• Non ci sono risultati.

La doppia imposizione giuridica internazionale non co stituisce – di per sé – una restrizione alle libertà fondamental

capitolo ii le “quasi restrizioni”

4. Divisione della giurisdizione fiscale (segmentazione della base imponibile)

4.2. La doppia imposizione giuridica internazionale non co stituisce – di per sé – una restrizione alle libertà fondamental

La posizione della Corte sulle restrizioni derivanti dall’esercizio in parallelo di due giurisdizioni fiscali e, più in particolare, sul problema della doppia tassazione di uno stesso reddito in capo allo stesso sog- getto che esso può determinare, si è, come visto poc’anzi, resa palese sin dal caso Gilly, dove si è puntualizzato che il potere degli Stati di scegliere liberamente i criteri di collegamento sulla cui scorta assog- gettare a tassazione le fattispecie con elementi di estraneità discende, “(…) in mancanza di misure di unificazione o di armonizzazione

22 Vedi al riguardo il paragrafo 5.1.1. del Capitolo III. 23 Vedi al riguardo il paragrafo 5.1.2 del Capitolo III.

62

IntegrazIone negatIva e fIscalItà dIretta

nell’ambito comunitario, in particolare in forza dell’art. 220, secon- do trattino, del Trattato, dalla competenza che hanno le parti contra- enti a stabilire, al fine di eliminare le doppie imposizioni, i criteri di ripartizione fra esse del loro potere impositivo”.24

È, infatti, a tale decisione che si richiama l’Avvocato generale Geelhoed quando sottolinea l’assenza, nell’attuale fase di svilup- po del diritto comunitario, di regole uniformi di ripartizione della potestà impositiva tra gli Stati e, dunque, la permanenza in capo a questi ultimi del potere di legiferare in materia; e non è irragione- vole, precisa altresì Geelhoed, che nel far ciò gli Stati stessi facciano riferimento ai criteri elaborati dalla prasi internazionale e, in specie, a quelli della tassazione nello Stato della “fonte” e/o della “residen- za” di cui al Modello di convenzione contro le doppie imposizioni adottato dall’OCSE25.

La sentenza che, forse meglio di ogni altra, evidenzia il self

restraint della Corte sul tema della allocazione della potestà im-

positiva tra gli Stati è quella pronunciata nel già citato (e più volte rammentato nel prosieguo) caso Futura.

La Corte ha qui affermato che il principio secondo il quale lo Stato della fonte, ai fini della tassazione del non-residente, deve e può prendere in considerazione solo gli utili e le perdite da costui prodotti all’interno del proprio territorio (a differenza di quanto accade per il residente, rispetto al quale vengono presi in consi- derazione gli utili e le perdite ovunque prodotti), è conforme al principio di territorialità e non determina alcuna discriminazione:

“Nella fattispecie, per quanto riguarda i contribuenti residenti,

la legge lussemburghese assoggetta all’imposta tutti i loro redditi e la base imponibile non è limitata alle loro attività lussemburghesi. (…) Per contro, per quanto riguarda la determinazione della base imponibile dei contribuenti non residenti, sono presi in considera- zione ai fini del calcolo dell’imposta da essi dovuta in Lussemburgo soltanto gli utili e le perdite derivanti dalle loro attività lussembur- ghesi. Tale regime, conforme al principio tributario della territoria- lità, non può considerarsi comportare una discriminazione, palese o dissimulata, vietata dal Trattato”26.

Corre l’obbligo di evidenziare che la posizione di non-inter- vento della Corte in materia di criteri di collegamento delle fatti- specie tributarie con elementi di estraneità alle diverse giurisdizioni

24 Gilly, § 30.

25 Cfr. § 52 del parere reso nella Causa C-374/04. 26 Futura, § 21-22.

63

le “quasI restrIzIonI”

statuali è stata autorevolmente avversata ritenendo che, in effetti, l’eliminazione della doppia imposizione internazionale all’interno del mercato unico costituisca più di un mero impegno programma- tico (riflesso nell’abrogato art. 293 del Trattato), e assurga al rango di vero e proprio obbligo imposto dal rispetto delle libertà fonda- mentali (d’onde la erroneità della loro qualificazione alla stregua di “quasi restrizioni”).

Il ragionamento che sta alla base di questa posizione muove dalla presa d’atto che la doppia imposizione internazionale si deter- mina indipendentemente dall’adozione di misure discriminatorie o protezionistiche da parte di uno dei due Stati coinvolti: se, ad esem- pio, lo Stato (A) – indipendentemente dalla residenza della società- madre – assoggetta alla medesima imposizione alla fonte tutti i di- videndi distribuiti da una società-figlia ivi residente e lo Stato (B) di residenza della società-madre – indipendentemente dalla residenza della società-figlia che li eroga – assoggetta tutti i dividendi percepi- ti allo stesso livello di imposizione, si avrà una doppia imposizione giuridica sebbene nessuno dei due Stati abbia riservato alle fattispe- cie con elementi di estraneità un trattamento meno favorevole di quello riservato alla fattispecie puramente interna.

Tuttavia, per quanto priva di connotati discriminatori, la situa- zione con elementi di estraneità (società madre e società figlia resi- denti in Stati diversi) risulta obiettivamente pregiudicata rispetto a quella puramente interna (società madre e società figlia entrambe residenti nello stesso Stato) e questo, secondo l’impostazione in esame, confliggerebbe con gli impegni assunti nel Trattato.

Il fondamento di tale conclusione è rintracciato nelle storiche sentenze Dassonville27 e Cassis de Dijon28 dove la Corte ha rispetti-

vamente accertato: (i) la illegittimità delle misure che, sebbene non discriminatorie, siano comunque anche solo potenzialmente ido- nee, direttamente od indirettamente, ad ostacolare gli scambi all’in- terno del mercato unico29; (ii) la rilevanza in materia di un Principio

di ragionevolezza secondo il quale tali misure vanno giustificate qualora “(…) possano ammettersi come necessarie per rispondere

ad esigenze imperative attinenti, in particolare, all’efficacia dei controlli fiscali, alla protezione della salute pubblica, alla lealtà dei negozi commerciali e alla difesa dei consumatori”30.

27 Causa C-8/74. 28 Causa C-120/78. 29 Dassonville, § 5. 30 Cassis de Dijon, § 8.

64

IntegrazIone negatIva e fIscalItà dIretta

Anche nel caso Cassis de Dijon venivano in gioco misure che, similmente a quelle concernenti la allocazione delle rispettive pote- stà impositive tra gli Stati, “(…) in mancanza di una normativa co-

mune in materia (…) spetta agli stati membri disciplinare, ciascu- no nel suo territorio (…)”31; ciò, tuttavia, non ha impedito alla Corte

di decretarne l’illegittimità laddove, pur essendo prive di contenuto discriminatorio, esse si risolvessero in un – ingiustificato – ostacolo alla libera circolazione delle merci.

I successivi passaggi di questo ragionamento si articolano: (i) in primo luogo, nell’affermazione della necessità di esten- dere i principi sviluppati in Dassonville e Cassis de Dijon alle altre liberà quando applicate nella materia dell’imposizione diretta;

(ii) in secondo luogo, nella presa d’atto che la doppia imposi- zione internazionale – diversamente dalle altre restrizioni – è pro- vocata da misure, di per sé legittime, di due Stati, onde si tratta di stabilire su quali basi sia possibile: (a) imporne la modifica e (b) a quale dei due Stati imporla.

A questo secondo riguardo, potrebbe sostenersi che la rispo- sta vada cercata nelle indicazioni provenienti dalle scelte normati- ve compiute a livello di diritto comunitario derivato oppure dalla stragrande maggioranza degli Stati membri. In particolare, laddove dalle une o dalle altre emerga che una determinata tipologia di red- dito transazionale viene assoggetta ad imposizione nello Stato della fonte o in quello di residenza è a tale regola che dovrebbe informar- si la decisione in merito alla legittimità di un caso di doppia impo- sizione internazionale nel quale uno dei due Stati coinvolti preveda un regime impositivo che – rispetto a quella medesima tipologia di reddito – si discosti da siffatte indicazioni32.

Per quanto riguarda il primo aspetto – come si avrà modo di vedere affrontando in un’ottica più ampia le varie tipologie di restri- zioni emergenti dalla giurisprudenza della Corte in materia fiscale –, la Corte ha pienamente avvallato l’applicazione dei principi svilup-

31 Ibidem.

32 Ad esempio, in materia di dividendi, interessi e royalties l’indicazione che

emerge sia dal diritto comunitario secondario che dalle normative nazionali è nel senso della esenzione da parte dello Stato della fonte. Questo vuol dire che anche nelle ipotesi nelle quali le direttive comunitarie in materia non trovano applica- zione (per esempio nel caso di dividendi relativi a partecipazioni che non si qua- lificano per la direttiva madre-figlia), l’eventuale imposizione da parte dello Stato della fonte – ovi si vada a sommare a quella dello Stato di residenza – dovrebbe ritenersi illegittima sotto il profilo della restrizione delle libertà fondamentali.

65

le “quasI restrIzIonI”

pati in materia di libera circolazione delle merci alle altre libertà, in specie avuto riguardo alla loro declinazione fiscale.

Il secondo aspetto, invece, risulta più problematico e non sem- bra, a tutt’oggi trovare avvalli dalla giurisprudenza; il che priva l’ipo- tesi ricostruttiva in esame del suo possibile sbocco operativo.

La Corte, infatti, è rimasta fedele all’impostazione fissata a partire dal caso Gilly dove ha, come visto, “relegato” la allocazione della potestà impositiva tra gli Stati – e la eliminazione suo tramite della doppia imposizione internazionale  – tra le questioni risol- vibili solo dal potere legislativo, esercitato a livello nazionale e/o comunitario.

Il caso che ha raccolto l’eredità del caso Gilly in merito al profi- lo qui esaminato sembra essere Kerckahert and Morres33.

La questione pregiudiziale sorgeva in relazione alla tassazione di dividendi distribuiti da una società residente in Francia a due soci residenti in Belgio. In base alla legislazione belga i dividendi in entrata (di origine domestica o comunitaria) erano indistintamente tassati con l’aliquota proporzionale del 25%, mentre la Francia as- soggettava i dividendi in uscita ad una ritenuta alla fonte del 15%. Nel caso di specie, pertanto, i dividendi erano sottoposti ad una duplice tassazione: nel Stato della fonte (al 15%) ed in quello di residenza (al 25%).

Secondo la convenzione contro le doppie imposizioni ap- plicabile, il Belgio riconosceva un credito per le imposte pagate in Francia rinviando, a tal fine, alla propria legislazione interna. Successivamente, tuttavia, il Belgio modificava la propria norma- tiva di riferimento abrogando il suddetto credito d’imposta che, dunque, veniva negato ai due beneficiari dei dividendi. Da questo antefatto veniva quindi sollevata la questione pregiudiziale se il Belgio – nel tassare nello stesso modo i dividendi di fonte dome- stica e comunitaria e nel non riconoscere a questi ultimi un credi- to d’imposta per compensare il prelievo applicato nello Stato della fonte – stesse provocando una restrizione alla libera circolazione dei capitali.

La Corte ha subito puntualizzato che all’origine del trattamen- to meno favorevole applicato alla fattispecie transfrontaliera – ove paragonata a una puramente interna  – non vi erano le modalità impositive adottate dal Belgio (nel qual caso se ne sarebbe potuto lamentare il carattere discriminatorio nella forma dell’applicazione

66

IntegrazIone negatIva e fIscalItà dIretta

di uno stesso trattamento a situazioni diverse)34, ma l’esercizio in

parallelo della sua sovranità fiscale con quella della Francia e che le convenzioni contro le doppie imposizioni, come quella conclusa tra tali due paesi, hanno esattamente la funzione di eliminare o mitiga- re simili effetti negativi.

Ciò premesso, e constatato che “(…) il diritto comunitario, al

suo stato attuale ed in una situazione come quella di cui alla causa principale, non stabilisce criteri generali per la ripartizione delle competenze tra Stati membri con riferimento all’eliminazione della doppia imposizione all’interno della Comunità”35, la Corte ha con-

fermato che “(…) spetta agli Stati membri adottare le misure neces-

sarie per prevenire situazioni come quella di cui alla causa princi- pale utilizzando, in particolare, i criteri di ripartizione seguiti nella prassi fiscale internazionale”36.

È chiaro che quanto precede equivale a ribadire l’insussisten- za di una base legale di fonte comunitaria che consenta alla Corte di imporre ad uno dei due Stati di rinunciare alla propria potestà fiscale in vista dell’eliminazione della doppia imposizione interna- zionale.

I successivi casi Block37, Orange European Smallcap Fund NV38

e Damseaux39 non hanno fatto altro che confermare questa impo-

stazione.

Il caso Block riguardava una disposizione vigente in Germania che – ai fini del calcolo dell’imposta di successione dovuta dai pro- pri residenti su crediti di capitale vantati nei confronti di debitori residenti in un altro Stato membro (la Spagna in questo caso) – non consentiva di accreditare l’imposta di successione ivi versata su tali crediti. Di conseguenza, i crediti di capitale in questione erano tas- sati sia nello Stato membro di residenza dell’erede che nello Stato membro di residenza del debitore40.

34 Kerckhaert and Morres, § 19.

35 Fatta eccezione, precisa la Corte al paragrafo 22, “(…) per la direttiva del

Consiglio 23 luglio 1990, 90/435/CEE, concernente il regime fiscale comune ap- plicabile alle società madre e figlie di Stati membri diversi (GU L 225, p. 6), la convenzione 23 luglio 1990 relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate (GU L 225, p. 10) e la direttiva del Consiglio 3 giugno 2003, 2003/48/CE, in materia di tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di pagamenti di interessi (GU L 157, p. 38) …”.

36 Id.,§ 23. 37 Causa C-67/08. 38 Causa 194/06. 39 Causa C-128/08. 40 Block, § 28.

67

le “quasI restrIzIonI”

La Corte ha al riguardo riaffermato il principio che “(…) nell’at-

tuale fase di sviluppo del diritto comunitario, gli Stati membri go- dono di una certa autonomia in questo settore, salvo il rispetto del diritto comunitario, e non sono perciò tenuti ad adattare il proprio ordinamento fiscale ai diversi ordinamenti fiscali degli altri Stati membri al fine, tra l’altro, di eliminare la doppia imposizione de- rivante dall’esercizio parallelo, da parte di tali Stati membri, della propria sovranità fiscale”41.

Il caso Damseaux proponeva un simile quesito relativo ai di- videndi distribuiti da una società francese ad una persona fisica residente in Belgio. In particolare, il tribunale belga aveva rinviato la questione alla Corte domandando se la libera circolazione dei ca- pitali osti: “(…) ad una convenzione fiscale bilaterale (…) in forza

della quale i dividendi versati da una società avente sede in uno Stato membro ad un azionista residente in un altro Stato possano essere tassati in entrambi gli Stati membri, non prevedendo a carico dello Stato membro di residenza dell’azionista l’obbligo incondizio- nato di prevenire la doppia imposizione che ne deriva”42.

Come si vede, la questione preliminare non riguardava il pro- blema dell’eventuale sussistenza di un trattamento deteriore dei dividendi di fonte estera rispetto a quelli di fonte domestica (nel qual caso si sarebbe applicata la giurisprudenza della Corte sul trat- tamento selettivo, da parte dello Stato d’origine, dei “dividendi in entrata”)43; ma il fatto che la convenzione contro le doppie imposi-

zioni Belgio-Francia “(…) consentiva che i dividendi esteri venissero

tassati in entrambi gli Stati membri”.

La Corte ha al riguardo puntualizzato che tale questione non chiamava in causa le libertà fondamentali spettando “(…) agli Stati

membri prendere le misure necessarie per prevenire situazioni di doppia imposizione, applicando, in particolare, i criteri seguiti nel- la pratica fiscale internazionale”44.

Ciò, tuttavia, non significa che gli Stati siano gravati da un’ob- bligazione in tal senso; infatti, in una fattispecie “(…) in cui, sia

lo Stato membro della fonte dei dividendi, sia lo Stato membro di residenza dell’azionista possono tassare tali dividendi, ritenere che spetti necessariamente allo Stato membro di residenza prevenire tale doppia imposizione si risolverebbe nel conferire una priorità

41 Id., § 31. 42 Damseaux § 23.

43 Si veda il paragrafo 5.2.1 del Capitolo III. 44 Damseaux § 30.

68

IntegrazIone negatIva e fIscalItà dIretta

nell’imposizione di detto genere di redditi allo Stato membro della fonte”45.

In altre parole, per quanto auspicabile, il valore del coordina- mento tra gli Stati finalizzato ad evitare l’esercizio in parallelo della potestà impositiva di due Stati non sembra tradursi in un limite di siffatte potestà.

4.3. La doppia imposizione derivante dalla violazione di

Outline

Documenti correlati