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capitolo ii le “quasi restrizioni”

3. Disparità tra ordinamenti tributar

In secondo luogo, occorre fare riferimento a quelle situazioni in cui lo “svantaggio” sofferto dal contribuente è dovuto alla sempli- ce circostanza che costui opera in ordinamenti giuridici non omo- genei.

A tal proposito, la Corte ha riconosciuto che la tutela garantita dal Trattato tramite le libertà fondamentali non implica che, per ef- fetto del loro esercizio, un contribuente non possa trovarsi in una situazione peggiore (o migliore) rispetto a quella in cui si sarebbe

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le “quasI restrIzIonI”

trovato se non avesse deciso di esercitare tali libertà; ciò, evidente- mente, nella misura in cui tale svantaggio sia la risultante, non già di misure protezionistiche dello Stato d’origine o di quello ospitante, ma semplicemente del fatto che essi applicano norme tributarie diverse.

Il caso Gilly4 contiene l’enucleazione del principio appena trac-

ciato.

La signora Gilly, contribuente residente in Francia e di nazio- nalità francese (acquisita per effetto del matrimonio), era impiegata come insegnante in Germania. In base alla convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra Francia e Germania, il suo reddito era imponibile in entrambi gli Stati, il primo di essi era tenuto a riconoscere un credito d’imposta pari “(…) al prodotto dell’importo

dei redditi netti assoggettati ad imposta in Germania per l’aliquota risultante dal rapporto tra l’imposta effettivamente dovuta in base al reddito netto globale imponibile secondo la normativa francese e l’importo di tale ultimo reddito”5.

La signora Gilly lamentava nei confronti del proprio Stato di re- sidenza6 che il credito d’imposta previsto dalla convenzione contro

le doppie imposizioni tra Francia e Germania non era in grado – per effetto della maggiore progressività della tassazione in Germania rispetto a quella in Francia – di assorbire l’intera imposta pagata nel primo Stato.

In altre parole, la signora Gilly soffriva un’imposizione com- plessiva superiore a quella che avrebbe subito ove avesse lavorato in Francia, piuttosto che in Germania.

La Corte ha notato che lo scopo delle convenzioni contro le doppie imposizioni “(…) consiste soltanto nell’evitare che gli stessi

redditi siano soggetti ad imposta in ciascuno dei due Stati, non già nel garantire che l’imposizione alla quale è soggetto il contribuente in uno Stato non sia superiore a quella alla quale egli sarebbe sog- getto nell’altro”7.

Vedremo, nel successivo paragrafo, che la Corte è poi andata oltre sviluppando un concetto già espresso nella stessa sentenza

Gilly8, ed ovvero che il rispetto delle libertà fondamentali, di per sé,

non impone agli Stati membri di eliminare la doppia imposizione giuridica derivante dall’esercizio in parallelo delle rispettive potestà

4 Caso C-336/96.

5 Gilly, § 9.

6 La legislazione contestata era dunque quella dello Stato d’origine.

7 Gilly, § 46. 8 Id., § 23-30.

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impositive (problema della segmentazione della base imponibile); quel che però è importante trarre dalla sentenza in esame è che anche le semplici disomogeneità tra le legislazioni degli Stati, così come possono andare a vantaggio del contribuente, così possono determinare conseguenze a lui avverse senza, tuttavia, che ciò ri- sulti in una restrizione alle predette libertà: “(…) è assodato che

le conseguenze sfavorevoli che potrebbe comportare, nella specie, il sistema del credito d’imposta istituito dalla convenzione bilaterale, quale esso è attuato nell’ambito del sistema tributario dello Stato di residenza, discendono soprattutto dalle disparità tra le aliquote d’imposizione degli Stati membri di cui trattasi, la cui fissazione, in mancanza di normativa comunitaria in materia, compete agli Stati membri”9.

È indicativo che la Corte abbia dipoi anche precisato che, ove si sostenesse il contrario (ossia che il paese d’origine avrebbe do- vuto rettificare il proprio credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero al fine di compensare lo svantaggio in questione), si “(…)

usurperebbe la sovranità (degli Stati membri) in tema di tassazione diretta”10.

Questa puntualizzazione ha una certa importanza poiché aiuta a cogliere il confine che esiste tra i concetti di competenza (degli Stati membri, da un lato, e della Comunità, dall’altro), sul quale ci siamo brevemente soffermati nel Capitolo I, e di rispetto delle libertà fondamentali, intorno al quale ruota l’“integrazione negativa.

Essendo quella fiscale una materia dove gli Stati hanno man- tenuto una propria competenza –  sia pur concorrente con quella esercitabile dagli organi comunitari –, la Corte ne rispetta l’esercizio da parte degli Stati stessi, purché tramite essa:

(i) non si introducano norme in contrasto con la legislazione derivata adottata dal Consiglio (il quale ha appunto una competen- za concorrente)11;

9 Id., § 47. 10 Id., § 48.

11 Sebbene Avoir fiscal sia comunemente indicato come il primo caso fiscale

della Corte di giustizia, in realtà il primato spetterebbe al caso Humblet (causa C-6/60), riguardante proprio una ipotesi nella quale uno Stato membro aveva preteso di regolare una fattispecie che era già stata armonizzata e sulla quale, pertanto, non aveva perduto la propria competenza. La vicenda è sorta in rela- zione ai salari dei funzionari della Comunità europea. In forza del trattato CECA (art. 31 e 43) e del Protocollo sulle immunità e i privilegi dei suoi funzionari, gli Stati membri non possono stabilire alcuna forma di imposizione tributaria, diretta od indiretta, basata in tutto od in parte sulla rimunerazione corrisposta dalla Comunità al proprio dipendente. Ebbene, il Belgio, pur esentando i salari

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(ii) non si violino le libertà fondamentali.

Ebbene, in Gilly la Corte ci dice proprio questo: pretendere dalla Francia di modificare il proprio ordinamento fiscale in modo da tenere conto del modo di essere degli ordinamenti fiscali degli altri Stati membri costituirebbe – fintantoché la Comunità non abbia esercitato la propria competenza armonizzatrice sul punto  – una illegittima compressione della sua sovranità nazionale.

Il caso Schempp12 si pone in una linea di continuità ideale con

Gilly.

La questione pregiudiziale era sorta in relazione ad una dispo- sizione tedesca13 in base alla quale i soggetti tenuti al pagamento

degli alimenti avevano il diritto di dedurre i medesimi dal proprio reddito imponibile ove questi risultassero inclusi nel reddito impo- nibile del beneficiario14. Tale disposizione era applicabile anche ove

il beneficiario era residente in un altro Stato membro15.

Pertanto, se il beneficiario in questione fosse stato residente nello Stato di residenza del debitore (Germania appunto) o in uno Stato membro nel quale gli alimenti erano tassati, costui avrebbe potuto dedurre tali pagamenti16. In questo caso, però, il beneficiario

era residente in uno Stato membro (Austria) ove tali pagamenti non erano tassati, talché la deduzione era negata.

La Corte ha fatto notare che lo svantaggio contestato non era una conseguenza dell’interazione tra l’ordinamento fiscale del paese d’origine e il Trattato (art. 12, nella fattispecie), quanto del fatto che “(…) il destinatario è soggetto, in ciascuno dei due casi, ad un ordi-

namento fiscale diverso per la tassazione degli alimenti”17.

dei funzionari CECA da imposizione, ne teneva conto al fine di determinare l’aliquota marginale alla quale tassare gli altri redditi imponibili (exemption with

progression).

LaCorte, premesso che il diritto comunitario (§  5) “(…) prevede una net-

ta distinzione tra i redditi soggetti al potere delle amministrazioni finanzia- rie nazionali da una parte e le remunerazioni dei funzionari della Comunità dall’altra”, e che le seconde “ai sensi dei trattati di Roma, sono soggette esclu- sivamente, quanto alla loro imponibilità eventuale, al diritto comunitario” ha

concluso nel senso che”tale ripartizione delle rispettive competenze fiscali porta

ad escludere qualsiasi imposizione, non solo diretta ma anche indiretta, dei redditi sottratti alla competenza degli Stati membri”.

12 Causa C-403/03.

13 Anche in questo caso viene in questione lo Stato d’origine. 14 Schempp, § 4.

15 Id., § 5. 16 Id., § 27 e 33. 17 Schempp, § 35.

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IntegrazIone negatIva e fIscalItà dIretta

In conclusione “(…) il Trattato non garantisce al cittadino

dell’Unione che il trasferimento delle sue attività in uno Stato membro diverso da quello in cui risiedeva precedentemente sia neutro sotto il profilo fiscale. Tenuto conto delle differenze tra le legislazioni degli Stati membri in materia, un simile trasferimento può, secondo i casi, essere più o meno favorevole o sfavorevole per i lavoratori sul piano delle imposte indirette”18.

La pronuncia nel caso Deutsche Shell19 fornisce un esempio più

recente del ragionamento della Corte in tema di disparità.

In questo caso, la Germania negava a una società residente il diritto di dedurre una perdita valutaria subita al rientro del capitale iniziale messo a disposizione di una sua sede secondaria in Italia.

Sebbene la Corte abbia stabilito che il diniego costituiva una violazione del Trattato poiché – ancorché privo di connotati discri- minatori20 – limitava la libertà di stabilimento, essa ha incidental-

mente sottolineato che, di norma, tale libertà “(…) non implica che

uno Stato membro sia tenuto a determinare le proprie norme tribu- tarie in funzione di quelle di un altro Stato membro al fine di ga- rantire, in ogni situazione, una tassazione che elimini qualsivoglia disparità derivante dalle normative tributarie nazionali, in quanto le decisioni adottate da una società riguardo allo stabilimento di strutture commerciali all’estero possono, a seconda dei casi, essere più o meno favorevoli o sfavorevoli per tale società”21.

Detto altrimenti, il Trattato non garantisce la neutralità della “dimensione transfrontaliera” rispetto a quella domestica: gli Stati membri hanno il diritto di strutturare i propri ordinamenti fiscali come ritengono più opportuno e non hanno perciò l’obbligo di “compensare” gli svantaggi risultati dalla mancata armonizzazione fiscale del mercato interno.

4. Divisione della giurisdizione fiscale (segmentazione della

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