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3.1. La Costituzione del 1950

Il diritto alla vita è sancito dall’art. 21 della Costituzione indiana, secondo cui “[n]essun individuo sarà privato della sua vita o della sua libertà personale se non in base alla procedura prevista dalla legge”. Se il diritto alla vita ricomprenda anche il diritto di morire è stata una questione a lungo aperta nell’ordinamento indiano, trattata per la prima volta in senso affermativo dalla Bombay High

Court6, decisione poi rovesciata dalla Corte suprema indiana (Gian Kaur v. State

of Punjab, infra)7. Più di recente, sempre la massima corte indiana si è espressa nuovamente sulla materia, apportando importanti modifiche al quadro giuridico della morte assistita: in Shanbaug (v., infra, par. 4.4.), la Corte suprema ha aperto alla possibilità dell’eutanasia passiva in determinate situazioni, ribadendo la validità del testamento biologico e delle direttive anticipate di trattamento nel caso

A Common Cause v. India (v., infra, par. 4.5.).

3.2. L’Indian Penal Code del 1860

3.2.1. La normativa sull’omicidio

La section 299 dell’Indian Penal Code stabilisce il reato di omicidio colpevole (culpable homicide): chiunque causa la morte attraverso il compimento di un atto con l’intenzione di causare la morte o con l’intenzione di causare danni fisici che, probabilmente, causeranno la morte ovvero con la consapevolezza che, per mezzo di tale atto, probabilmente causerà la morte, commette il reato di omicidio

5 V. D.A, Why sati is still a burning issue, in The Times of India, 16 agosto 2009,

https://timesofindia.indiatimes.com/Why-sati-is-still-a-burning-issue/articleshow/4897797.cms, secondo cui il tema è ancora attuale a causa della glorificazione della pratica.

6 M.S. Dubal v. State of Maharashtra, 1987 (1) BomCR 499, del 25 settembre 1986. “Non vi è

nulla di innaturale circa il desiderio di morire e dunque circa il diritto di morire. Quali che siano le circostanze che inducano una persona a porre fine alla propria vita, l’atto di porre termine alla vita è attribuibile all’individuo stesso. Non è da ritenersi inferiore rispetto al suo atto di vivere. […] La causa innaturale del decesso è da distinguersi dal desiderio naturale di morire”.

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colpevole. L’omicidio colpevole può essere di natura intenzionale (murder, reato per cui è previsto l’ergastolo ed il pagamento di una multa o, nei casi in cui l’omicidio venga commesso da un ergastolano, la pena capitale) o preterintenzionale (culpable homicide not amounting to murder, punibile a seconda della gravità con l’ergastolo, con una pena detentiva non superiore ai dieci anni e/o una multa).

Non si configura il reato di omicidio doloso, però, se la persona di cui si causa la morte è maggiorenne e dà il proprio consenso alla morte o al rischio di morte (Section 300, eccezione 5), previsione, questa, inserita in virtù delle pratiche religiose cui si è in precedenza fatto cenno. Nel commento al Code, infatti, gli

Indian Law Commissioners, i redattori del Codice penale, hanno sottolineato che

la fattispecie doveva sì essere punita, ma non nella misura prevista per l’omicidio doloso. L’eccezione era stata dunque inclusa, “[i]n primo luogo, perché le motivazioni che spingono un uomo a commettere questo reato sono solitamente molto più rispettabili di quelle che portano alla commissione dell’omicidio. Talvolta, esso può risultare da un forte senso di dovere religioso, altre volte un forte senso dell’onore e, non di rado, [dal senso] di umanità. Il soldato che, su richiesta di un commilitone ferito, pone fine alle sue sofferenze […], l’aristocratico indiano che pugnala le donne della sua famiglia su loro richiesta per salvarle dagli abusi di una banda di predoni potrebbero difficilmente, se non nelle società cristiane, essere ritenuti colpevoli, ed anche nelle società cristiane non verrebbero considerati tali dal pubblico, e non dovrebbero essere trattati dalla legge, alla stregua degli assassini.

“Tale reato non è affatto produttivo del male, per la comunità, come lo è ad esempio l’omicidio. Un elemento di disvalore della più elevata importanza manca del tutto dal reato di omicidio preterintenzionale per consenso. Non produce insicurezza generale. Non diffonde il terrore nella società. […] Ogni uomo che non abbia acconsentito alla morte può essere del tutto certo che questo reato non verrà commesso nei suoi confronti e che non verrà mai commesso, a meno che non sia prima convinto che sia nel suo interesse acconsentirvi”8.

3.2.2. La normativa sul suicidio

L’ordinamento non criminalizza il suicidio, ma prevede il reato del tentato suicidio (section 309), punibile con una pena detentiva non superiore ad un anno e/o una sanzione pecuniaria. A seguito della sentenza resa nel caso Gian Kaur (v.

8 W.MORGAN A.G.MACPHERSON, Indian Penal Code (Act XLV. of 1860), with Notes, G.C. Hay & Co., Calcutta – Londra, 1863, 265 ss., in nota.

infra, par. 4.4.), la previsione è tornata ad essere ritenuta conforme all’art. 21 della

Costituzione, dopo la dichiarazione di incostituzionalità resa nel caso P. Rathinam (v. infra, par. 4.2.). Nel 2011, la Corte suprema ha raccomandato l’abrogazione della norma (v. infra, par. 4.4.); nel 2017, il legislatore ha approvato il Mental

Health Care Act 2017, che mira ad assicurare che le persone che hanno tentato il

suicidio ricevano terapie di sostegno e riabilitazione. Di fatto, dunque, la section 309 è rimasta in vigore, ma non produce più effetti9.

Così non è, invece, per il reato di istigazione al suicidio, per cui è prevista una pena detentiva per un periodo massimo di dieci anni e, a discrezione del giudice, anche una multa (section 306); l’istigazione al suicidio di un minorenne o di un individuo privo della necessaria capacità mentale può comportare anche la pena capitale (section 305).