ha poi ulteriormente

precisato la portata del caso Bouanich, fissando i limiti entro i quali il diritto convenzionale può eliminare una restrizione all’esercizio di una libertà fondamentale.

22 ACT IV GLO, § 61-67. 23 Id., § 68-70.

24 Id., § 71. 25 Causa C-379/05. 26 Causa C-540/07.

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In entrambi i casi lo Stato ospitante – rispettivamente l’Olanda e l’Italia – applicava un regime impositivo differenziato ai dividendi distribuiti da società ivi residenti ai propri soci in funzione della residenza di questi ultimi27: nel caso di soci residenti, tali dividen-

di, da un lato, non andavano soggetti ad alcuna ritenuta alla fonte al momento della loro distribuzione e, dall’altro, venivano esentati (nel caso dell’Olanda) o soggetti a tassazione nei limiti del 5% del loro ammontare (nel caso dell’Italia) in capo ai soci stessi; nel caso invece di soci non residenti si applicava una ritenuta alla fonte del 25 o del 27 per cento (per quanto riguarda l’Olanda e l’Italia rispet- tivamente).

La Corte, una volta riconosciuta la sussistenza in entrambi i casi di una restrizione all’esercizio della libertà di circolazione dei capitali derivante dal diverso (e peggiorativo) trattamento riservato ai dividendi pagati a società non residenti (“covert discrimination”), ha affrontato la questione se detta restrizione fosse neutralizzata da eventuali misure adottate negli Stati di residenza delle società beneficiarie stesse e, in particolare, dalla esistenza di un credito d’imposta capace di compensare la ritenuta alla fonte applicata al momento della loro distribuzione.

I principi ribaditi dalla Corte al riguardo sono essenzialmen- te tre:

In primo luogo, e come sintetizzato dall’Avvocato generale Ko- kott nel parere reso nel caso Commission v. Italy, costituisce un principio costantemente ribadito dalla giurisprudenza che “[an] un-

favourable tax treatment contrary to a fundamental freedom can- not be justified by the existence of other tax advantages”28.

Questo vuol dire, in particolare e fra l’altro, che uno Stato membro “(…) non può invocare l’esistenza di un vantaggio con-

cesso unilateralmente da un altro Stato membro per sottrarsi agli obblighi ad esso incombenti in forza del Trattato”29.

La parola-chiave di questo arresto è dunque l’avverbio “unilate- ralmente”. Ciò lo si comprende bene dalla spiegazione che fornisce al riguardo sempre l’Avvocato generale Kokott:

“To accept the contrary would, in essence, be tantamount to

allowing a Member State to avoid its obligations under Community

27 Si trattava di dividendi per i quali non si rendeva applicabile la Direttiva nr.

90/435 c.d. “Madre-figlia” in quanto relativi a partecipazioni inferiori alla soglia minima del 25% allora vigente.

28 Parere dell’Avvocato generale Kokott in Commission v. Italy, § 50. 29 Amurta, § 78.

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law by making compliance dependent on the possible effects of the national legislation of another Member State, which may be amen- ded unilaterally at any time by that State”30.

In sostanza, il limite insito nelle misure compensative adottate da uno Stato membro rispetto alle restrizioni alle libertà fondamen- tali provocate dalla legislazione di un altro Stato membro è dato dal fatto che esse, così come vengono unilateralmente introdotte, pos- sono essere altrettanto unilateralmente eliminate senza che lo Stato membro che vi aveva fatto affidamento per rimuovere la restrizione da esso causata possa fare nulla al riguardo.

La violazione del Trattato ad opera di uno Stato membro non è, dunque, mai neutralizzata da misure compensative introdotte di propria iniziativa da un altro Stato membro.

In secondo luogo e tuttavia, non si può escludere che – come sancito in Bouanich e poi in ACT IV GLO – uno Stato membro possa evitare la violazione degli obblighi imposti dal Trattato stipulando accordi internazionali quali, in particolare, le convenzioni contro le doppie imposizioni31.

Si noti, peraltro, che vi è una differenza tra Bouanich e ACT IV

GLO, da un lato, e Amurta e Commission v. Italy, dall’altro: nei primi

due casi il trattamento di origine convenzionale che poteva astratta- mente rimediare alla restrizione costituiva parte integrante dell’ordi- namento giuridico dello stesso Stato che aveva provocato la restrizione (lo Stato della fonte); negli altri due, invece, esso era parte integrante dell’ordinamento di un altro Stato (lo Stato della residenza).

La Corte, dunque, tiene distinte le misure che lo Stato della residenza adotta unilateralmente da quelle adottate in esecuzione di convenzioni contro le doppie imposizioni: mentre le prime sono irrilevanti le seconde possono evitare la restrizione causata dallo Stato della fonte. Le ragioni della rilevanza delle convenzioni contro le doppie imposizioni agli effetti in esame è così spiegata dall’Av- vocato Kokott:

“(…) although they can be terminated, if need be, they cannot

readily be amended unilaterally32”.

La spiegazione della differenza tra le due situazioni sembra pertanto stare nella (assunta) maggiore forza di resistenza passiva che, nella opinione della Corte, assiste le norme di origine conven- zionale rispetto a quelle puramente domestiche.

30 Parere dell’Avvocato generale Kokott in Commission v. Italy, § 50. 31 Amurta, § 79; Commission v. Italy, § 36.

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Si potrebbe osservare, tuttavia, che la validità di tale assunto non è assoluta e dovrebbe essere verificata caso per caso tenendo conto della collocazione delle convenzioni internazionali (o del- le norme domestiche introdotte in esecuzione delle convenzioni medesime) nella gerarchia delle fonti di ciascuno Stato membro e, dunque, vagliare in concreto se sussistano differenze – rispetto alle procedure all’uopo necessarie –  tra la semplice modifica di una norma adottata unilateralmente ed un vero e proprio treaty

override.

D’altra parte, ed in un’ottica più ampia, potrebbe essere argo- mentato come – quale che sia lo status delle convenzioni internazio- nali all’interno di un dato ordinamento statuale – la loro violazione da parte di detto Stato resta comunque un atto unilaterale e, come tale, al di fuori del controllo dello Stato (della fonte) che si affidava ad esso per “sanare” la propria infrazione alle norme comunitarie; il che, a stretto rigore, dovrebbe rendere anche le norme di prove- nienza internazionale inidonee a siffatto scopo.

In sostanza, e concludendo sul punto, la dicotomia tra misu- re dello Stato della residenza di matrice unilaterale, da un lato, e convenzionale, dall’altro, ha sì un indubbio fondamento nel tradi- zionale principio di diritto internazionale pacta sunt servanda, per cui le seconde offrono un maggior grado di garanzia in ordine alla “stabilità temporale” del rimedio da esse eventualmente offerto alle restrizioni provocate dallo Stato della fonte; ma si tratta comunque di rimedi che non si sottraggono ad iniziative unilaterali dello Stato (della residenza) che le ha disposte.

In questo senso, l’aver assegnato rilevanza anche ai rimedi dell’altro Stato (come avvenuto in Amurta e Commssion v. Italy) potrebbe aver costituito una estensione eccessiva della valenza del principio fissato in Bouanich e ACT IV GLO dove, invece, si era ri- conosciuta rilevanza esclusivamente alle misure, pur di origine con- venzionale, dello Stato della fonte stesso.

In terzo luogo, e tuttavia, la Corte non si accontenta che lo Stato della residenza abbia adottato misure astrattamente in grado di sanare la restrizione causata dallo Stato della fonte, esigendo al contrario che la loro efficacia sia vagliata in concreto.

In Bouanich33, in Amurta34 e in ACT IV GLO35 la Corte ha affida-

to al giudice nazionale remittente la verifica in oggetto, posto che la

33 Commission v. Italy § 55. 34 Id., § 83.

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questione della possibile rilevanza della convenzione internazionale stipulato con gli Stati della residenza presupponeva accertamenti in fatto esulanti dalla sua competenza.

In Commission v. Italy, invece, è stata direttamente la Corte a non riconoscere valore alle convenzioni contro le doppie imposi- zioni stipulate dall’Italia con gli altri Stati membri (al di là del fatto che in almeno un caso, quello della Slovenia, non vi era alcuna convenzione vigente sulla quale fare affidamento), considerato che esse erano per loro stessa natura incapaci di risolvere il diverso trat- tamento riservato ai dividendi distribuiti da società residenti ai soci non residenti rispetto a quelli residenti.

Il Governo italiano aveva sostenuto che i dividendi distribuiti a società stabilite in altri Stati membri non sarebbero in realtà trattati diversamente dai dividendi distribuiti a società residenti, in quanto le convenzioni contro la doppia imposizione permetterebbero di detrarre l’imposta trattenuta alla fonte in Italia da quella dovuta nell’altro Stato membro36.

La Corte ha però precisato al riguardo che la misura conven- zionale poteva costituire una soluzione alla restrizione solo nella misura in cui la sua applicazione “(…) permetta di compensare gli

effetti della differenza di trattamento derivante dalla normativa na- zionale. Infatti, solo nell’ipotesi in cui l’imposta trattenuta alla fon- te, in applicazione della normativa nazionale, possa essere detratta dall’imposta, dovuta nell’altro Stato membro, per un ammontare pari alla differenza di trattamento derivante dalla normativa nazionale la differenza di trattamento tra i dividendi distribuiti a società stabi- lite in altri Stati membri e i dividendi distribuiti alle società residenti scompare totalmente”37.

Ebbene, ciò non avveniva nel caso di specie poiché “(…) tale

imputazione sull’imposta dovuta nell’altro Stato membro dell’impo- sta trattenuta alla fonte in Italia non è garantita dalla normativa italiana. Infatti, l’imputazione presuppone segnatamente che i divi- dendi provenienti dall’Italia siano sufficientemente tassati nell’al- tro Stato membro”38.

È vero, difatti, che in tutte le ipotesi nelle quali lo Stato della residenza esenti i dividendi in entrata oppure li assoggetti ad un prelievo inferiore a quello esercitato dallo Stato della fonte si ve- rifica che il credito d’imposta (in ipotesi) riconosciuto nello stesso

36 Id., § 35. 37 Id., § 37. 38 Id., § 39.

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Stato della residenza non può assorbire la ritenuta prelevata all’atto della loro distribuzione,

Così impostata la questione, si vede come anche le misure previste dallo Stato della residenza in ossequio ad impegni as- sunti a livello convenzionale (e che, dunque, sono astrattamente idonee ad essere prese in considerazione dalla Corte agli effetti del “superamento” di una restrizione operante nello Stato della fonte) possono finire per non essere a loro volta rilevanti. Ciò avviene, in specie quando, come nel caso Commission v. Italy, la capacità della misura di fonte convenzionale adottata dalla Sta- to della residenza di sanare la suddetta restrizione dipenda dal modo di essere del sistema impositivo dello Stato della residenza stesso, poiché in tal caso la situazione finisce per non essere dissimile da quella delle misure tout court unilaterali considerate nel caso Amurta.

In altre parole, se la misura prevista nello Stato della residenza in base alla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata con lo Stato della fonte è in grado di rimediare alla restrizione causata da quest’ultimo solo a certe condizioni dipendenti dalla struttura del proprio sistema impositivo, ecco che si torna a dover sostan- zialmente fare i conti con una misura unilaterale, con tutto ciò che – come abbiamo visto – ne discende in termini di compatibilità della suddetta misura restrittiva39.

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