e il “non-migrante”
3. I diversi “livelli” di comparabilità
4.2. I limiti della visione incentrata sulle obbligazioni degli Stati rispetto a quella incentrata sulla dicotomia migrante/non-
migrante
L’analisi della “dottrina Geelhoed” ci ha offerto un diverso modo di indagare il rispetto del principio del “trattamento naziona- le” indicandoci altresì il criterio con il quale la Corte ha deciso casi importanti come ACT IV GLO e Truck Center.
La comparabilità, così, può studiarsi da due prospettive: quella del contribuente, analizzando il trattamento rispettiva- mente riservato al “migrante” e al “non-migrante”;
quella dello Stato, analizzando le sue obbligazioni a seconda che esso agisca come Stato della residenza o della fonte.
In linea di principio, le due prospettive conducono allo stesso risultato finale. Va però segnalato che la convergenza degli esiti del- la seconda con quelli della prima è ottenibile, in taluni casi, solo at- traverso un percorso che include la valutazione di elementi che non
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riguardano, a stretto rigore, la comparabilità attenendo, piuttosto, a quelle che la Corte considera cause di giustificazione desumibili dal principio di ragionevolezza.
Il caso Marks & Spencer costituisce un utile esempio al ri- guardo.
La rimessione alla Corte di giustizia riguardava il regime di tassazione consolidata vigente nel Regno Unito. In particolare, Mar-
ks & Spencer, una società residente posta al vertice di un gruppo
multinazionale, aveva avanzato la richiesta di dedurre dal proprio utile fiscale le perdite sopportate dalle consociate stabilite in altri Stati membri, così come consentito rispetto a quelle sopportate dal- le consociate residenti (c.d. “group tax relief”); tale richiesta veniva respinta dalle competenti autorità in quanto, secondo la legge ap- plicabile, “(…) uno sgravio di gruppo potrebbe essere accordato solo
per perdite occorse nel Regno Unito”47.
Si deve far presente – per l’importanza giocata da questo aspetto agli effetti dell’applicazione del Principio di ragionevolezza e della di- stinzione di Marks & Spencer con altri casi successivi quali, in partico- lare, X Holding BV48 – che le perdite delle quali la società-madre chie-
deva la presa in considerazione nel proprio Stato di residenza erano derivate da consociate – residenti in Francia, Belgio e Germania – che avevano cessato la propria attività o che erano state cedute a terzi49.
La Corte veniva quindi investita della questione se una simi- le diversità di trattamento ammontasse ad una restrizione al pieno esercizio del diritto di stabilimento.
L’approccio analitico della Corte alla questione rispecchia fe- delmente lo schema utilizzato a partire da Daily Mail ed in tutti i casi “origin” che gli sono seguiti.
Primo: si è accertato che il regime controverso garantiva un vantaggio di natura finanziaria:
“Accelerando lo smaltimento delle perdite di società in deficit
mediante la loro imputazione immediata ai redditi di un’altra so- cietà del gruppo, esso (regime, n.d.r.) conferisce a quest’ultimo un vantaggio di cassa”50.
Secondo: sul presupposto che la “società-madre-residente-non- migrante” (al quale era consentita la compensazione infragruppo delle perdite) e la “società-madre-residente-migrante” (al quale essa
47 Marks & Spencer, § 24.
48 Su cui vedi il paragrafo 3.3.2. del Capitolo V.
49 Id., § 21. 50 Id., § 32.
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era, invece, preclusa) erano comparabili, si è riconosciuto che l’im- possibilità per una società residente nel Regno Unito di compensare le perdite sofferte dalla proprie consociate non residenti “(…) può
ostacolare il suo (della società-madre-residente, n.d.r.) esercizio del- la libertà di stabilimento, dissuadendola dalla creazione di control- late in altri Stati membri”51.
Terzo: si è concluso che un simile trattamento, quindi, rappre- sentava “(…) una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi
degli artt. 43 CE e 48 CE, in quanto introduce un diverso trattamen- to fiscale tra le perdite subite da una controllata residente e quelle subite da una controllata non residente”52.
Ora, se si fosse utilizzato lo schema analitico incentrantesi sulle diverse obbligazioni, rispettivamente, dello Stato della fonte e dello Stato della residenza, l’approdo non sarebbe stato quello che si è sopra descritto; e non sorprende, quindi, che l’Avvocato generale Gellhoed abbia poi criticato, proprio nelle conclusioni relative al caso ACT IV GLO53, la sentenza resa in Marks & Spencer.
In effetti, non avendo il Regno Unito “esteso” la propria com- petenza fiscale ai redditi (positivi o negativi) di fonte estera delle consociate estere delle società-madre residenti, esso non era tenuto – nella sua qualità di Stato della residenza di queste ultime – a ga- rantire a quei redditi (positivi o negativi) lo stesso trattamento appli- cato ai redditi (positivi o negativi) delle consociate residenti.
Così, se in Manninen la Finlandia era stata obbligata a esten- dere il trattamento previsto per i redditi (dividendi) di fonte do- mestica a quelli di fonte estera perché entrambi erano attratti alla sua giurisdizione fiscale, in Marks & Spencer ciò non doveva essere giudicato necessario perché il Regno Unito, invece, non aveva attrat- to alla propria giurisdizione i redditi (delle proprie consociate non residenti) di fonte estera.
In realtà, e come vedremo meglio nel prossimo capitolo, la Corte è giunta alla stessa conclusione di principio: vale a dire che, salvo ricorra la fattispecie delle c.d. “perdite finali”54, lo Stato della
residenza della società-madre non è tenuto a prendere in considera- zione le perdite conseguite dalle consociate estere fuori del proprio territorio. Tale conclusione, tuttavia, non è stata raggiunta perché il
51 Id., § 33. 52 Id., § 34.
53 Conclusioni dell’Avvocato generale Geelhoed, rese nel caso ACT IV GLO,
§ 65.
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“residente-migrante” (società-madre con consociate non-residenti) e il “residente-non-migrante” (società-madre con consociate residen- ti) non fossero comparabili55 – come vorrebbe la lettura suggerita
dall’Avvocato generale Gellhoed –, ma perché la restrizione cagio- nata dal loro diverso trattamento è stat giustificata alla luce del con- corso di tre motivi imperativi di interesse pubblico: la “tutela della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri”56, la “necessi-
tà di prevenire il rischio che perdite siano prese in considerazione due volte”57 e la “necessità di prevenire l’elusione fiscale”58.
Con parole diverse, se il caso in esame è letto avendo riguar- do al criterio delle obbligazioni rispettivamente gravanti sullo Stato della residenza e della fonte, si giunge facilmente alla conclusione che il “migrante” ed il “non-migrante” non erano comparabili, non avendo il Regno Unito, quale Stato della residenza della casa-madre, giurisdizione fiscale sui redditi delle consociate non-residenti; se esso viene, invece, esaminato confrontando direttamente la situa- zione del “migrante” e del “non-migrante”, ci si accorge che l’unico elemento che teoricamente si frapponeva alla loro comparabilità era dato dalla circostanza che una delle due situazioni – quella del “migrante” – si caratterizzava per la sussistenza di un elemento di estraneità; elemento che, tuttavia e come noto, è irrilevante agli ef- fetti dell’operatività del principio del “trattamento nazionale”.
In conclusione, va preso atto che, ragionando esclusivamen- te intorno ai “ruoli” degli Stati membri, si rischia di non cogliere il contenuto protezionistico di taluni regimi come quello appena esaminato. Al riguardo, non va dimenticato che la giurisprudenza comunitaria si è spinta addirittura oltre il principio del “trattamento nazionale”, quando si è trattato di abbattere le restrizioni non discri- minatorie; onde dovrebbero lasciare tutto sommato tiepidi quelle
55 Il fatto che tali situazioni siano comparabili è poi ripetuto dalla Corte in X
Holding BV dove al paragrafo 24 afferma testualmente: “Orbene, la situazione di una società controllante residente che intende costituire un’entità fiscale uni- ca con una controllata residente e quella di una società controllante residente che desidera costituire un’entità fiscale unica con una controllata non resi- dente sono, alla luce dell’obiettivo di un regime fiscale come quello della causa principale, oggettivamente comparabili, dal momento che entrambe mirano a trarre vantaggio da tale regime, che consente, in particolare, di consolidare in capo alla società controllante gli utili e le perdite delle società comprese nell’en- tità fiscale unica e di attribuire carattere fiscalmente neutro alle operazioni intragruppo”.
56 Marks & Spencer, § 46. 57 Id., § 48.
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fattispecie nelle quali, invece, la Corte si è “limitata” a fare un’appli- cazione piana di siffatto principio.
5. La comparazione tra il “non-residente-migrante” ed il “residente-non-migrante” (ottica “host”)
5.1. Premessa
Sappiamo a questo punto che il funzionamento di uno dei prin- cipali capisaldi dell’integrazione negativa – il divieto di “discrimina- zione” – presuppone un confronto tra situazioni “analoghe” ovvero “comparabili”.
Tale esigenza ha prodotto ramificazioni di non poco conto quando si è trattato di declinare il divieto di discriminazione sulla base della nazionalità – e in particolare le libertà fondamentali che quel divieto hanno recepito – nella materia tributaria, dove la nazio- nalità ha un ruolo assolutamente marginale.
Si comprende così l’importanza del principio espresso nel rammentato caso Sotgiu, ove la Corte ha affiancato al concetto di discriminazione “diretta” – perché direttamente basata sulla nazio- nalità –, quello di discriminazione “indiretta”, dove l’aggettivazione vuole mettere in evidenza che la discriminazione sulla nazionalità è la conseguenza mediata di una discriminazione incentrata su un altro criterio.
E tale criterio, come noto, è principalmente quello della resi- denza per quanto attiene all’imposizione diretta.
Salvo “mettere fuori legge” l’intero diritto tributario domestico e internazionale – siccome incentrato sul diverso trattamento riser- vato ai “residenti” ed ai “non residenti” –, la Corte non ha potuto fare altro che dare atto della non-comparabilità di fondo degli uni con gli altri.
Tale enunciazione di principio – che, come si è visto, trova la sua più articolata spiegazione e giustificazione nelle conclusioni dell’Avvocato generale Legèr formulate a margine del caso Schuma-
cker – ha tuttavia subito tante e tali eccezioni da metterne seriamen-
te in crisi lo stesso status di principio generale.
In effetti, la “migrazione” del non residente nello Stato ospi- tante (id est: l’esercizio da parte di costui di una libertà fondamen- tale in tale Stato) determina delle situazioni in fatto e in diritto che, o assomigliano molto alla residenza (come in Avoir Fiscal o Schumacker) oppure, comunque, non tollerano un trattamento diverso avuto riguardo – e questo come sappiamo è un punto cru-
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ciale – allo scopo della norma della cui compatibilità comunitaria si discute.
La valutazione della comparabilità tra chi “migra” e chi non “migra” rappresenta dunque un architrave fondamentale della giu- risprudenza “dello Stato ospitante” della Corte, essa operando come “via d’accesso” alla fruibilità dei diritti soggettivi derivanti dalle li- bertà fondamentali; ciò nel senso che se è vero che il non residente
– in quanto tale – non ha diritto al “trattamento nazionale” riservato
al residente, è altrettanto vero che il non residente il quale “migri” avvalendosi di una libertà di movimento può divenire comparabile al residente e, quindi, “acquisire” tale diritto senza la necessità di diventare esso stesso un residente. È ovvio, difatti, che se l’accesso al trattamento nazionale da parte del non residente dovesse passare attraverso l’acquisto da parte sua della residenza (che è poi l’ar- gomento sostenuto dal Governo francese nel caso Avoir fiscal), si priverebbero le libertà fondamentali della funzione “trasformativa” che la Corte gli ha viceversa riconosciuto.
5.2. La società non-residente che “migra” costituendo una