sedi pubbliche”
3. Esposizione del crocifisso nelle scuole pubbliche
3.3 Il caso Lautsi di fronte al giudice amministrativo ed alla Corte costituzionale
3.3.3 Sentenza n° 1110/2005 del Tar Veneto e decisione n° 556/2006 del Consiglio di Stato
Dopo la dichiarata inammissibilità della questione di costituzionalità delle norme del T.U. da parte della Corte Costituzionale, la questione sulla legittimità della deliberazione del consiglio d’istituto della scuola statale “Vittorino da Feltre”, con cui è stata respinta la richiesta della ricorrente di rimuovere
124 Cfr., P. TANZARELLA, Le decisioni Lautsi c. Italia: due pesi due misure, in M. CARTABIA (a cura di), Dieci casi sui diritti in Europa, Il Mulino, Bologna, 2011, pag. 82.
125 Nota di S. LARICCIA, A ciascuno il suo compito: non spetta alla Corte costituzionale disporre la rimozione del crocifisso nei locali pubblici, in Giur. Cost., 2004, IV, pag. 4290.
126 Cfr., P. VIPIANA, Neutralità degli spazi pubblici e diritto all’identità religiosa nell’ordinamento italiano: orientamenti giurisprudenziali, in G. ROLLA (a cura di), Libertà religiosa e laicità. Profili di diritto costituzionale, Jovene, Napoli, 2009, pag. 141.
80
il crocifisso dalle aule scolastiche, è stata decisa dalla sezione III del TAR Veneto con sentenza n°1110 del 22 marzo 2005127, la quale ha rigettato il ricorso della Sig.ra Lautsi; tale sentenza è basata sia sul riconoscimento della perdurante vigenza delle due
disposizioni regolamentari 128 sia sull’affermazione che non
sussiste contrasto fra l’esposizione del crocifisso nelle scuole e il principio di laicità. Riguardo alla attuale vigenza delle norme regolamentari il Tar ha concluso che esse non sono state abrogate né espressamente né implicitamente da successive norme di rango costituzionale, legislativo ovvero regolamentare per cui rimangono in vigore in forza dell’art. 676 del T.U, n° 297/1994 in quanto, non solo non contrastano, ma integrano le disposizioni del testo unico.
Inoltre, il TAR Veneto ha ritenuto che l’esposizione del crocifisso è legittima in quanto non lede il principio di laicità dello Stato: il simbolo di cui si discute, oltre ad essere simbolo religioso, è anche simbolo storico-culturale in quanto segno che
riassume alcuni aspetti rilevanti della nostra civiltà e della identità nazionale, nonchè simbolo civile, in quanto rappresenta i valori di libertà, eguaglianza, dignità e tolleranza religiosa
(principi annoverati in Costituzione), valori che hanno la loro origine nel Cristianesimo cattolico ma che sono asseriti da tutti (anche dai non cattolici).
Il Tar ha stabilito che il crocifisso può essere legittimamente collocato nelle aule scolastiche in quanto, non solo non contrasta, ma conferma129 la laicità dello Stato, visto che questa trova le
127 La sentenza in Foro it. , 2005, III, pag. 329 ss.
128 Art. 118 r.d. n° 965/1924 e art. 119 r.d. n° 1297/1928. 129
A detta del Tar “la laicità è stata conquistata anche in riferimento ai valori fondanti del Cristianesimo” (valori quali l‟uguaglianza, dignità umana e
81
sue radici lontane nel Cattolicesimo; l’esposizione del crocifisso non lede neppure la libertà religiosa, poiché non ostacola la manifestazione del proprio credo o del non credere.
Contro tale sentenza, la ricorrente ha proposto appello, per chiederne l’annullamento, al Consiglio di Stato, la cui Sezione sesta si è pronunciata con decisione 13 febbraio 2006, n° 556130; le motivazioni addotte dalla Sig.ra Lautsi insistono nuovamente sulla abrogazione implicita dell’art. 118 del D.R. n° 965/1924 ( ma non più del 119 D.R. 1297/1928) ad opera del testo unico n° 297/1994, che ha regolato la materia dell’istruzione nelle scuole di ogni ordine e grado, senza però far riferimento alla questione dell’affissione del crocifisso, ed ad opera della legge n° 121/1985 di ratifica degli Accordi di Villa Madama che hanno cancellato definitivamente il precedente principio della confessionalità dello Stato; tutti argomenti a favore della incompatibilità dell’esposizione del crocifisso col principio di laicità.
Il Consiglio ha respinto l’appello, dichiarandolo infondato, sulla base delle seguenti motivazioni: circa la prima considerazione dell’appellante, il Consiglio accoglie quanto statuito dalla Corte Costituzionale sul carattere regolamentare della norma 118 del D.R. n° 965/1924 che, come tale, non può ritenersi assorbita dal testo unico del 1994 (in tal caso la Corte avrebbe dovuto esprimersi sulla sua legittimità), ma neppure abrogata (la Corte Costituzionale non ha messo in discussione la vigenza del regolamento); circa la seconda, per il Consiglio, “non pare
tolleranza, tipicamente di ispirazione cristiana ma che sono alla base anche della laicità)”.
130
82
corretto porre il principio di confessionalità dello Stato a fondamento della norma regolamentare in questione (in caso
contrario, venuta meno la confessionalità sarebbe venuta meno anche la norma regolamentare). È vero che nel 1924 vigeva lo
Statuto Albertino, il cui art.1 proclamava la religione cattolica come la sola religione di Stato, ma è altrettanto vero che tale norma non impedì al legislatore di adottare in molteplici settori della vita dello Stato una normativa contraria agli interessi della confessione cattolica”131
. Per il Consiglio, la questione
sulla vigenza della norma regolamentare deve essere affrontata
con riguardo ai principi che ispirano l’ordinamento
costituzionale.
La decisione del Consiglio ribadisce che l’esposizione del crocifisso non è censurabile alla luce della laicità in quanto può essere considerato “simbolo idoneo ad esprimere i valori di
tolleranza e di rispetto che ispirano l’ordinamento costituzionale e può svolgere, in un orizzonte laico, una funzione altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni”; il Consiglio continua affermando che “appare difficile trovare un altro simbolo, più idoneo del crocifisso,ad esprimere l’elevato fondamento dei valori civili”132
.
In definitiva, il Consiglio conclude che la decisione delle autorità scolastiche di esporre il crocifisso non appare censurabile con riferimento alla laicità dello Stato.
131
La citazione è tratta dal paragrafo 3 della sentenza. 132
83
4. Il crocifisso nei seggi elettorali
A questo punto, risulta utile analizzare la materia dell’esposizione del crocifisso nei seggi pubblici, rilevando che i suddetti seggi sono di solito allestiti nelle aule scolastiche.
La questione pone non solo un problema di una eventuale lesione della libertà religiosa e di coscienza, ma anche di una eventuale lesione del diritto di voto: la dottrina si è chiesta se la presenza del crocifisso possa influenzare la formazione politica e l’espressione del voto degli elettori.
Anche in tale caso occorre far riferimento alle pronunce giurisprudenziali in assenza di una disciplina legislativa; una prima sentenza al riguardo risalente agli anni ’90, e pronunciata dal Pretore di Cuneo133, ha ritenuto “non idoneo a giustificare il
rifiuto di assumere l’ufficio di scrutatore la motivazione dell’imputato” : quest’ultimo aveva sostenuto che l’esposizione
di simboli o immagini di un’unica fede costituiva lesione della libertà di coscienza. Il Pretore lo ha condannato per il reato ex
art. 108134 del d.p.r n° 361/1957, “Approvazione del testo unico delle leggi recanti norme per l'elezione della Camera dei deputati”, ancora in vigore, constatando che il rifiuto di
assumere l’ufficio era privo di giustificato motivo; inoltre, nel seggio a cui era stato assegnato l’imputato non era esposto alcun simbolo religioso per cui egli poneva una questione di carattere generale, chiedendo la rimozione del crocifisso da tutti i seggi
133 Caso Montagnana.
134“Salve le maggiori pene stabilite dall'art. 104 pel caso ivi previsto, coloro che, essendo designati all'ufficio di presidente, scrutatore e segretario, senza giustificato motivo rifiutano di assumerlo o non si trovano presenti all'atto dell'insediamento del seggio, sono puniti con la multa da lire 600.000 a lire 1.000.000 (224). Alla stessa sanzione sono soggetti i membri dell'Ufficio che, senza giustificato motivo, si allontanano prima che abbiano termine le operazioni elettorali”.
84 italiani.
La sentenza è stata impugnata presso Corte di appello di Torino
che ha concluso, con sentenza n° 2806/1998 135 , per
l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto, in quanto ha ravvisato una correlazione fra la sua condotta e il principio di laicità; in seguito, su ricorso del Procuratore generale, la Corte di Cassazione si è pronunciata con sentenza n° 10/1999136, annullando con rinvio la sentenza della Corte di appello di Torino poiché quest’ultima aveva “omesso di accertare
l’esistenza del vincolo eziologico tra rifiuto addotto e il contenuto dell’ufficio imposto” e non aveva considerato “la specificità della situazione esistente nel seggio a cui era stata preposto, in cui non era presente alcun simbolo religioso”. La giusta causa che consente di rifiutare l’ufficio di scrutatore deve
essere, a detta della Corte, “manifestazione di diritti o facoltà il
cui esercizio determini un inevitabile conflitto tra la posizione individuale, costituzionalmente garantita, e l’adempimento dell’incarico, al cui contenuto sia collegato con vincolo di causalità immediata”.
Su rinvio della Cassazione, la Corte di appello di Torino, con sentenza 28 aprile 1999, ha confermato la condanna dell’imputato sottolineando l’indifferenza della presenza del crocifisso rispetto al contenuto dell’ufficio di scrutatore, che consiste principalmente nelle funzioni di garantire l’assenza di turbative nelle operazioni di voto e la regolarità dello spoglio.
Il caso si è chiuso con la sentenza del 1° marzo 2000, n° 439137,
135 Pubblicata in Quad. dir. pol. eccl., 1998, pag. 856. 136
Pubblicata in Rivista penale, 1999, pag. 167 ss. 137
85
della Suprema Corte che ha annullato definitivamente la sentenza della Corte di Appello, rilevando che il rifiuto all’ufficio dell’imputato non costituisce reato, in quanto sussiste un giustificato motivo: il ruolo dello scrutatore, secondo la Cassazione, non si esaurisce nei compiti di garanzia e regolarità del voto e dello spoglio, e pertanto, il rifiuto sarebbe giustificato dal fatto che l’amministrazione, non avendo provveduto alla rimozione del crocifisso in tutti i seggi, non garantisce la libertà di coscienza e il principio di laicità; inoltre, nella sentenza è ribadito che lo Stato deve garantire, in ossequio al principio di laicità e del pluralismo, che il luogo pubblico “sia neutrale e
tale rimanga nel tempo, impedendo che il sistema affermatosi getti le basi per escludere gli altri”.
La Suprema Corte afferma inoltre che “l’imparzialità della
funzione di pubblico ufficiale è strettamente correlata alla neutralità del luogo pubblico e, nello specifico, del luogo deputato alla formazione del processo decisionale nelle competizioni elettorali, che non sopporta condizionamenti indotti, sia pur indirettamente, dal carattere rappresentativo della fede che ogni immagine religiosa simboleggia”.
Dal punto di vista generale dell’elettore, si ricordi la
sentenza n° 4558/2002138 del TAR Lazio-Roma, il quale ha
dichiarato inammissibile il ricorso presentato dall’Unione degli atei ed agnostici che aveva impugnato il silenzio-rifiuto del Ministero dell’Interno riguardo ad un’istanza della stessa Unione che chiedeva la rimozione dei crocifissi dai seggi elettorali prima dell’inizio del voto. Il TAR ha respinto il ricorso
138
86
in quanto privo del presupposto, ossia l’inerzia dell’autorità amministrativa: questa aveva risposto all’istanza con una nota in cui si ribadiva l’inesistenza di un divieto di esposizione di oggetti sacri nei seggi elettorali e negli uffici pubblici in generale, lasciando intendere che non esiste un obbligo di rimozione da parte del Ministero.
Altro caso è stato sottoposto all’attenzione del Tribunale di Napoli- X sez. civ. che, con ordinanza 26 marzo 2005139, ha respinto il ricorso presentato in via d’urgenza ex 700 c.p.c., con cui si chiedeva la rimozione del crocifisso in tutti i seggi italiani in occasione del referendum sulla procreazione assisitita. Il Tribunale ha respinto il ricorso poiché ha individuato un difetto di competenza: questa rientrava nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi del d.lgs. 80/1998. Accanto alla incompetenza, il Tribunale, dopo aver definito “il crocifisso
quale simbolo religioso nel quale si identifica, sotto l’aspetto religioso, la larga maggioranza dei cittadini italiani”, ha
affermato che “nei seggi elettorali, la presenza del simbolo non
è idonea a condizionare le scelte dei votanti ovvero ad impedire all’elettore di esprimere liberamente il proprio voto”.
Altro esempio riguarda l’ordinanza 31 marzo 2005 140
del Tribunale dell’Aquila, il quale ha respinto il ricorso ex 700 c.p.c con cui veniva chiesta la rimozione del crocifisso dai seggi elettorali di tutta Italia. Dopo aver precisato che la questione doveva esaminarsi con esclusivo riguardo al seggio del ricorrente, il giudice ha affermato che il crocifisso non contrasta
139 Pubblicata in Foro it.,2005, I, pag. 1575 ss (ove è indicata come ordinanza 31 marzo 2005).
140
87
con la laicità dello Stato in quanto non può essere considerato solo simbolo religioso, ma anche culturale del popolo italiano. Inoltre, il Tribunale ha ribadito la non idoneità del simbolo ad influenzare il diritto di voto ed a costringere gli elettori ad atti contrari alla propria convinzione religiosa.
Tuttavia, non sempre si è giunti a simili conclusioni; ad esempio, nell’aprile del 2006141
, il Presidente della Corte di Appello di Perugia ha dichiarato non luogo a provvedere sulla istanza del Prefetto di Terni di revocare dall’ufficio il presidente di un seggio per il fatto di aver defisso il crocifisso e di non aver ottemperato alla diffida del sindaco di ricollocare il simbolo. La Corte di Appello ha affermato la irrilevanza della collocazione del seggio in un’aula scolastica, la quale deve considerarsi “uno spazio fisico destinato a svolgere una funzione
diversa da quella dell’attività didattica”. La Corte ha poi
motivato il non luogo a provvedere richiamando la competenza del Presidente di seggio a verificare che la sala destinata alle elezioni abbia gli arredi indispensabili per lo svolgimento delle operazioni di voto, tra i quali non è previsto il crocifisso.
In definitiva, la Corte non ha disconosciuto il valore simbolico del crocifisso, ma ha sottolineato l’opportunità che la sala destinata alle elezioni sia uno spazio neutrale, privo di simboli che possano influenzare, anche indirettamente, l’elettore.
Dalla casistica, si evince come anche in un luogo pubblico come il seggio elettorale, ove non si pongono solo problemi di lesione del principio di laicità e della libertà religiosa ma anche di “natura politica”, quale la libertà di voto,
141
88
la questione dell’affissione del crocifisso è ancora discussa tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, per cui è più che mai auspicabile un intervento legislativo, il solo capace di disciplinare definitivamente la quaestio.