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Il divieto dei nova prima della legge istitutiva dei TAR: il contributo della dottrina.

DIVIETO DELLO JUS NOVORUM

3.3. Il divieto dei nova prima della legge istitutiva dei TAR: il contributo della dottrina.

Quando la dottrina iniziò ad occuparsi dell’appello amministrativo, il relativo giudizio aveva ad oggetto le decisioni delle giunte provinciali amministrative ed il riferimento normativo era rappresentato dall’Art. 22 del testo unico delle leggi sulla Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale141: per quanto qui interessa era alla luce dell’ultimo inciso dell’ultimo comma della disposizione; “ il Consiglio di Stato […] decide la controversia, ritenuto il fatto

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Rinviene il fondamento del divieto dello jus novorum nel principio costituzionale del doppio grado di giudizio Cons. St. Sez. IV, 2 giugno 1996, n. 963.

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F. SCIARRETTA, Appunti di giustizia amministrativa, Milano, 2002.

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stabilito dalla decisione impugnata” che autorevole dottrina142 si interrogava sulla natura, appellatoria o cassatoria, di tale gravame, muovendo peraltro da una sentenza dell’Adunanza Plenaria143 che aveva detto a chiare lettere che l’atto impugnato in appello è in ogni caso la decisione del primo giudice, a prescindere dalla circostanza che la stessa abbia respinto ovvero accolto il ricorso di primo grado. Ebbene, analizzando la giurisprudenza, assolutamente unanime, che escludeva l’ammissibilità di nuovi motivi in appello, la dottrina notava che il citato Art. 22 nulla diceva in proposito, per cui il suddetto divieto trovava semmai la propria giustificazione nel fatto che, l’appello aveva ad oggetto, non già il provvedimento amministrativo impugnato in primo grado, bensì la decisione del primo giudice , non potendosi conseguentemente ammettere nel processo amministrativo, quel, sia pur limitato, ius novorum che l’art. 345 c.p.c. ha introdotto nel giudizio d’appello. Coerentemente, la dottrina144 reputava ammissibili in appello i nuovi motivi concernenti vizi propri delle decisioni impugnate e del relativo procedimento e l’interpretazione delle risultanze probatorie di primo grado, i quali tutti riguardavano in ultima analisi la rappresentazione del fatto rappresentato.

Sul tema si esprime più tardi Mario Nigro, altro giurista, che esamina le ipotesi di ampliamento, in appello, dell’oggetto del giudizio muovendo dal diritto positivo e ritiene che solo in presenza di evidenti lacune normative possa farsi

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POTOTSCHNIG; Appello ( dir. Amm.), in Enc. Dir.,II Milano, 1958.

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Cons. St. Ad. Pl. 28 Marzo 1955, n. 5

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facendo riferimento soprattutto a Pototschnig; che pure riconosceva l’identità della struttura processuale tra il processo di primo grado e il processo d’appello, nel quale viene riesaminata l’intera controversia già sottoposta al primo giudizio.

ricorso, peraltro con la massima cautela, ai principi generali, ed in particolare a quelli che lui chiama principio di economia dei giudizi e principio del doppio

grado di giurisdizione. E cosi, è proprio quest’ultimo principio che, a suo avviso, sancendo il trasferimento integrale, innanzi al giudice d’appello, della controversia sul rapporto sostanziale di cui è stato investito il primo giudice, mantiene inalterato l’oggetto vero e proprio del giudizio, vietandone gli incrementi, e quindi divieto di domande nuove145. Secondo Nigro, in sostanza, è proprio perché conosce del rapporto sostanziale di cui ha conosciuto il secondo il giudice di primo grado, perché riesamina la controversia già esaminata da quest’ultimo per darle una soluzione migliore, che, nel processo amministrativo, il giudice d’appello non può conoscere un oggetto maggiore o diverso, id est nuovo, ma al più l’oggetto preesistente, arricchito e illuminato per effetto della introduzione di nuove eccezioni, nuove difese, nuove prove. Da qui l’idea che il disposto dell’Art. 22, comma 2, del testo unico delle leggi sulla Giunta provinciale amministrativa in sede giurisdizionale, secondo cui il giudice d’appello conserva le medesime competenze, di sola legittimità ovvero anche di merito, che aveva il giudice di primo grado, sarebbe stato pleonastico, se non fosse servito a ribadire anche il divieto del novum in appello. Muovendo da tale impostazione, Nigro, dopo aver manifestato piena adesione alla tesi della dottrina precedente, aggiunge che il divieto di jus novorum in appello si spiega benissimo in quanto discende:

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sia dalla caratteristica comune ad ogni processo di gravame di essere insieme continuazione della precedente fase e critica di quanto vi si è fatto, sia dalla rigidità dell’oggetto del giudizio amministrativo, caratteristica questa che, precludendo il mutamento dell’oggetto in primo grado, a maggior ragione lo preclude in appello. Più che dell’esistenza del divieto, dunque, occorre occuparsi della sua effettiva portata, determinando nel modo più chiaro possibile il concetto di “ domanda nuova” nel processo amministrativo. A tal fine, Nigro ritiene opportuno far riferimento alla causa petendi ed al petitum. Per trovare la risposta ai problemi dei nova occorre identificare il vizio dell’atto, ossia il motivo del ricorso, avendo riguardo alla fattispecie normativa che si assume violata ed all’evento che non comporta la violazione: la prima conclusione è che essendo il vizio-motivo inerente ad un atto , il riferimento di esso ad altro atto che comporta mutamento della causa petendi. Essendo il motivo di ricorso identificato da una fattispecie normativa, il riferimento a più fattispecie normative come canone di valutazione del comportamento amministrativo dà luogo a più vizi-motivi, sicché secondo Nigro, si verifica mutamento della causa petendi anche in caso di passaggio dall’una all’altra fattispecie, a nulla rilevando che resti fermo il comportamento dell’amministrazione. Diversi sono i casi in cui non vi sia introduzione di una fattispecie nuova, ma semplice ricognizione di quella già introdotta: in tale ipotesi, non creandosi in mutamento della fattispecie normativa invocata, non si ricade nel divieto dello jus novorum.

Deve poi, ritenersi preclusa in appello la modifica del petitum, potendosi concepire soltanto 146 la variazione della qualificazione giuridica del fatto costitutivo. Per quanto attiene al secondo elemento costitutivo del vizio- motivo, la denuncia dell’accadimento che concreta la presunta difformità del paradigma normativo, deve ritenersi novum inammissibile in appello il passaggio dallo specifico episodio fatto valere inizialmente ad altro episodio, pur mantenendo identica la fattispecie normativa violata, mentre non rilevano l’apporto, la variazione e la correzione di fatti semplici. Domanda nuova per novità del petitum si ha, poi, in presenza di una richiesta di eliminazione totale dell’atto in luogo dell’originaria richiesta di eliminazione parziale, di passaggio da una domanda di annullamento ad una domanda di tipo diverso e di domanda di eliminazione di un atto diverso da quello impugnato, mentre non costituiscono mutamento del petitum la richiesta di eliminazione parziale dell’atto in luogo dell’originaria richiesta di eliminazione totale, la migliore identificazione e/o diversa qualificazione dell’atto impugnato, la formulazione, in caso di giurisdizione di merito, di una diversa istanza di sostituzione dell’atto impugnato.

In perfetta coerenza con l’impostazione accolta , Nigro ritiene, in conclusione che il divieto di nuove domande in appello, discendendo dalla rigidità del processo amministrativo e da principi comuni a tutti i gravami, prescinda del

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tutto dall’esistenza, nel processo amministrativo, di una norma analoga a quella contenuta nell’Art. 345 c.p.c.

A diverse conclusioni l’illustre Autore perviene con riguardo al divieto di nuove eccezioni in appello, divieto che a suo avviso, presuppone un’espressa previsione legislativa, in mancanza della quale le nuove eccezione devono ritenersi ammesse in ragione della funzione rinnovatoria dell’appello, cioè dell’attribuzione al giudice d’appello della cognitio causae, come stimolo all’arricchimento del materiale a disposizione del giudice, affinché sia soddisfatta l’esigenza di una sentenza più giusta. Nemmeno le nuove prove, secondo Nigro, incontrano il divieto dello Jus novorum in appello, in quanto, in mancanza di un’espressa limitazione normativa, anch’esse devono ritenersi ammesse in virtù della pienezza della cognitio causae attribuita al giudice d’appello, il quale non può ritenersi vincolato dall’istruzione svoltasi in primo grado. A ciò si aggiunge l’ampia iniziativa istruttoria consentita al giudice amministrativo, il quale non può giovarsi nel processo di fatti che non siano stati allegati dalle parti, ma ben può intervenire sul materiale di fatto da queste introdotto: potendo farlo in primo grado, non si vede perché non dovrebbe vederlo fare anche in appello.

Va poi tenuto conto del contributo sull’eccezione, dato da un'altra parte della dottrina147 , la quale, dopo un’accesa rivendicazione dell’autonomia del processo amministrativo rispetto a quello civile, dà atto dell’insufficienza della

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disciplina dell’eccezione contenuta nelle leggi processuali amministrative148 e, dopo un’indagine sulla funzione dell’istituto nei processi civile e penale, si chiede, se nel processo amministrativo vi siano fatti giuridici rilevabili esclusivamente ope exceptionis ( in base ad una eccezione). Alla risposta positiva la dottrina perviene, non tanto sulla base del dato positivo149, quanto alla luce della struttura dialettica del processo amministrativo e dell’esistenza, nel suo ambito, di due interessi sostanziali in conflitto fra loro; elementi che inducono a ritenere ammissibile l’eccezione in senso tecnico nel processo amministrativo. Secondo tale orientamento, è proprio la struttura del processo amministrativo, tipica del processo di parti, imperniato sui principi della domanda, del contraddittorio, dell’impulso processuale e della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato150, ad essere pienamente compatibile con le eccezioni in senso proprio, ben potendosi immaginare un contesto nel quale i poteri del giudice siano vincolati, in ordine alla rilevabilità d’ufficio di alcune circostanza favorevoli agli intimati, all’iniziativa di questi ultimi, risultando cosi bilanciato il potere esclusivo del ricorrente di determinare l’oggetto del giudizio.

L’autorevole dottrina sostiene che le norme processuali amministrative, parlando di “ eccezioni prodotte dalle parti”, alludono proprio alle eccezioni in

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In tali leggi infatti il termine “ eccezione” veniva utilizzato assai di rado: negli artt. 56 e 81, n. 5 del regolamento di procedura del 1907, e nell’art. 22, lett. a) del TU sulle Giunte provinciali amministrative.

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Non potendosi escludere che anche le leggi processuali amministrative, al pari di quelle che regolano i processi civile e penale, abbiano fatto ricorso impropriamente a detto termine.

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L’Art. 112 c.p.c. è ritenuto espressione di un principio di diritto processuale comune, ergo applicabile anche al processo amministrativo.

senso tecnico, la cui ammissibilità nel processo amministrativo si giustifica in considerazione del fatto che anche in questo processo l’esercizio dei poteri da parte del giudice ben può essere limitato e condizionato dall’attività delle parti.

3.4 La dottrina successiva all’entrata in vigore della