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I commenti della dottrina all’Art 104 c.p.a.

LA PROPOSIZIONE DEI MOTIVI AGGIUNT

4.8 I commenti della dottrina all’Art 104 c.p.a.

I primi commenti in dottrina relativi all’art. 104 hanno evidenziato come esso consenta, quale eccezione al generale divieto di nova, la proposizione di motivi aggiunti in appello solo contro i provvedimenti già impugnati in primo grado, mentre preclude la proponibilità dello stesso mezzo contro provvedimenti connessi. Dunque, avverso i provvedimenti non impugnati in precedenza, la dottrina ne evidenzia l’inammissibilità, principalmente in ragione della violazione del principio del doppio grado di giudizio e del conseguente divieto di impugnazione per saltum277. Tuttavia, una parte minoritaria della dottrina278, ritiene che tale divieto possa incontrare un temperamento, qualora in appello sia impugnato un atto connesso, contro cui siano formulati gli stessi vizi a suo tempo proposti contro quello in precedenza impugnato , poiché in tal caso sarebbero prevalenti ragioni di economia processuale.

Nonostante orientamenti dottrinali contrastanti, possiamo tuttavia affermare che l’evoluzione normativa e giurisprudenziale, ha comportato, ad oggi, l’estensione delle forme di tutela offerte al privato, attraverso la possibilità di proporre motivi aggiunti anche in grado di appello, con conseguente attenuazione del divieto dei nova, che pure costituisce un principio cardine del processo amministrativo; per cui, tale evoluzione si è arrestata sul punto di

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SANINO, Le impugnazioni nel processo amministrativo, Giappichelli, Torino, 2012.

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ammettere la proponibilità di motivi aggiunti contro provvedimenti non impugnati in primo grado, sulla base della necessità si assicurare in modo pieno la tutela giurisdizionale del privato contro gli atti della Pubblica Amministrazione, in diretta applicazione delle garanzie costituzionali, di cui agli artt. 24279 e 113280 Cost., relativizzando quindi i principi del doppio grado di giudizio e del divieto dei nova281. A ciò va aggiunto poi che, in alternativa alla diretta impugnabilità in grado di appello, in caso di sopravvenienza di un nuovo provvedimento amministrativo, le soluzioni proposte non appaiono in grado di offrire una tutela piena ed efficace al privato e quindi di evitare il rischio che il processo venga definito con una sentenza non “ giusta”; infatti, la proposizione di un nuovo giudizio di primo grado contro il provvedimento sopravvenuto frustra innanzitutto l’esigenza di affidare allo stesso giudice la cognizione dell’intero rapporto, frammentando la tutela giurisdizionale in più segmenti, suscettibili di terminare in esiti diversi, opposti e contraddittori. Tale esigenza appare tanto più evidente nei casi in cui l’occasione della conoscenza del nuovo provvedimento è costituita proprio dal giudizio di appello e, in ipotesi, sollecitata dallo stesso giudice dell’impugnazione, che poi si

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Art. 24 Cost: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”.

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Art. 113 Cost.: “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.

Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti per la legge stessa”.

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troverebbe spogliato di tale segmento processuale. Peraltro, l’alternativa di proporre separati giudizi di impugnazione si presta a possibili abusi da parte dell’Amministrazione resistente, che potrebbe affiancare o sostituire il provvedimento già oggetto della sentenza di primo grado con un provvedimento nuovo, non meramente confermativo, vanificando l’iter processuale fino a quel momento compiuto e depotenziando sostanzialmente il giudizio d’appello; con una sostanziale elusione del processo da parte della Pubblica Amministrazione.

Altro fattore a conferma di tali valutazioni è senza dubbio il tempo; poiché la durata complessiva ipotizzabile di questo tortuoso meccanismo, volto ad assicurare al privato la tutela giurisdizionale dei suoi diritti ed interessi, non è certo breve e già di per sé penalizzante, ancor di più poi se si pensa all’ipotesi di proporre un separato giudizio avverso l’atto sopravvenuto e contestualmente chiedere al Giudice d’appello di rinviare il giudizio d’impugnazione fino alla decisione di primo grado, per consentire un simultaneus processus in secondo grado. In un’ottica realistica tali soluzioni rischiano di allungare eccessivamente la durata del processo e risultare, a distanza di anni, praticamente inefficaci.

Tali valutazioni, che coinvolgono aspetti non secondari della tutela giurisdizionale, inducono a riconsiderare l’attuale disciplina dei motivi aggiunti in appello, al fine di ammetterne la proponibilità diretta anche contro provvedimenti deversi da quelli già impugnati in primo grado, quanto meno in

ipotesi “ limite”, quali quelle provvedimenti emanati in costanza del giudizio dinanzi al TAR, il cui esame in tale sede non sia stato possibile per cause non imputabili al ricorrente; e che siano altresì strettamente connessi all’oggetto del ricorso di primo grado o fondati almeno in parte sulle medesime censure proposte contro gli atti già gravati. In tali ipotesi, incidenti limitatamente sul

thema decidendum, l’impugnazione immediata in appello si atteggerebbe infatti, più che ad una compressione delle garanzie giurisdizionali dell’Amministrazione, ad una consapevole rinuncia al doppio grado di giudizio da parte del privato, al fine di ottenere una tutela più rapida ed efficace.

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