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Washington v Glucksberg, No 96-110, 521 U.S 702,

3. Recenti sviluppi

2.3. Washington v Glucksberg, No 96-110, 521 U.S 702,

Nel 1994, un gruppo di medici e di individui affetti da malattie terminali aveva intentato un ricorso per ottenere una declaration secondo cui il divieto opposto al suicidio medicalmente assistito, nello Stato di Washington, era incostituzionale ai sensi della Due Process Clause del XIV Emendamento. In particolare, il Natural

Death Act adottato nel 1979 prevedeva il reato della “promozione di un tentativo

di suicidio”, il che si aveva se un individuo “consapevolmente causa[sse] od aiuta[sse] un’altra persona a tentare il suicidio”.

Gli istanti asserivano che tale previsione tutelasse una libertà che includeva il diritto, per un individuo affetto da malattia terminale e dotato della necessaria capacità mentale, di suicidarsi con l’ausilio di un medico. Il divieto era stato posto nel 1975 dal legislatore statale e stabiliva che un individuo che avesse “promosso” un tentativo di suicidio, qualora avesse consapevolmente causato od aiutato un’altra persona a suicidarsi, era colpevole di una felony3.

In primo grado, la richiesta del gruppo era stata accolta in quanto il divieto contestato si traduceva in una limitazione eccessiva all’esercizio della libertà

3 Ovvero un reato grave, da distinguersi dal misdemeanor. Tra le felonies si possono

annoverare anche l’omicidio volontario e l’omicidio involontario. Coloro che sono dichiarati colpevoli di felonies risentono di notevoli limitazioni anche a seguito dell’espletamento della loro condanna, tra cui ad esempio la privazione del diritto di voto, l’esclusione dall’idoneità a ricevere determinate autorizzazioni tra cui il visto turistico e l’impossibilità di ottenere sussidi governativi.

invocata. In secondo grado, la Court of Appeals del Ninth Circuit aveva confermato la sentenza della corte inferiore.

La Corte suprema ha, a sua volta, rovesciato la decisione della corte di appello. La opinion era stata redatta dal Chief Justice Rehnquist, a cui si erano riuniti i

Justices O’Connor, Scalia, Kennedy e Thomas. La massima corte federale ha

stabilito che la legge del Washington non aveva violato il Due Process Clause, né a livello generale né nelle fattispecie riguardanti adulti dotati della necessaria lucidità mentale ed affetti da malattie terminali, i quali desideravano accelerare il proprio decesso con l’aiuto di un medico. Ad avviso della Corte, a seguito di un’attenta formulazione dei margini entro cui la libertà in questione poteva esplicarsi, si trattava di determinare se essa ricomprendesse un diritto di suicidarsi, che contenesse, a sua volta, un diritto all’assistenza al suicidio. Alla luce della storia, delle tradizioni giuridiche e della prassi statunitensi, l’asserito diritto all’assistenza al suicidio non poteva dirsi una libertà fondamentale tutelata dalla Due Process Clause. Infatti, il suicidio assistito era un reato in quasi ogni territorio degli Stati Uniti e stato democratico in Occidente. Per oltre 700 anni, la tradizione angloamericana del common law aveva punito (o comunque disapprovato) il suicidio e l’assistenza al suicidio, con previsioni che non recavano alcuna eccezione, nemmeno per coloro che fossero prossimi al decesso: ad esempio, Bracton, nel XIII secolo, rilevava che il suicidio era punibile con il sequestro dei beni personali del deceduto. Al momento della ratifica del XIV Emendamento, l’assistenza al suicidio costituiva un reato nella maggior parte degli stati e tale configurazione è perdurata sino agli anni più recenti, quando pure è stata nuovamente sottoposta a considerazione. A livello federale, il Federal

Assisted Suicide Funding Restriction Act del 1997 proibiva l’uso di fondi federali

a sostegno del suicidio medicalmente assistito. Inoltre, nonostante il progresso della scienza e la crescente enfasi posta sull’importanza della capacità decisionale circa la fine della propria vita, l’ordinamento statunitense continuava a vietare l’assistenza al suicidio, anche se a cercare tale ausilio fossero malati terminali e mentalmente capaci.

L’asserito diritto all’assistenza al suicidio non poteva essere compatibile con la giurisprudenza della Corte suprema in tema di due process. Infine, il divieto del Washington era, quanto meno, ragionevolmente collegato alla volontà di promuovere e tutelare diversi interessi legittimi ed importanti dello stato, quali la conservazione della vita umana, la prevenzione del suicidio e lo studio ed il trattamento delle sue cause, la tutela dell’integrità e dei valori etici della professione medica, la tutela di gruppi vulnerabili da abusi, maltrattamenti ed errori e la prevenzione dell’eutanasia, sia volontaria sia involontaria.

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Diversi justices hanno redatto opinioni concorrenti. La Justice O’Connor, alla quale si sono uniti la Justice Ginsburg e, limitatamente all’esito dell’argomentazione, anche il giudice Breyer, ha espresso il parere secondo cui, alla luce del fatto che era pacifico che i pazienti affetti da malattie terminali non incorrevano in alcun ostacolo all’ottenimento di farmaci volti ad alleviare le loro sofferenze, anche al punto di provocare la perdita dei sensi ed il decesso, non vi era alcun bisogno, nella fattispecie, di decidere se un individuo dotato della necessaria capacità mentale avesse o meno un interesse costituzionalmente rilevante al controllo delle circostanze della sua morte imminente.

Il giudice Stevens si è dichiarato in accordo con l’interpretazione secondo cui la libertà tutelata dalla Due Process Clause non includeva un diritto categorico al suicidio che ricomprendesse anche il diritto all’assistenza al suicidio; tuttavia, il diritto di un malato terminale dotato della necessaria capacità mentale che desiderasse suicidarsi (con o senza l’aiuto di un medico) sarebbe forse stato in grado di prevalere con un ricorso formulato in termini meno generali.

Il Justice Souter ha richiamato le dispute circa l’efficacia delle linee guida redatte a disciplina del suicidio assistito nei Paesi Bassi per asserire che l’interesse statale nel tutelare i malati terminali dal suicidio involontario e dall’eutanasia era sufficientemente importante per confermare la validità del divieto ai sensi della

Due Process Clause. Inoltre, il giudice ha sottolineato che era il legislatore,

piuttosto che il giudice, l’organo istituzionalmente più adatto a trattare una questione in corso di discussione quale quella del suicidio assistito.

2.4. Vacco v. Quill, No. 95-1858, 521 U.S. 793,