“La neutralità degli spazi pubblici nella giurisprudenza CEDU”
3. La neutralità religiosa nello spazio pubblico e nei luoghi di lavoro
3.1 Il divieto di coprirsi il volto in pubblico: il caso S.A.S c Francia
Il caso S.A.S c. Francia affronta la questione più generale dell’esibizione in pubblico (e non esclusivamente nelle sedi istituzionali) del velo integrale279 nell’ordinamento francese; nel 2010, l’Assemblea nazionale ha approvato la legge n° 1192, il cui art. 1 sancisce che “ nessuna persona, in pubblico280
, può indossare indumenti al fine di celare il volto”.
Inizialmente, il progetto del testo normativo aveva qualificato “ il porto del velo come una pratica contraria ai principi
fondanti la Repubblica, non solo in quanto non espressione del principio di laicità, ma, soprattutto, in quanto negazione del principio di libertà di espressione perché rende manifesta una forma di oppressione; il velo venne considerato segno di discriminazione tra uomini e donne e, quindi, di negazione del principio di pari dignità tra esseri umani”281. Tuttavia, dopo l’intervento282 del Consiglio di Stato il quale ha ritenuto che il divieto assoluto del porto del velo integrale rappresentava una forma di discriminazione per la religione musulmana, il progetto di legge ha esteso la sua disciplina a qualsiasi indumento che coprisse il volto per la tutela della sicurezza pubblica; ciò nonostante, la legge n° 1192 dell’11 ottobre 2010 ha ribadito che la pratica di indossare il velo islamico risultava contrario ai
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Il burqa è un abito che copre integralmente sia la testa che il corpo, lasciando una fessura nei pressi degli occhi, similmente al niqab.
280 L’art. 2 della legge 1192/2010 definisce lo spazio pubblico come quello “ costituito da strade pubbliche e luoghi aperti al pubblico o impegnati in un servizio pubblico”.
281 Cfr., A. VALENTINO, La sentenza sul caso S.A.S c. Francia della Corte Europea dei diritti dell’uomo: principio di laicità e divieto assoluto di coprirsi il volto in pubblico, in www.aic.it,2014, pag. 8.
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principi costituzionali, tra cui la laicità, e ai valori repubblicani di liberté, egalité fraternité e alle esigenze del vivere insieme.
Dopo l’entrata in vigore della legge 283
, il Presidente dell’Assemblea nazionale ha adito il Conseil Constitutionnel per un controllo di legittimità costituzionale della disciplina legislativa: esso, con sentenza n° 613/2011, ne ha dichiarato la legittimità sostenendo che il velo integrale potesse rappresentare una minaccia per la sicurezza pubblica e per i principi di libertà e di uguaglianza.
Nel caso di specie, la ricorrente, una cittadina francese, nata in Pakistan e di religione musulmana praticante284, con ricorso n° 43835/2011, ha adito la Corte EDU lamentando una violazione degli artt. 8 ( diritto al rispetto della vita privata), 9 (libertà religiosa), 10 (libertà di espressione), 14 ( divieto di discriminazione)285. Tuttavia, la ricorrente aveva chiarito di non essere stata colpita direttamente dalla limitazione, ma ne lamentava una lesione indiretta286 nel godimento dei suoi diritti fondamentali, in particolare della libertà religiosa, poiché la sua fede e il porto del velo rientrano nel suo essere.
Con sentenza del 1 luglio 2014287, i giudici di Strasburgo hanno
riconosciuto l’esitenza di una ingerenza del diritto della
283 L’11 aprile 2011.
284 La ricorrente indossava abitualmente, sia in pubblico che in privato, il burqa e il niqab.
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La Corte ha verificato l’eventuale lesione in merito solo agli artt. 8, 9 e 14. 286 La qualità di vittima è una condizione necessaria per la validià della proposizione del ricorso; tuttavia, la Corte ha ammesso la legittimazione ad agire anche quando il ricorrente non è stato colpito direttamente da un’ingerenza purchè egli sia stato costretto a modificare la propria condotta per non essere colpiti da sanzioni penali o faccia parte di una categoria di persone che rischia di essere colpita direttamente dalla regolamentazione statale. I giudici hanno riconosciuto alla ricorrente lo status di vittima per tali motivazioni.
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ricorrente di manifestazione del proprio credo poiché “la
metteva in una posizione di dilemma tra ubbidire alla legge, frustrando il proprio sentimento religioso, o incorrere in sanzioni”288; allo stesso tempo, la Corte ha sostenuto la presenza dei requisiti ex art. 9.2 ( base legale, scopo legittimo e proporzionalità della misura) affermando che la legge contestata, da una parte era finalizzata alla tutela della sicurezza pubblica, dall’altra alla protezione di un minimo di valori democratici: uguaglianza tra uomo e donna, rispetto della dignità della persona e esigenze del vivere insieme. In merito a tali esigenze, la Corte ha individuato , quale scopo legittimo, la protezione dei diritti altrui e che l’ingerenza è proporzionata a ciò: “la
dissimulazione del volto in pubblico crea difficoltà alle relazioni sociali, ledendo il diritto altrui di muoversi in uno spazio ove la vita comune è facilitata”.
Inoltre, la sentenza osserva che la Francia, nell’approvare la legge discussa, ha attribuito “un notevole peso ad uno dei
legittimi scopi previsti dall’art. 9 CEDU, cioè quello di rispondere alle esigenze minime del vivere in società quale elemento di protezione dei diritti e delle libertà altrui”289; dunque, i giudici di Strasburgo hanno ravvisato la legittimità della restrizione prevista dalla legge n°1192/2010 in quanto è giustificata dallo scopo del vivere insieme quale elemento della protezione dei diritti altrui, senza violare gli artt. 8, 9 e 14 CEDU.
288 Cfr., A. VALENTINO, La sentenza sul caso S.A.S c. Francia della Corte Europea dei diritti dell’uomo: principio di laicità e divieto assoluto di coprirsi il volto in pubblico, in www.aic.it,2014, pag. 13.
289 Cfr., U. ZINGALES, Il limite di compatibilità dei simboli religiosi negli spazi pubblici di una democrazia aperta: il caso del burqa e del niqab, in www.federalismi.it,2015, pag. 9.
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