3. Libertà religiosa e laicità nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo e nell’ordinamento dell’Unione
3.3 La giurisprudenza della Corte EDU in tema di libertà religiosa
Adire la Corte di Strasburgo in materia di libertà religiosa è diventata, nella prassi, all’ordine del giorno; nella maggior parte dei casi, essa viene interpellata ad esprimersi su questioni in cui si rivendica una possibile violazione dell’art. 9.
E’ importante sottolineare come la Corte svolga un controllo meramente sussidiario, limitato alla decisione del caso concreto; in materia religiosa viene adita per accertare l’esistenza di una eventuale lesione dell’art. 9. Nello svolgere tale compito, essa è tenuta a verificare la sussistenza dei requisiti dell’art. 9.2:
innanzitutto, che la misura restrittiva abbia base
legale/giurisprudenziale56; se quest’ultima esiste57, la Corte deve assicurarsi che il provvedimento restrittivo della libertà religiosa sia legittimato da motivi di pubblica sicurezza o di protezione di
56
La Corte ha preferito una lettura materiale, e non formale,del termine “law” dell’art 9.2, includendo sia il diritto scritto (leggi,decreti e regolamenti), sia il diritto giurisprudenziale.
57
Se non esiste una base legale, la Corte dichiarerà la illegittimità della misura restrittiva e conseguente lesione dell’art. 9.1 senza analizzare gli altri requisiti.
42 altrui diritti.
Grazie alla sua copiosa giurisprudenza, è possibile individuare il
principio di laicità europeo, principio che, tuttavia non può
risultare univoco in tutti gli Stati membri in quanto la stessa Corte ha spiegato come occorre lasciare al singolo Stato un margine di apprezzamento nel regolare i rapporti Stato-Chiese e nell’ operare scelte di politica religiosa secondo le esigenze culturali e sociali proprie e i principi dell’ordinamento di ciascun Paese; discrezionalità dello Stato, tuttavia, non vuol dire
senza limiti58. Infatti la Convenzione non esclude l'esistenza di
uno stato di chiesa, ma anche se un ordinamento giuridico prevede uno stato di chiesa, la libertà di religione e il riconoscimento dei diritti di coloro che hanno una fede diversa da quella “di stato” devono essere certi, in ossequio dell’art. 9 e dell’art.14, che vieta espressamente discriminazioni basate sul fattore religioso.
La Corte ha optato per uno Stato neutro, al cui interno nessuna religione prevale sulle altre; lo Stato deve rimanere immune da contaminazioni religiose, opponendosi al fenomeno di fanatismo religioso e promuovendo un società multiculturale, ove le diversità, anche religiose, possano formarsi e coesistere tra loro. Tuttavia la laicità europea, al pari della laicità che si è affermata nella maggior parte dei Paesi democratici, tra cui l’ordinamento italiano, non deve essere intesa in senso negativo come neutralità-indifferenza del potere pubblico di fronte al fenomeno religioso, ma in senso positivo quale imparzialità ed
58 Alcuni limiti sono quelli richiamati nel secondo paragrafo dell’art. 9 CEDU, quali ordine pubblico, morale pubblica, salute e tutela dei diritti e delle libertà altrui; altri discendono dal necessario atteggiamento di equidistanza dell Stato che deve tenere nei confronti di tutte le religioni.
43
equidistanza dello Stato nei confronti dei credi religiosi,
favorendo loro uguaglianza e medesimo rispetto ed
intervenendo, qualora sia necessario, per la salvaguardia della libertà religiosa individuale e collettiva e per favorire la convivenza e il rispetto tra le confessioni religiose nel contesto del pluralismo culturale.
3.3.1 Casistica
La prima sentenza59 della Corte EDU in materia religiosa
risale al 1992 e riguarda il caso Kokkinakis c. Grecia: la questione si fonda sul ricorso di un cittadino greco appartenente al culto dei Testimoni di Geova e condannato dai giudici nazionali per l’attività di proselitismo vietata, dalla Costituzione greca del 1975, nei confronti di tutte le religioni. Nel 1992 la Corte EDU si è espressa accogliendo il ricorso e pronunciando, per la prima volta, violazione dell’art. 9 della CEDU. Le motivazioni di tale decisione giocano sul combinato disposto dei 2 paragrafi del suddetto articolo; da una parte, l’art. 9.1 sancisce la libertà religiosa sia come libertà di scelta e di adesione (o di non scelta/adesione) ad un determiato culto del singolo, sia come libertà di esprimere il proprio credo osservando le prescritte liturgie e compiendo attività di proselitismo; dall’altra parte, il 9.2 gioca a favore dello Stato che può limitare le manifestazioni di culto per motivi di sicurezza pubblica e di protezione dei diritti altrui.
Nelle conclusioni della sentenza, si afferma come “la libertà di
pensiero, nella sua dimensione religiosa, rappresenta uno dei pilastri di una società democratica”; lo Stato greco è sanzionato,
59
44
non perché ha scelto una religione dominante60, ma poiché si è dimostrato intollerante di un proselitismo che la Corte non ritiene abusivo, ma lo ritiene testimonianza cristiana e come tale da rispettare61.
La stessa posizione è assunta dalla Corte EDU nella sentenza
Larissis c. Grecia 62, in cui, la sanzione comminata a tre ufficiali delle forze armate, che avevano cercato di convertire alcuni soldati al loro credo religioso, non è giudicata lesiva dell’art. 9 CEDU, in quanto la struttura gerarchica che caratterizza la condizione militare rendeva difficile a questi di sottrarsi all’attività di proselitismo dei superiori. La limitazione è giustificata dal 9.2, in ragione della protezione dei diritti altrui.
In altri casi, la Corte ha dovuto esprimersi su questioni in cui era necessario un bilanciamento tra libertà religiosa, che implica di ottenere il rispetto altrui, e libertà di manifestazione
del pensiero63, che si concretizza nel diritto di esprimere le proprie idee.
Al riguardo, si segnalano i casi Otto-Preminger Institute c.
60 La Costituzione greca definisce la Chiesa ortodossa orientale di Cristo come religione dominante.
61 Cfr., A. GARDINO, La libertà di pensiero, di coscienza e di religione nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, in G. ROLLA (a cura di), Libertà religiosa e laicià. Profili di diritto costituzionale.,Jovene, Napoli, 2009, pagg. 10-12. 62 Sent. 24.2.1998, ricorso n° 23372/94.
63
Art. 10 CEDU, “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive.
L’esercizio di queste libertà, poiché comporta doveri e responsabilità, può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla sicurezza nazionale, all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, alla protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire l’autorità e l’imparzialità del potere giudiziario”.
45
Austria64 e Wingrove c. Gran Bretagna65; in entrambi le questioni, la Corte è stata adita per verificare se i provvedimenti restrittivi , quali sequestri e confische, compiuti dalle autorità statali nei confronti di proiezioni filmistiche giudicate ingiuriose di persone e simboli religiosi di un certo credo e, come tali, integranti il reato di blasfemia previsto dagli ordinamenti coinvolti, fossero in contrasto con l’art. 10 CEDU. In entrambi i casi, la Corte ha concluso per la legittimità dei provvedimenti restrittivi, se pur con argomenti diversi; la prima sentenza trova il suo fondamento nel rifiuto, nel manifestare le proprie idee, di eccessi quali rappresentazioni gratuitamente offensive delle credenze religiose altrui, poiché costituirebbero violazione dello spirito di tolleranza tipico di una società democratica. Nella seconda sentenza, la Corte si limita ad accertare come i provvedimenti restrittivi fossero stati presi con l’obiettivo di salvaguardare i diritti altrui, senza operare il bilanciamento ta libertà religiosa e quella di espressione.
Un altro contesto dove la Corte è stata adita più volte, è quello della manifestazione individuale del proprio credo religioso negli spazi pubblici; la sentenza Dahlab c. Svizzera66 riguarda la questione del velo islamico indossato in luoghi pubblici dalle donne islamiche, oggetto di restrizione da parte di alcuni ordinamenti: la ricorrente, convertita all’Islam, lamentava una violazione dell’art. 9 CEDU in quanto le era stato vietato di indossare il velo durante l’esercizio della sua attività di insegnante, ritenuto come la sua esibizione comprometteva il principio di neutralità religiosa della scuola sancita nella
64 Sent. 23.8.1994, ricorso n° 13470/87. 65
Sent. 22.10.1996, ricorso n° 17419/90. 66 Sent. 15.2.2001, ricorso n° 42393/98.
46
Costituzione federale. La Corte ha concluso per la legittimità del divieto in conformità dell’art. 9.2, affermando che, nel bilanciamento tra libertà di manifestazione della fede della ricorrente e la salvaguardia della pace religiosa, prevale quest’ultima, posto che il velo è difficile da coinciliare con il valore di tolleranza e di non discriminazione che gli insegnanti devono trasmettere ai propri alunni, specie di età infantile.
Sulla questione del velo islamico, la posizione definitiva della Corte si evince dalla sentenza della Grande Chambre Leyla
Sahin c. Turchia67, già deciso nella sentenza di una Chambre
l’anno precedente affermando l’insussistenza di una violazione dell’articolo 9. Ancora una volta, la ricorrente, studentessa dell’università di Istanbul, rivendicava il diritto di indossare il velo, in obbedienza a un precetto religioso, nello spazio universitario, di fatto vietato da una circolare rettorale. A parer della Corte, la restrizione in esame è legittima, in quanto prevista dalla legge per l’esigenza di protezione dei diritti altrui e dell’ordine pubblico; non solo, ma la Corte ha rilevato come in Turchia, la salvaguardia della laicità è uno dei principi fondamentali dell’ordinamento per cui, le autorità universitarie non hanno adottato misure sproporzionate a tal fine.
La soluzione adottata in tale sentenza è stata dichiarata definitiva e funge da “precedente forte” per le successive questioni; le motivazioni affermate non saranno più ridiscusse e la Corte deciderà solo in termini di ricevibilità o meno dei ricorsi futuri.
Ancora con riguardo al diritto all’identità religiosa e al
47
conseguente diritto di manifestare il proprio credo, si ricordi la sentenza S.A.S c. Francia68 della Grande Chambre, in tema di
burqa e niqab, in cui la Corte ha concluso che il velo integrale
contrasta non solo con il principio di laicità ma genera anche una lesione dei valori repubblicani francesi della liberté,
ugualité e fraternité, in quanto simbolo della sottomissione della
donna, di lesione della pari dignità umana e di negazione dei principi del vivere comune.
La Corte si è poi dovuta cimentare nel complesso problema dell’esposizione del crocifisso nelle sedi pubbliche quali istituti scolastici, aule giudiziarie e uffici pubblici in generale, questione da coinciliare con la neutralità di tali luoghi, alla luce del principio di laicità assunto dalla maggior parte dei
Paesi occidentali come uno dei principi supremi
dell’ordinamento in ragione del pluralismo sociale; sul punto, la
Grande Chambre si è espressa circa il caso Lautsi c. Italia69 che
sarà oggetto di specifico esame nei successivi capitoli.
68
Sent. 1.7.2014, ricorso n° 43835/11. 69
48