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nell’ordinamento italiano”

3. Il simbolo religioso esibito nei luoghi aperti al pubblico Per un quadro completo della materia relativa alla

3.1 Il burqa nella legislazione italiana

In Italia non sussistono disposizioni specifiche che vietano l’uso del velo islamico e del burqa/niqab ( velo integrale). Tuttavia, la possibilità del divieto del burqa e del niqab, per ragioni di sicurezza pubblica, sembrerebbe rientrare nell’art. 5 della l. n° 152 del 1975213 ( se pur essi non siano espressamente citati), il quale statuisce che “è vietato l’uso di

caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo; è in ogni caso vietato l’uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino”. Interpretando la

norma, la quale non cita espressamente il velo integrale, essa deve essere applicata solo nel caso in cui la donna indossi il velo integrale in luogo pubblico senza giustificato motivo tale da rendere difficile il suo riconoscimento da parte delle forze dell’ordine.

Il dibattito è incentrato proprio sull’espressione “ senza

giustificato motivo”, cioè il dubbio riguarda la possibilità che le

ragioni culturali-religiose che spingono ad indossare il velo integrale rappresentino un giustificato motivo che legittimi l’uso di tale indumento. Punto di svolta nella questione è la decisione n° 3076 del 2008 del Consiglio di Stato, il quale è intervenuto per porre fine al caos causato da una serie di ordinanze che avevano preteso di estendere l’art. 5 al semplice uso del burqa e del niqab, e non solo per motivi di sicurezza pubblica come

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richiesto dalla stessa norma. Una di queste ordinanze è stata emessa dal Sindaco di Azzano Decimo nel 2004, il quale aveva inserito nel divieto di utilizzo di "mezzi atti a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona" anche il velo che copra il volto, appellandosi all’art. 5 della l. del ’75 ed all’art. 85 del TULPS, approvato con decreto regio n°773 del 1931, che vieta di comparire mascherati in luogo pubblico. L’ordinanza è stata però annullata dal Prefetto di Pordenone per incompetenza (la competenza è sì del Sindaco ma egli si trova in un legame di dipendenza con la Prefettura) e ritenuta illegittima dal Tar Friuli-Venezia Giulia in quanto “con riferimento al "velo che

copre il volto", o in particolare al burqa, si tratta di un utilizzo che generalmente non è diretto ad evitare il riconoscimento, ma costituisce attuazione di una tradizione di determinate popolazioni e culture”214.

La controversia si è conclusa con la citata decisione del Consiglio di Stato, il quale ha riconosciuto nel giustificato

motivo le ragioni religiose e culturali per cui il burqa è indossato:

il Consiglio di Stato ha dunque riconosciuto la illegittimità del provvedimento del Sindaco che proibisce di indossare il velo, in quanto basata su una erronea interpretazione della normativa vigente. Non solo, nella suddetta sentenza, il massimo organo amministartivo ha ribadito l’esistenza di un rapporto gerarchico tra prefetto e sindaco, quando quest’ultimo agisce quale ufficiale del governo per cui ha confermato il potere prefettizio di annullarele ordinanze emanate dal sindaco quale ufficiale del governo. Quindi, nonostante la riforma costituzionale del 2001,

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La citazione è tratta dal paragrafo 6 della sentenza n° 645 del 2006 del Tar Friuli-Venezia Giulia.

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rimane centrale il ruolo del prefetto, quale autorita` di vigilanza, di coordinamento e di risolutore di problemi relativi all’ordine pubblico.

Inoltre non rientra tra le competenze del sindaco quale rappresentante e responsabile della comunità locale quella di emanare un atto generale inmateria di ordine e sicurezza pubblica: infatti, l’«ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale» rientra nella potesta` legislativa esclusiva dello Stato.

Riguardo all’applicabilità dell’art. 5 della legge del 1975, il Consiglio di Stato ha aggiunto che “le esigenze di pubblica

sicurezza sono soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall’obbligo per tali persone di sottoporsi all’identificazione ed alla rimozione del velo ove necessario a tale fine”; quindi non si tratta di un divieto generalizzato, ma va

analizzata la necessità del divieto caso per caso. Infatti, “se

l’intento è davvero quello di salvaguardare la sicurezza pubblica non si comprende perché mai il divieto dovrebbe riguardare tutti indiscriminamente; in sintesi non si evince nessuna dimostrazione tangibile della reale incidenza che tale abbigliamento avrebbe nell’organizzazione di attentati terroristici”215.

Sull’applicabilità dell’art. 5 si è accesso anche il dibattito politico; alcuni progetti di revisione dell’articolo in questione prevedevano, apparendo così misure islamofobiche, la estensione del divieto di uso di indumenti che coprano o velino il volto a tutti i luoghi pubblici ed a qualsiasi luogo non adibito

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Cfr., M. LETTERIA QUATTROCCHI, Il divieto di indossare il burqa e il niqab in Italia e in Europa, in www.forumcostituzionale.it,2011, pag. 11.

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ad abitazione privata216 mentre altri assolvevano l’uso del velo integrale per giustificato motivo cioè per ragioni di natura religiosa o etnica purchè, ove richiesto da pubblico ufficiale, per motivate esigenze di sicurezza, la persona acconsenta tempestivamente a scoprire il volto per la momentanea identificazione. Tuttavia il legislatore ancora non ha approvato una legge che regolamenti il fenomeno.

In definitiva, nell’attuale sistema, il divieto sancito dall’art. 5 non è generale, ma deve essere valutata la sua applicabilità caso per caso; il fatto che venga indossato il burqa o in qualsiasi altro indumento che celi il volto e che ne ostacoli il riconoscimento per motivi religiosi costituisce giustificato motivo ex art. 5. Le istituzioni di un ordinamento che si proclama laico devono tendere al bilanciamento ponderato di

interessi contrapposti, sacrificando la libertà religiosa

individuale solo ove vi sia una concreta necessità nel salvaguardare altrettante libertà fondamentali o principi fondanti l’ordinamento democratico e purchè sia una misura restrittiva proporzionata all’obiettivo perseguito; il divieto generale all’uso del burqa potrebbe raggiungere un obiettivo diverso, cioè quello di impedire l’integrazione delle donne musulmane , spingendole, al contrario verso un’ulteriore segregazione217.

216 Progetto presentato dall’onorevole Simona Vicari il 27 settembre 2010. 217

Cfr, M. LETTERIA QUATTROCCHI, Il divieto di indossare il burqa e il niqab in Italia e in Europa, in www.forumcostituzionale.it,2011, pag. 15.

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