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Il parere del Conseil d’État del 20 giugno 2001 sulla legge relativa

Il Conseil d’État era stato adito dal presidente del Senato in data 22 marzo 2001 per una richiesta di parere su due proposte di legge, quella relativa all’eutanasia e quella relativa alle cure palliative. Il Conseil d’État ha esaminato le leggi sia in relazione al rispetto del diritto alla vita (prima parte del parere), sia in relazione al diritto penale (seconda parte del parere). Nello specifico, si trattava di determinare se, depenalizzando l’eutanasia, il legislatore venisse meno al proprio compito di tutelare la vita.

– Sulla compatibilità della proposta di legge con il diritto alla vita

Dopo aver ricordato che, secondo la giurisprudenza della Corte EDU, l’obbligo positivo, che discende dall’art. 2 della Convenzione EDU21, si traduce

nell’adottare una legislazione penale concreta, di dissuasione dalla commissione di atti contro la persona e, in alcune circostanze, nell’adottare misure per proteggere l’individuo contro se stesso e che, sempre secondo la Corte, le autorità possono adottare misure per limitare anche i casi di automutilazione o di suicidio, senza violare il principio del diritto all’autodeterminazione dell’individuo, il

Conseil d’État ha stabilito che l’importanza dell’obbligo di tutelare il diritto alla

vita deve essere interpretato alla luce del diritto all’autodeterminazione. In questo quadro, ha considerato che bisogna tenere conto dell’intensità della volontà della persona che richiede l’eutanasia. Ad esempio, qualora un individuo non sia capace

20 X.DIJON, Le sujet de droit en son corps – Une mise à l’épreuve du droit subjectif, op. cit., n. 865.

21 Il Conseil d’État ha ricordato che l’art. 2 della Convenzione EDU si sostanzia sia in obblighi negativi (il divieto, per lo Stato, di privare della vita un individuo) che positivi, ovvero l’obbligo di prendere le misure necessarie alla protezione della vita delle persone.

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di decidere per se stesso, l’obbligo imposto alle autorità è, evidentemente, più importante di quello che si ha quando l’interessato è effettivamente capace di fare scelte sulla propria vita.

Il Conseil d’État ha poi affermato che l’eutanasia non può configurarsi come una rinuncia al diritto alla vita. A suo parere, è difficilmente identificabile a quale diritto un soggetto rinunci qualora solleciti, egli stesso, un determinato trattamento: il fatto che una persona chieda che sia posto fine ai suoi giorni non significa che rinuncia al diritto di protezione della sua vita. Sembra, al contrario, che tale persona “eserciti”22, essa stessa, tale diritto, fissando i limiti della

protezione che personalmente auspica.

Gli artt. 2 della Convenzione EDU e 6 del Patto internazionale sui diritti civili e politici (d’ora innanzi, PIDCP) non implicano, in nessun modo, l’obbligo per lo Stato di proteggere la vita in qualunque circostanza contro la volontà dell’interessato. Tale interpretazione presupporrebbe, in effetti, che i trattati internazionali sui diritti dell’uomo imponessero obblighi agli Stati a titolo principale e che i diritti dei cittadini fossero riconosciuti a titolo sussidiario. Il

Conseil d’État ha considerato tale interpretazione contraria al principio che si

fonda sul riconoscimento dei diritti dell’uomo, ovvero che ciascun individuo possiede diritti fondamentali e inalienabili, che in quanto tali lo Stato è tenuto a rispettare e a proteggere. Inoltre, secondo il Conseil d’État, pare sorprendente che nessuna disposizione convenzionale obblighi le autorità a proteggere “la vita” in quanto tale, il che conferma ancora una volta il principio secondo cui conviene basarsi sulla situazione concreta nella quale si trova ciascun individuo per verificare o meno la tutela di tale diritto.

Così riscostruito il quadro generale, si è passati ad esaminare in quale misura la volontà di morire espressa da un individuo influenzi l’importanza dell’obbligo positivo delle autorità a proteggere il diritto alla vita. Al riguardo, Conseil d’État ha ricordato che tale obbligo si pone in conflitto con il diritto dell’interessato di essere protetto contro trattamenti disumani o degradanti (art. 3 Conv EDU e art. 7 PIDC) e con il diritto al rispetto della sua integrità fisica e morale, che discende dal diritto al rispetto della vita privata (art. 8 Conv. EDU e art. 17 PIDCP), conflitto che non è stato risolto né dalla Corte EDU né dal PIDCP.

I giudici hanno proseguito sottolineando che la proposta di legge ha come obiettivo quello di attenuare il divieto di rispondere alla richiesta di morire. Tale misura, essendo di competenza del legislatore, implica che alcuni limiti siano effettivamente posti al suo potere discrezionale. A tal fine, il Conseil ha esaminato

le condizioni che disciplinano l’eutanasia: a suo parere, la procedura prevista poneva sufficienti condizioni per garantire che l’eutanasia sarebbe stata realizzata con la necessaria prudenza. I giudici hanno quindi concluso che tale proposta di legge non era incompatibile con le disposizioni della Convenzione EDU e del PIDCP.

– Sulla la rilevanza penale della proposta di legge

Nella seconda parte del parere, il Conseil d’État ha analizzato la rilevanza penale della normativa.

Per quanto riguarda la protezione penale del diritto alla vita, il Conseil d’État ha ricordato che la proposta di legge non riguardava le disposizioni del Codice penale che puniscono l’omicidio doloso, l’omicidio colposo o l’omissione di soccorso. Inoltre, in una nota, il Conseil d’État ha specificato che non si potrebbe rimproverare ad un ordinamento di violare l’art. 2 della Conv. EDU solo per il fatto che non preveda una repressione specifica della c.d. eutanasia “passiva”23.

Ha poi stabilito che le disposizioni hanno rilevanza sul diritto penale, visto che stabiliscono le condizioni nelle quali il medico non commette un reato. Il Conseil

d’État ha così distinto quello che rientra nel campo di applicazione della legge da

quello che non vi rientra: tale legge non riguarda (1) il fatto di non iniziare o di far cessare atti medici inutili o sproporzionati, (2) atti medici volti al trattamento del dolore e che abbiano un effetto di riduzione del tempo di vita, (3) l’assistenza medica al suicidio, (4) l’atto del medico che mette intenzionalmente fine alla vita di una persona senza una sua richiesta.

In seguito, il Conseil d’État ha analizzato le situazioni specifiche molto vicine all’eutanasia, come la sedazione e l’assistenza medica al suicidio.

Dopo aver sottolineato i limiti della legislazione sulle cure palliative e, nello specifico, sulla sedazione profonda, il Conseil d’État si è soffermato sulle problematiche inerenti all’assistenza medica al suicidio, ovvero quando è il paziente stesso a darsi la morte con l’assistenza del medico. Il Conseil d’État ha espresso un punto di vista critico sulla scelta di non includere l’assistenza medica al suicidio nel campo di applicazione della legge sull’eutanasia. Ha constatato, infatti, che sussistono margini di incertezza riguardo alla natura punibile di tale condotte. La persona che abbia assistito colui che ha posto in essere una condotta di suicidio non può essere qualificata come complice e non può, quindi, essere perseguita. In pratica, continua il Conseil, non è escluso che tale condotta sia

23 Il Conseil d’État ha rinviato alla decisione della Corte EDU, n. 20527/92, del 10 febbraio 1993, Widmer, §1.

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qualificata, in determinati casi, come omissione di soccorso, ai sensi degli artt. 422bis e 422ter c.p. In secondo luogo, è stata ricordata la necessità, per il legislatore, di rispettare i principi costituzionali di uguaglianza e non discriminazione, in particolare nei casi in cui il suicidio sia commesso fuori dal contesto medico e l’assistenza del sanitario non sia posta in essere nelle stesse condizioni di quelle proposte dalla legge. Tuttavia, a parere del Conseil d’État, è concepibile che l’assistenza al suicidio si svolga nel rispetto delle condizioni previste dalla proposta di legge o in condizioni equivalenti. In questo caso, non vi è alcuna differenza, se si considera la natura stessa della condotta e le intenzioni della persona che assiste una persona che intende suicidarsi, tra l’eutanasia come definita dalla legge e l’assistenza medica al suicidio. Non è chiaro perché la legge proposta non contempli la condotta del medico che mette a disposizione del paziente sostanze letali su sua richiesta, lasciandogli la scelta del momento della sua morte e astenendosi dal commettere egli stesso l’atto mortale, anche perché tale condotta, come si è visto, può condurre il medico a dover rispondere del reato di omissione di soccorso. L’unica differenza oggettiva tra queste due situazioni sta nel fatto che l’atto che conduce direttamente alla morte sia posto in essere o meno dal medico.

4. La sentenza della Cour constitutionnelle n. 153/2015