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Le problematiche sollevate in dottrina riguardo la proposizione di motivi aggiunti in appello.

LA PROPOSIZIONE DEI MOTIVI AGGIUNT

4.4 Le problematiche sollevate in dottrina riguardo la proposizione di motivi aggiunti in appello.

La proponibilità dei motivi aggiunti in appello, è considerato dalla dottrina un problema particolarmente delicato224.

La natura del potere conferito all’amministrazione le consente di interferire sulle situazioni giuridiche soggettive anche a processo in corso. I residui impugnatori del processo amministrativo provocano l’inammissibilità del ricorso qualora l’amministrazione produca documentazione di cui prima non si aveva conoscenza o emani un nuovo provvedimento; l’amministrazione, producendo atti pregressi sino ad allora ignoti o emanandone nuovi, si sottrae all’osservanza del giudizio, impedendo al giudice di pronunciarsi sul ricorso. A nessun’altro soggetto è consentito, nel nostro ordinamento giuridico, di sottrarsi alla decisione del giudice, con la semplice emanazione di un ulteriore atto225; e l’istituto dei motivi aggiunti costituisce uno strumento efficace per sottrarre l’amministrazione la disponibilità del rapporto processuale.

I motivi aggiunti possono essere formulati quando, dopo la proposizione del ricorso, si viene a conoscenza di ulteriori patologie dell’azione amministrativa

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C. MIGNONE, I motivi aggiunti nel processo amministrativo, Padova, 1984; G. PICCIOLI, L’appello amministrativo nell’evoluzione della giurisprudenza, 1998; V. CAIANIELLO,

Manuale, 2003; F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, Trattato di giustizia amministrativa, Milano, 2005.

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si pensi ad esempio, al ricorso proposto avverso l’inerzia dell’amministrazione, destinato a divenire improcedibile, a seguito dell’emanazione di un provvedimento esplicito di rigetto, rimasto inoppugnato.

per lo più a seguito dell’acquisizione di atti o documenti prima ignorati dal ricorrente per fatti a lui non imputabili.

A questa fattispecie è stata aggiunta, a seguito della modifica dell’art. 21, primo comma, l. n. 1034/1971, ad opera dell’art. 1, primo comma, della l. n. 205/2000, l’ipotesi di provvedimenti adottati in corso di causa tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso.

Il codice del processo amministrativo, in particolare l’art. 43, ha ampliato la categoria dei motivi aggiunti, consentendone la proponibilità ogni qual volta sia possibile introdurre nuove ragioni a sostegno delle domande già articolate con il ricorso principale o con quello incidentale, oppure sia possibile formulare domande nuove, purché connesse a quelle già proposte226.

L’oggetto del ricorso per motivi aggiunti acquista una potenziale latitudine, molto più ampia di quella prevista dalla disciplina previgente. L’ampiezza dell’istituto è tale anche perché scompare il requisito che l’atto sopravvenuto intervenga fra le stesse parti227.

L’effetto processuale della proposizione dei motivi aggiunti consiste nella preclusione della declaratoria di improcedibilità del ricorso. In appello la proposizione dei motivi aggiunti presenta qualche profilo problematico, poiché

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M. TRIMARCHI, I motivi aggiunti nel codice del processo amministrativo, 2010.

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A. DI GIOVANNI, Motivi aggiunti, in E. PICOZZA, Codice del processo amministrativo, Torino, 2010.

essa, invero, è preclusa dal divieto dello jus novorum in appello e dal principio del doppio grado di giudizio228.

La proposizione dei motivi aggiunti in appello, amplia inesorabilmente il materiale oggetto di cognizione e di decisione del giudice di appello rispetto a quello di primo grado; fra le due controversie viene a mancare quella correlazione necessaria nel rapporto fra sindacato del giudice di primo grado e quello del giudice di appello.

In assenza di una disciplina specifica di riferimento, prima dell’entrata in vigore del Codice, il tema dei motivi aggiunti ha costituito l’oggetto di un intenso dibattito e un orientamento giuridico tradizionale ha negato la proponibilità dei motivi aggiunti in appello229.

Infatti, le domande nuove in appello sono vietate perché il legislatore vuole garantire che l’appello si svolga sullo stesso oggetto del giudizio di primo grado; secondo questo orientamento negativo, consentendo al ricorrente i formulare motivi aggiunti, l’oggetto della cognizione del giudice d’appello sarebbe più ampio di quello del giudice di primo grado.

Il principio del doppio grado di giudizio comporta che, su ogni questione, le parti abbiano la possibilità di rivolgersi al giudice di primo grado e,

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A questi argomenti si aggiunge che la tesi secondo la quale i motivi aggiunti afferenti a vizi conosciuti durante il processo di appello andrebbero proposti esclusivamente innanzi al Consiglio di Stato presenta il grave difetto di ancorare il potere di impugnativa del provvedimento, la ritualità della pretesa integrativa alla ritualità dell’atto di appello, con la conseguenza di condizionare il sindacato sui motivi aggiunti proposti in appello alla ammissibilità e alla procedibilità dell’appello. In tal senso si veda C. MIGNONE, i motivi aggiunti nel processo amministrativo, 1984.

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successivamente, a quello di secondo grado; e la proposizione dei motivi aggiunti in appello impedirebbe, invece, che sulla relativa questione si pronunci il TAR.

Sulla scorta di queste considerazioni, i motivi aggiunti dovrebbero essere fatti valere innanzi al TAR e il processo di appello dovrebbe essere sospeso per tutto il tempo necessario alla definizione, in primo grado, dei motivi aggiunti. Invero, il primo neo di questa ipotesi interpretativa è rappresentata dall’inesistenza di un istituto sulla scorta del quale sia possibile sospendere il processo d’appello, nelle more della definizione, in primo grado, dell’impugnativa dei motivi aggiunti; il secondo è rappresentato dal fatto che, in tal caso, la lite avrebbe tempi lunghi di definizione.

L’amministrazione, con la tardiva produzione di documenti o con l’eliminazione di un ulteriore provvedimento, non solo ha la possibilità di dilatare i tempi del processo, ma assume la piena disponibilità del rapporto processuale e l’assoluto governo del processo. Infatti, attraverso tali espedienti riesce a sottrarre al giudice la possibilità di definire la controversia, frustrando la tutela giurisdizionale230.

Sul versante opposto, invece, si sono schierati i fautori della tesi positiva, che è stata variamente giustificata231. Si è sostenuto che la proponibilità sia una mera conseguenza della possibilità di produrre nuove prove in appello. Queste ultime potrebbero consistere in documenti, dai quali dovrebbe dedursi

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S. PERONGINI, le impugnazioni nel processo amministrativo, Giuffré, 2011.

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l’esistenza di nuove patologie degli atti impugnati o anche la necessità di impugnare nuovi provvedimenti prima sconosciuti232; invero, questa tesi, anche in passato, non ha mai ottenuto consenso unanime. Il limite di ammissibilità dei motivi aggiunti in appello è dato dal fatto che i vizi dedotti non erano riconoscibili sulla scorta della pregressa produzione ed emergevano effettivamente dalle nuove acquisizioni233. Tuttavia, l’emersione di nuove prove in appello, se costituisce idonea giustificazione della ammissibilità di motivi aggiunti, non ne impone la proposizione in appello. Si è sostenuto che l’effetto dell’appello e il doppio grado di giurisdizione non si traducono automaticamente nella necessità che la controversia, in toto o per singoli aspetti, non possa svolgersi per la prima volta in appello, attesa la simmetria esistente fra poteri di cognizione e di decisione del giudice di primo grado, con quello di appello.

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In tal senso, merita di essere riportata, per la chiarezza che la contraddistingue, la tesi di V. CAIANIELLO, Manuale, 2003, “ in relazione alla proponibilità dei motivi aggiunti nel processo di appello, possono formularsi tre possibili soluzioni: 1) quella della inammissibilità per effetto del divieto di domande nuove in appello; 2) quella della ammissibilità, ma del rinvio al giudice di primo grado per consentire anche sui motivi aggiunti il doppio grado di giurisdizione; 3) quella dell’ammissibilità, ma con l’esame diretto di essi da parte del giudice d’appello. La prima soluzione non può essere condivisa, perché in contrasto con il principio della parità processuale delle parti. L’amministrazione o le altre parti intimate potrebbero difatti riservarsi di esibire documenti rilevanti ai fini del decidere nel processo di appello, impedendo cosi al ricorrente di far valere eventuali vizi dell’atto desumibili dalla nuova documentazione esibita e ricavando cosi un vantaggio, sul terreno processuale, a discapito del diritto di difesa del ricorrente. Ma, neppure la seconda soluzione può essere accolta, in base al diritto positivo, perché il rinvio al giudice di primo grado è previsto dalla legge per ipotesi tassativamente indicate. Una volta ammessa quindi la possibilità della proposizione di domande nuove, per il rispetto del diritto di difesa e del principio di parità processuale fra le parti, non resta quindi che aderire alla terza soluzione”; S. CASSARINO, il processo amministrativo, Milano, 1987.

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In questo senso, Cons. St. Sez. IV, 28 novembre 1996, n. 1151; Cons. St. VI, 11 gennaio 1999, n. 8; Cons. St. Sez. 1 febbraio 2007, n. 416; Cons. St. Sez. VI, 7 agosto 2008, n. 3899; Cons. St. Sez. IV, 3 marzo 2009, n. 1219.

Questo orientamento non rappresenta una vera e propria giustificazione, piuttosto una mera presa di atto della possibilità di proporre motivi aggiunti. In verità, la possibilità di formulare motivi aggiunti in appello rappresenta comunque un’eccezione all’effetto devolutivo, al principio del doppio grado di giurisdizione e al principio della necessaria corrispondenza fra oggetto del giudizio di primo grado e oggetto del giudizio in appello. A ben vedere, la soluzione per la quale propende la giurisprudenza favorevole all’ammissibilità, in realtà, ha una sola argomentazione, rappresentata dal fatto che con essa si conferisce una maggiore effettività alla tutela giurisdizionale, consentendole di essere più celere; anche se la riduzione dei tempi processuali va a scapito di un grado di giudizio. In tal senso, tuttavia, si è sostenuto che la possibilità di presentare motivi aggiunti in appello, costituisca necessaria applicazione del principio di economia e di concentrazione dei giudizi. Il rilievo è ineccepibile; con la dismissione di un grado di giudizio, si raggiunge una indubbia economicità e concentrazione del giudizio.

Tuttavia, i succitati principi non impongono che i motivi aggiunti debbano essere necessariamente proposti innanzi al giudice di appello, con eliminazione del giudizio di primo grado. Se così fosse, avremmo come conseguenza, la normale elisione delle fasi di giudizio, con necessaria omissione del giudizio di primo grado o, quanto meno, con possibilità di saltare il primo grado di giudizio e di ricorrere direttamente in appello; e così non è.

L’art. 104, terzo comma, c.p.a. ha accolto la tesi secondo la quale “ possono essere proposti motivi aggiunti qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”.

La norma, tuttavia, ha sollevato non pochi problemi234. La soluzione accolta dal Codice sancisce la possibilità di proporre motivi aggiunti direttamente in appello; tuttavia, detta possibilità, stando al tenore della norma, è limitata solo all’ipotesi in cui “ la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado”. Innanzi tutto, la norma non chiarisce se i motivi aggiunti possano essere prodotti solo quando i documenti in questione non siano stati volontariamente prodotti dalle altre parti, oppure anche quando, per una qualsiasi ragione, le altre parti non erano in condizione di produrli in giudizio; inoltre, la norma lascia nel limbo anche l’ipotesi in cui la parte era a conoscenza dei documenti, ma non era in condizione di censurarli e di produrli in giudizio. La sorte riservata dal legislatore a questa ipotesi rimane estremamente problematica. Invece, rimangono fuori, inevitabilmente, i casi in cui l’amministrazione, all’esito del giudizio di primo grado o nelle more della pronuncia della relativa sentenza, emani un altro provvedimento, adottato in corso di causa tra le stesse parti, connesso all’oggetto del ricorso stesso; in questa ipotesi, l’impugnazione avverso il provvedimento adottato in corso di

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R. GAROFOLI, G. FERRARI, Codice del processo amministrativo, Roma, 2010; R. CHIEPPA, Il codice del processo amministrativo, Milano, 2010; A. LIBERATI, Il nuovo diritto processuale amministrativo, 2010.

causa dovrà avvenire necessariamente in primo grado235. Non si riesce a scorgere una ragione logica che possa aver indotto il legislatore a operare siffatte differenziazioni. La problematica delle prime due fattispecie passate in rassegna deriva sicuramente da un’approssimativa formulazione della norma; invece inspiegabile rimane la scelta effettuata per i provvedimenti emanati successivamente alla definizione del giudizio in primo grado. Proprio con siffatti provvedimenti, l’amministrazione elude la decisione del giudice e si autoassolve dall’osservanza del giudizio, e in presenza di casi come questi il Codice avrebbe dovuto assicurare la più elevata celerità del giudizio. In tutte le predette ipotesi sono state formulate teorie interpretative differenti, con conseguenti contrasti giurisprudenziali, non solo perché è fisiologico che venga proposta una diversa ricostruzione dell’istituto, ma anche perché le esigenze di giustizia sottese alla necessità di evitare che l’amministrazione, con l’emanazione di ulteriori atti, riesca a sottrarsi alla decisione del giudice, sono impellenti e impongono al giudice di provvedere diversamente, proseguendo quel ruolo creativo assolto fin ora.

Possiamo dire che la disciplina dei motivi aggiunti in appello, avrebbe richiesto uno sforzo di elaborazione più intenso, occorre infatti privare l’amministrazione del potere di sottrarsi all’osservanza del giudizio, attraverso la mera emanazione di un ulteriore provvedimento; questa è una delle

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In tale senso ancor prima dell’entrata in vigore del codice, l’orientamento giurisprudenziale prevalente, Cons. St. Sez. IV, 14 settembre 2004, n. 5915; Conso St. Sez. V, 11 ottobre 2005, n. 5498; Cons. St. Sez. IV, 16 aprile 2006, 2174; Cons. St. Sez. V, 29 aprile 2009, n. 2728; Cons. St. Sez. VI, 7 agosto 2008, n. 3899.

situazioni più problematiche del processo amministrativo. Questo obiettivo andrebbe perseguito, senza alterare il sistema e, in particolare, senza privare le parti del doppio grado di giudizio. Dovrebbe essere elaborata una disciplina processuale che assicuri alle parti, innanzitutto, rapidità di giudizio: e quindi, occorrerebbe sospendere il processo di appello, in attesa della definizione del processo di primo grado; prevedere misure cautelari sottratte alla discrezionalità del giudice che blocchino l’operato dell’amministrazione in attesa della definizione del giudizio; assicurare tempi particolarmente celeri alla definizione del processo di primo grado e una immediata ripresa del processo in appello, creando una “ navetta” fra la pronuncia in primo grado sul provvedimento successivamente impugnato e il giudizio d’appello. In conclusione sarebbero state necessarie poche norme, che il Codice avrebbe dovuto sforzarsi di adottare.

4.5 L’istituto dopo l’entrata in vigore della Legge n.