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Il trattamento giudiziario dei casi di suicidio assistito

3. La disciplina penale relativa al suicidio

3.2. Il trattamento giudiziario dei casi di suicidio assistito

principio, fuori dall’ambito ospedaliero, il c.d. “suicidio assistito” potrebbe configurarsi come omicidio, omissione di soccorso o avvelenamento, anche se la persona deceduta avesse espressamente dichiarato la sua volontà di morire, consentendo di sottoporsi all’azione volta ad ucciderla. Inoltre, la circostanza che un tentato omicidio sia il risultato del desiderio espresso dalla persona contro la quale tale tentativo è stato operato non costituisce una scusante25. In altri termini,

l’accordo della vittima non può essere un motivo che possa esentare l’imputato dalla sua responsabilità penale. Lo stesso ragionamento vale quando il soggetto che ha fornito aiuto al suicidio esprima, anch’esso, la volontà di porre fine alla propria vita26.

25 V. Cass. crim., decisione del 21 agosto 1851.

26 Ad esempio, è stato rinviato davanti alla Corte di assise, per omicidio doloso della propria moglie, un uomo che si era gettato con la stessa in una palude con l’intenzione di ucciderla e di suicidarsi. V. Cass. crim., decisione n.97-80.669 del 10 aprile 1997.

Apparentemente chiaro in linea teorica, il trattamento giudiziario dei casi di “suicidio assistito” è, nella prassi, sempre, più complesso. Per agevolare i magistrati nel compito di qualificazione di fatti non sempre chiari da determinare e che pongono in gioco questioni così delicate come il fine-vita, il Ministero della giustizia, nel 2011, ha trasmesso ai procuratori e ai presidenti delle corti di appello e dei tribunaux de grande instance, una circolare27 nella quale, non solo si

ricordavano i grandi principi della legge del 2005, ma si davano anche direttive per il trattamento giudiziario di tali situazioni.

Nello specifico, tale circolare ha dato indicazioni ai magistrati in merito alle decisioni relative all’opportunità di avviare un procedimento penale, alla scelta della qualificazione giuridica dei fatti, all’orientamento da dare alla procedura, nonché alla gestione umana e mediatica dei casi.

Punto rilevante di tale circolare è quello relativo alla scelta della qualificazione giuridica delle condotte. Senza pretesa di esaustività, il Ministero ha elencato, infatti, le varie qualifiche che possono essere configurate a seconda delle situazioni, distinguendo tra atti commissivi e omissivi.

Si riportano di seguito le indicazioni fornite nella circolare. – In caso di azioni

Fuori dai casi in cui un individuo dà, di sua volontà, la morte a una persona e per la quale la qualifica penale dei fatti non desta difficoltà, altre situazioni, più ambigue, possono dare luogo a diverse qualificazioni giuridiche. Questo vale soprattutto per i casi di suicidio assistito. Al riguardo, la circolare ha ricordato che, nell’ordinamento francese, il consenso della vittima non è un fatto che possa giustificare l’omicidio e, richiamando la giurisprudenza della Corte EDU del 29 aprile 2002, Pretty c. Regno Unito, ha sottolineato l’impossibilità di riconoscere alle persone un diritto al suicidio. Di conseguenza, nessuno può chiedere ad una persona di darle la morte.

La circolare ha stabilito poi che, qualora non sia configurabile come una istigazione al suicidio ai sensi dell’art. 223-13 c.p., il “semplice”28 aiuto al suicidio implica varie distinzioni.

27 Circolare del 20 ottobre 2011 sull’attuazione della legge del 22 aprile 2005 relativa ai

diritti dei malati e al fine-vita e sul trattamento giudiziario dei casi detti di “fine-vita”, n. JUSD1128836C. Il testo della circolare è reperibile on line alla pagina

http://www.textes.justice.gouv.fr/art_pix/JUSD1128836C.pdf. 28 Il termine è messo tra virgolette anche nel testo della circolare.

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In primis, bisogna distinguere ciò che integra la semplice assistenza al suicidio

da ciò che costituisce un omicidio doloso (221-1 c.p.) o un avvelenamento (art. 221-5 c.p.).

Una seconda distinzione deve essere fatta in merito al tipo di aiuto, differenziando l’aiuto al suicidio che riguarda i mezzi utilizzati da quello che riguarda il risultato (la morte). Per eseguire tale distinzione, si deve cercare di determinare se il soggetto ha semplicemente aiutato l’altra persona a suicidarsi, avendo quest’ultima posto materialmente in essere il suo suicidio (quindi aiuto sui mezzi), o se il soggetto terzo abbia, da solo, dato la morte alla persona desiderosa di morire (aiuto sul risultato). Ad esempio, è stato giudicato che “l’approvvigionamento dell’arma su richiesta della persona che ha liberamente preso la decisione di suicidarsi, mediante la quale si darà la morte, costituisce solo una complicità per aiuto o assistenza non punibile e non una provocazione al suicidio ai sensi del Codice penale”29. Inoltre, se il mezzo fornito è, di per sé, illecito, l’atto può anche essere perseguito autonomamente come esercizio illegale della farmacia (art. L. 4223-1 c.s.p.) o come non rispetto della disciplina sulle sostanze velenose (art. L. 5432-1 c.s.p).

Vi sarebbe, infine, la possibilità di perseguire l’agente anche per abuso fraudolento dello stato di ignoranza o di debolezza, nel caso facesse pressioni per indurre una persona in stato di manifesta vulnerabilità a suicidarsi o a rifiutare un trattamento.

– In caso di omissioni

Fuori dalle ipotesi di un aiuto materiale effettivo e attivo, possono presentarsi casi di omissioni, riconducibili a negligenza, imprudenza (omicidio colposo) o a volontà deliberata (omissione di soccorso).

L’omissione di soccorso si verifica qualora sia provato che la persona terza sia stata a conoscenza delle intenzioni suicidarie del soggetto e che, volontariamente, non abbia preso alcuna misura per portargli assistenza. Così, qualunque persona informata della volontà di un congiunto in situazione di fine-vita o di grande vulnerabilità, di darsi la morte, potrebbe essere perseguito se si fosse astenuto volontariamente dal prestargli soccorso mentre poteva farlo, con una sua azione personale o provocando i soccorsi, senza rischio per lui o per un terzo.

A contrario, il medico che si sia astenuto volontariamente dal dare al paziente

il suo trattamento, perché richiesto da esso, non potrà, in nessun caso, essere

29 V. Tribunal correctionnel de Lille, decisione del 5 aprile 1990 e Cour d’appel d’Orléans, Ch. Acc., decisione del 5 aprile 1990.

perseguito per omissione di soccorso visto che, dall’entrata in vigore della legge del 4 marzo 2002 e della legge del 22 aprile 2005, il rispetto della volontà espressa dal paziente, nei limiti fissati dalla legge, prevale sull’obbligo del medico.

Infine, l’omicidio colposo potrà essere configurato solo contro le persone prossime alla vittima che abbiano commesso un errore tale da aver indirettamente causato il suo decesso.

3.3. Il caso Mercier (Cass. Crim., decisione n. 16-87054