nell’ordinamento italiano”
2. L’esibizione personale nelle sedi pubbliche
Problemi riguardo la neutralità degli spazi pubblici nascono anche in relazione alla manifestazione del prorio credo
attraverso l’esibizione personale di simboli religiosi; questa
potrebbe qualificarsi quale lesione del principio di laicità dello Stato nelle sedi pubbliche, le quali rappresentano le istituzioni e per cui dovrebbero rimanere luoghi neutrali.
Occorre precisare che, l’uso di simboli rappresentativi di un credo può attenere, oltre che alla sfera religiosa, anche alla libertà di “abbigliamento”. Ciò significa che il simbolo può essere indossato per manifestare la propria confessione oppure semplicemente quale componente del proprio vestiario senza fine religioso.
La libertà di abbigliamento presenta, dunque, una doppia accezione: da un lato si realizza quale espressione di ognuno di vestirsi come ritiene più opportuno e come tale tutelata dall’art. 13 Cost. (libertà personale); dall’altro, può essere intesa come
mezzo comunicativo, la cui tutela è assicurata dall’art. 21 Cost.
(libertà di manifestazione del pensiero) e dall’art. 19 Cost. nel caso in cui l’utilizzo del simbolo riguardi la dimensione religiosa.
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seconda che il simbolo religioso sia portato da soggetti che accedono alle sedi pubbliche o da individui che ricoprono un ruolo istituzionale in tali luoghi, tenendo conto che nel nostro ordinamento manca una disciplina ad hoc.
2.1 La manifestazione religiosa degli studenti
Per coloro che non detengono un incarico pubblico, quali gli studenti nelle scuole, gli elettori nei seggi e le parti di un processo in un’aula di tribunale, è preferibile tendere per la garanzia dell’uso del simbolo, in quanto il suo divieto generalizzato potrebbe rappresentare una violazione della libertà di manifestazione del proprio culto; non solo, ma potrebbe rappresentare una lesione della stessa laicità dello Stato che trova il proprio fondamento anche nella libertà religiosa. Detto ciò, l’esibizione di coloro che non svolgono una funzione pubbliche non sembra rappresentare un attacco alla neutralità delle sedi pubbliche.
Al contrario, l’uso di simboli, come il velo islamico, potrebbe rappresentare una ostentazione della religione tale da influenzare la formazione identitaria degli studenti, ancor più di un simbolo religioso, quale il crocifisso, appeso sulle pareti delle aule scolastiche, e da provocare l’ostilità e il rifiuto degli stessi. Sulla base di queste motivazioni, i presidi di alcune scuole italiane204 hanno vietato l’uso del velo alle studentesse di
204 Il preside di un istituto tecnico friulano, il "Malignani" di Cervignano del Friuli, ha deciso di vietare il velo islamico indossato dalle studentesse, motivando nella circolare che “Essendo la scuola italiana laica e indifferente al credo professato dagli allievi e dalle loro famiglie non sarà accettata, da parte di nessuno, l’ostentazione e l’esibizione, specialmente se imposta, dei segni esteriori della propria confessione religiosa, anche perché essa, in fin dei conti, può essere colta
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religione islamica, un divieto che rimane illegittimo visto che la possibilità di imporre una limitazione alla manifestazione della propria religione spetta esclusivamente al legislatore in base all’art. 9.2 CEDU.
Tuttavia, una eventuale limitazione legislativa del porto dei simboli religiosi negli istituti scolastici da parte degli alunni parrebbe non essere del tutto legittima in considerazione del fatto che essa andrebbe a contrastare alcune norme rilevanti nel contesto scolastico: si tratta dell’articolo 1, 4° del D.P.R. 24 giugno 1998, n° 249 il quale stabilisce che “la vita della
comunità scolastica si basa sulla libertà di espressione, di pensiero, di coscienza e di religione, sul rispetto reciproco di tutte le persone che la compongono, quale che sia la loro età e condizione, nel ripudio di ogni barriera ideologica, sociale e culturale”, e dell’art. con l’articolo 36, 3° comma della l. 6
marzo 1998, n° 40 che prevede che “la comunità scolastica
accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore da porre a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra le culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte alla accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d’origine e alla realizzazione di attività interculturali comuni”. Inoltre, il carattere interculturale del modello
educativo italiano, riaffermato con chiarezza dalla circolare del
Ministero della Pubblica Istruzione n° 205 del 1990205, la quale
ricorda che “l’obiettivo primario dell’educazione interculturale
si delinea come promozione della capacità di convivenza
come una provocazione e suscitare reazioni di ostracismo, disprezzo o rifiuto”. 205
Intitolata “La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri. L’educazione interculturale”.
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costruttiva in un tessuto culturale e sociale multiforme”206, risulta ormai decisamente consolidato; in virtù di ciò, il modello educativo italiano è finalizzato, in una società globalizzata e multiculturale, al rispetto delle diversità ed alla convivenza di queste e “la dimensione pluralistica che caratterizza la società
multireligiosa attuale comporta che la possibilità, riconosciuta agli studenti, di indossare simboli che ne rappresentino l’identità religiosa e culturale, possa rappresentare un significativo fattore di integrazione”207, mentre il il divieto di indossare tali simboli potrebbe, al contrario, condurre all’adozione di modelli incompatibili con i valori fondanti il nostro ordinamento.
In tale contesto, la questione appare delicata e complicata e l’eventuale disciplina legislativa dovrà effettuare un bilanciamento tra la libertà di manifestazione della propria fede e la libertà altrui all’identità religiosa, nonché il principio di laicità e il principio pluralistico.
206 La circolare suddetta continua affermando che “essa comporta non solo l’accettazione ed il rispetto del diverso, ma anche il riconoscimento della sua identità culturale, nella quotidiana ricerca di dialogo, di comprensione e di collaborazione, in una prospettiva di reciproco arricchimento. L’educazione interculturale valorizza le diverse culture di appartenenza perché la pur necessaria acculturazione non può essere ancorata a pregiudizi etnocentrici. I modelli della “cultura occidentale”, ad esempio, non possono essere ritenuti come valori paradigmatici e, perciò, non devono essere proposti agli alunni come fattori di conformizzazione”.
207 P. CAVANA, Modelli di laicità nelle società pluraliste. La questione dei simboli religiosi nello spazio pubblico, in Archivio giuridico “Filippo Serafini”, IV, 2006, 519.
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2.2 L’esibizione del simbolo da parte delle autorità
pubbliche durante lo svolgimento delle loro funzioni
Riguardo ai funzionari pubblici, sembrerebbe giustificato il sacrificio della loro libertà di manifestazione religiosa: vista la loro funzione di rappresentanti dello Stato, l’esibizione di un simbolo religioso andrebbe a restringere il campo della neutralità delle sedi pubbliche, provocando una lesione del principio laico; in più, tale esposizione è limitata anche dalla libertà di ciascuno a non sentirsi condizionato dalla autorità pubblica.
Un esempio al riguardo, è il caso dell’insegnante durante l’orario di lezione; per parte della dottrina, “sussiste un interesse
pubblico alla neutralità delle istituzioni scolastiche, come tale idoneo a comprimere il diritto dell’insegnante, mentre per altri l’uso del simbolo potrebbe costituire un mezzo di coartazione delle coscienze degli alunni e di proselitismo e un possibile attentato al ruolo educativo delle famiglie” 208 . Ciò giustificherebbe la restrizione del diritto dell’insegnante alla luce sia del principio di laicità, che trova il suo fondamento anche nella libertà religiosa, sia dell’art. 9, 2° comma CEDU che legittima il legislatore a limitare la libertà di manifestazione del proprio credo per la protezione del diritto altrui ( nel caso delle scuole, il diritto all’identità religiosa e di coscienza degli alunni).
Anche nel caso del giudice l’interesse alla garanzia della neutralità della funzione esercitata potrebbe essere pregiudicata
208
Cfr., E. ROSSI, Problemi pratici della laicità agli inizi del secolo XXI, in www.aic.it,2007, pag. 11.
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dall’uso di simboli religiosi che ne manifestino la sua appartenenza: nel bilanciamento tra la libertà religiosa del giudice e l’esigenza di giustizia quale interesse d’ordine generale, deve prevalere quest’ultima.
Quanto detto vale per il dipendente pubblico in generale: in quanto svolge funzioni statali, egli dovrebbe rimanere neutrale alla luce della laicità dello Stato e delle Amministrazioni statali, finalizzata alla garanzia della libertà religiosa e dell’uguaglianza tra culti, per cui srebbe giustificato un intervento legislativo che limiti la sua libertà di manifestazione di culto ex art. 9.2 CEDU.
Il legislatore deve soppesare la loro libertà di manifestazione religiosa con la laicità di uno Stato, che essi rappresentano, e con la libertà altrui di non sentirsi condizionato dall’autorità pubblica riguardo alla libertà di coscienza ed a quella religiosa; tuttavia, il legislatore dovrebbe considerare, nella regolamentazione del fenomeno, il divieto discriminatorio nel settore dei pubblici uffici per ragioni religiose di modo che non si crei una disparità di trattamento tra il dipendente pubblico che indossa un simbolo religioso e i dipendenti che non ne indossano alcuno.