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Il caso Mercier (Cass Crim., decisione n 16-8

3. La disciplina penale relativa al suicidio

3.3. Il caso Mercier (Cass Crim., decisione n 16-8

A titolo illustrativo, si può ricordare la c.d. affaire Mercier, dal nome dell’imputato, un ottantottenne perseguito per aver aiutato sua moglie a suicidarsi.

La signora Mercier soffriva di una grave artrosi ed aveva tentato più volte di uccidersi. Il 10 novembre 2011, aveva espresso nuovamente a suo marito la volontà di morire e gli aveva chiesto perciò di aiutarla a suicidarsi (c’era anche il progetto di recarsi in Svizzera per poter usufruire del suicidio assistito). Fino a quel giorno, il Mercier aveva sempre rifiutato di dare seguito a tale richiesta, pensando che sua moglie facesse tali richieste sotto l’effetto della rabbia e della disperazione, ma non esprimendo veramente la propria volontà. Tuttavia, quel giorno, il Mercier accettò di aiutare la consorte nell’intento e le portò le medicine richieste. Dato che la signora Mercier aveva anche il polso rotto, egli tolse le medicine dalla loro confezione, le mise nella mano di sua moglie e le diede un bicchiere perché potesse ingurgitarle. Sempre su richiesta di sua moglie, le portò una boccetta di morfina versandone la metà in un bicchiere, con dello sciroppo, che la donna bevve immediatamente. Qualche ora più tardi, il Mercier dovette constatare che sua moglie non respirava più. Pienamente consapevole dei suoi atti, chiamò il medico affinché venisse a fare la dichiarazione del decesso. Dopo che il Mercier ebbe spiegato tutto al medico, questi avvertì la polizia, che pose il Mercier in garde à vue. Questi venne perseguito per omicidio doloso e per omissione di soccorso. Si poneva, quindi, il problema di stabilire come, da un punto di vista della logica giuridica, si potesse perseguire qualcuno sia per omicidio che per omissione di soccorso per la medesima condotta.

In data 27 ottobre 2015, il tribunal de grande instance de Saint-Etienne aveva condannato l’imputato ad un anno di carcere (con pena sospesa) per non avere prestato soccorso a sua moglie che si trovava in stato di pericolo. Con riguardo all’imputazione di omicidio doloso, il giudice istruttore aveva pronunciato il non luogo a procedere. Proponendo appello contro la sentenza di condanna, il Mercier

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contestava proprio la scelta della qualificazione giuridica dei fatti, sottolineando la natura volontaria ed attiva del suo gesto. Spiegava, in effetti, che aveva cercato le medicine in maniera intenzionale e che le aveva somministrate a sua moglie su sua richiesta. L’obiettivo della difesa era quello di dimostrare che, in ragione dei fatti commessi, la sua condotta si configurava come un omicidio (visto che era stato pronunciato un non luogo a procedere per tale capo di imputazione non si poteva in nessun modo perseguire l’imputato per questo reato).

La cour d’appel di Lione aveva assolto l’imputato. Tuttavia, rilevando che la signora Mercier non era in fine-vita né tantomeno era affetta da una malattia incurabile (visto che soffriva di artrosi e di ansia), in data 16 novembre 2017, la procura generale ha sollevato ricorso in cassazione. Il 13 dicembre dello stesso anno, la Cour de cassation ha rigettato il ricorso della procura, confermando l’assoluzione del Mercier30.

A livello penale, l’aiuto al suicidio non costituisce, quindi, un reato in sé, a condizione che l’aiuto dato a chi intenda suicidarsi sia meramente passivo. Qualora, però, la partecipazione al suicidio diventi un aiuto materiale effettivo, il fatto che la vittima sia consenziente, o anche richiedente, non esonera il complice da una eventuale condanna per omicidio ai sensi degli artt. 221-1 a 221-5 c.p., o per omissione di soccorso ai sensi dell’art. 223-6 c.p. Tuttavia, come può cogliersi dall’affaire Mercier, si osserva, negli ultimi anni, una certa clemenza dei giudici, consapevoli che la questione dell’aiuto al suicidio rimane una questione complessa il cui trattamento giudiziario è particolarmente delicato.

30 V. Cass. Crim., decisione n. 16-87054 del 13 dicembre 2017, reperibile on line in

https://www.legifrance.gouv.fr/affichJuriJudi.do?oldAction=rechJuriJudi&idTexte=JURITEXT00 0036213414&fastReqId=403582922&fastPos=2. V. anche l’articolo di V.EKKRICH pubblicato in Le Monde del 14 dicembre 2017, La décision de la Cour de cassation sur la fin de vie “légitime un peu le suicide assisté”, https://www.lemonde.fr/sante/article/2017/12/14/la-decision-de-la-cour- de-cassation-sur-la-fin-de-vie-legitime-un-peu-le-suicide-assiste_5229917_1651302.html.

GERMANIA

di Maria Theresia Roerig

1. Introduzione

In Germania, il c.d. suicidio assistito è oggetto di esplicita regolamentazione legislativa soltanto da pochi anni. Dopo lunghi dibattiti, il Bundestag ha approvato il 6 novembre 2015 il disegno di legge n. 18/5373 in materia di suicidio assistito, che prevede l’inserimento di un nuovo art. 217 (Geschäftsmäßige Förderung der

Selbsttötung) nel Codice penale tedesco (StGB)1, che finora né disciplinava né

espressamente vietava il suicidio assistito.

Viene ora penalmente punita l’assistenza al suicidio se offerta in maniera commerciale, organizzata e continuativa ai sensi dell’art. 217 StGB nella versione in vigore a partire dal 10 dicembre 2015, che recita quanto segue: (1) Chiunque,

con l’intenzione di favorire l’altrui suicidio, offre, procura o trasmette l’opportunità in forma commerciale, anche in forma di intermediazione, è punito con pena detentiva fino a tre anni o con pena pecuniaria. (2) In qualità di compartecipe è esente da pena chi agisca in modo non commerciale e sia o parente della persona favorita di cui al comma 1, oppure legata ad essa da stretti rapporti.

Il secondo comma del nuovo art. 217 StGB esclude espressamente che possa essere penalmente perseguibile chi assista, in maniera episodica, un parente o una persona vicina nel suicidio. Non viene tra l’altro punito, secondo l’esplicita motivazione della legge, il coniuge di un soggetto con una malattia mortale che lo accompagna o conduce, conformemente al desiderio liberamente determinato di questi, presso la struttura che presta assistenza al suicidio in forma commerciale (v. anche infra).

1 Secondo il progetto di legge (Entwurf eines Gesetzes zur Strafbarkeit der geschäftsmäßigen Förderung der Selbsttötung, BT-Drs. 18/5373, p. 2, p. 8 e p. 3), adottato in terza lettura con 360 voti favorevoli, 233 contrari e 9 astenuti, si voleva limitare l’attività di associazioni che professionalmente gestivano forme di suicidio assistito in Germania, in particolare per evitare che trasformassero il proprio campo di attività del suicidio assistito in una “normale prestazione di servizi dell’assistenza sanitaria”. La legge non è invece indirizzata alle forme di aiuto al suicidio “che venga concesso nel caso concreto in una difficile situazione di conflitto”. Un totale divieto penale dell’aiuto al suicidio sarebbe difficilmente conciliabile con i valori fondanti l’ordinamento costituzionale.

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Si evidenzia come in Germania il suicidio di per sé non è comunque punibile e di conseguenza, in mancanza di una condotta principale penalmente rilevante, al di fuori dei casi di cui all’art. 217 StGB, la c.d. “Beihilfe zum Suizid” (favoreggiamento del/aiuto o concorso al suicidio) non viene punita nell’ordinamento tedesco. Possono invece verificarsi le fattispecie dell’omicidio doloso semplice (art. 212 o 213 StGB – in singoli casi pure dell’omicidio doloso grave, art. 211 StGB), dell’omicidio del consenziente ovvero su richiesta (art. 216 StGB) o dell’omissione di soccorso (art. 323 c StGB). Se l’aiuto al suicidio viene prestato da un medico o un parente prossimo si può configurare l’ipotesi di reato per omissione vista la qualifica di c.d. garanti che i suddetti soggetti possono assumere nei confronti dell’audiuvato.

Nonostante gli sviluppi legislativi recenti, si riscontrano ancora molte incertezze riguardo all’applicazione del diritto penale nel campo delle pratiche di fine vita2. In una decisione del 20053, la corte suprema federale

(Bundesgerichtshof - BGH), che negli anni ha affrontato i vari problemi giuridici legati alle scelte di fine vita, aveva messo in evidenza che i limiti penali a cui è soggetta l’interruzione di un trattamento c.d. salvavita non erano sufficientemente chiari. Sebbene il legislatore abbia cercato – in ambito civile – con la disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento da parte del paziente (Patientenverfügung)4, entrata in vigore nel 2009, di contribure alla certezza del

diritto, la materia mostra ancora dubbi nei casi limite5. Peraltro, la terminologia

giuridica distingue tra aktive Sterbehilfe (eutanasia attiva: intesa come

2 V. per un’analisi approfondita, anche per ulteriori riferimenti, L. NEGRI, Consenso del paziente, trattamenti sanitari e pratiche di fine vita, p. 124 ss., reperibile on line alla pagina:

http://www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2018/05/Consenso-del-paziente- trattamenti-sanitari-e-pratiche-di-fine-vita.pdf.

3 BGH, 8 giugno 2005, XII ZR 177/03, § 19, in www.openjur.de.

4 Drittes Gesetz zur Änderung des Betreuungsrechts, terza legge di riforma del diritto tutelare, del 29 luglio 2009 entrata in vigore l’1° settembre 2009. Cfr. art. 1901a ss. BGB, che ha introdotto una disciplina specifica della Patientenverfügung, in grado di far valere il diritto all’autodeterminazione del paziente, anche quando egli non sia in grado di esprimere il proprio con/dissenso al trattamento medico. La volontà dichiarata in precedenza dal paziente viene verificata in rapporto alle circostanze concrete nella cornice del rapporto dialettico tra rappresentante e medico, cui si aggiunge l’intervento del giudice tutelare ove necessario; qualora tale volontà non sia stata espressa, la disciplina conferisce rilevanza alla volontà presunta, da ricostruire sulla base di criteri determinati. Per le disposizioni anticipate valgono i limiti generali dell’autonomia del paziente: nessuno può essere esonerato dal divieto penale dell’omicidio su richiesta (art. 216 StGB) sulla base di una disposizione del paziente, né su essa può essere fondato un diritto soggettivo a un trattamento medico non indicato.

5 Cfr. per un’analisi approfondita, anche per ulteriori riferimenti, L. NEGRI, Consenso del paziente, trattamenti sanitari e pratiche di fine vita, cit.

intenzionale riduzione della vita attraverso un intervento medico), condotta penalmente rilevante ai sensi degli artt. 211, 212 o 216 StGB, e la passive

Sterbehilfe (eutanasia passiva: intesa come omissione delle misure opportune per

prolungare una vita che volge al termine) condotta invece non penalmente rilevante nell’ordinamento tedesco. A ciò si aggiunge anche l’inquadramento giuridico, secondo l’opinione prevalente, della condotta di distacco del respiratore come omissione di trattamento medico ulteriore, e quindi come passive

Sterbehilfe, e, secondo la teoria roxiniana, come omissione mediante azione

(Unterlassen durch Tun); mentre, la somministrazione di farmaci palliativi, che causino al contempo un accorciamento della vita del paziente, al ricorrere di determinate circostanze sarebbe da classificare come indirekte Sterbehilfe (penalmente irrilevante). Su detta differenza terminologica è intervenuto nel 2010 il Bundesgerichtshof6, affermando che le valutazioni delle condotte del personale

sanitario non dovranno più dipendere dalla finora dominante distinzione tra azione e omissione (v. infra).

2. Le singole fattispecie e la regolamentazione normativa