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La disciplina contenuta nel Codice; Art 104 C.p.a.

DIVIETO DELLO JUS NOVORUM

3.6 La disciplina contenuta nel Codice; Art 104 C.p.a.

L’Art. 104 c.p.a. rubricato “Nuove domande e nuove eccezioni” recepisce nel processo amministrativo la regola dello jus nororum prevista per il rito civile dall’art. 345 c.p.c. .

La prima parte del primo comma dell’Art. 104, nel disporre il divieto di nuove domande, recita: “ Nel giudizio d’appello non possono essere proposte nuove

domande, fermo quanto previsto 34, comma 3, né nuove eccezioni rilevabili d’ufficio[…]”; si evince che sono ammesse soltanto le eccezioni rilevabili

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Cons. St. Sez. IV, 11 luglio 2001, n. 3872, secondo cui, in tal caso, possono ravvisarvi i gravi motivi che giustificano una deroga al divieto.

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Cons. St. Sez. VI, 29 ottobre 2008, n. 5409; Cons. St. Sez. IV, 16 marzo 2004, n. 1348; Cons. St. Sez. V, 25 giugno 2007, n. 3644.Cons. St. Sez. IV, 27 agosto 2012, n. 4619, in www.giustizia- amministrativa.it; Cons. St. Sez. IV, 22 febbraio 2013, n. 1097.

d’ufficio, le quali corrispondono ad un interesse pubblico avente carattere generale206.

Tale disposizione fa salva espressamente la previsione di cui all’art. 34, comma 3, c.p.a. secondo cui “ quando, nel corso del giudizio, l’annullamento del

provvedimento impugnato non risulta più utile per il ricorrente, il giudice accerta l’illegittimità dell’atto se sussiste l’interesse ai fini risarcitori”. Non è del tutto chiaro quale sia la portata della disposizione richiamata: la formulazione potrebbe far pensare ad una pronuncia officiosa del giudice ( “ il

giudice accerta […]”), il quale, anziché dichiarare l’improcedibilità per

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Sono questioni rilevabili d’ufficio: quelle che attengono alla ricevibilità del ricorso; vedi al riguardo Cons. St. Ad. Pl., 9 agosto 2012, n. 32 , secondo la quale: “Ai sensi dell’art. 35 c.p.a., la tardività della notifica e del deposito del ricorso è questione rilevabile d’ufficio, così come la tardività del ricorso di primo grado è rilevabile d’ufficio anche nel giudizio d’appello, atteso che il cit. art. 35 non pone limitazioni al rilievo d’ufficio in grado di appello, a differenza di quanto dispongono gli Artt. 9 e 15 c.p.a. rispettivamente per la questione di giurisdizione per la questione di competenza; il che trova piena comprensione sul piano logico e sistematico, perché l’erronea scelta del giudice, per ragioni di giurisdizione o competenza, è un vizio relativo, atteso che a monte esiste un giudice avente giurisdizione e/o competenza, sicché il vizio è emendabile; la tardività del ricorso è invece un vizio assoluto, atteso che decorso il termine legale ultimo, nessun giudice può occuparsi del ricorso, sicché il vizio non è emendabile ed è rilevabile d’ufficio anche il gradi di appello”; nonché i vizi che attengono alle condizioni dell’azione e all’integrità del contraddittorio: vedi Cons. St. Sez. V, 3 giugno 2013, n. 3035 e Cons. St. Sez. III, 30 gennaio 2012, n. 445 secondo cui “ l’eventuale inammissibilità del ricorso di primo grado per carenza di interesse può formare oggetto di motivo d’appello ache qualora la relativa eccezione non sia stata sollevata in primo grado, trattandosi di questione rilevabile anche d’ufficio dal giudice in quanto attiene alla sussistenza di una condizione dell’azione. Quindi nel processo amministrativo la dichiarazione di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza d’interesse può essere pronunciata al verificarsi di una situazione di fatto o di diritto nuova, che comunque muta radicalmente la situazione esistente al momento della proposizione del ricorso; tuttavia tale sopravvenienza deve essere tale da rendere certa e definitiva l’inutilità della sentenza, per aver fatto venir meno per il ricorrente o per l’appellante qualsiasi residua utilità della pronuncia del giudice, anche soltanto strumentale o morale; inoltre la relativa indagine deve essere condotta dal giudice con il massimo rigore, per evitare che la declaratoria d’improcedibilità si risolva in una sostanziale elusione dell’obbligo di pronunciare sulla domanda”.

Se il giudice di primo grado si è pronunciato sulla giurisdizione, è invece inibito al giudice di appello rilevare ex officio il difetto di giurisdizione, in quanto tale eccezione dovrà formare oggetto di specifico motivo di gravame avverso il capo della sentenza impugnata che ha sostituito, implicitamente o esplicitamente, sulla giurisdizione, come previsto dall’art. 9 c.p.a., vedi Cons. St. Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1769.

sopravvenuta carenza di interesse della domanda di annullamento formulata, sembrerebbe tenuto a proseguire comunque il giudizio per accertare l’illegittimità dell’atto. Potrebbe trattarsi quindi di un una sorta di conversione

ex lege della domanda, che in questa ipotesi, sul presupposto della sussistenza di un interesse alla pronuncia a fini risarcitori, si trasformerebbe, o si ridurrebbe, da richiesta di pronuncia costitutiva di annullamento, in domanda di accertamento. Sembrerebbe poi che l’interesse “ ai fini risarcitori” debba sussistere in atto207, e non possa essere meramente ipotetico o eventuale208. L’espressa salvezza di questa previsione, operata nel quadro della disciplina dell’appello, significa evidentemente che il legislatore ritiene che una tale evenienza, ossia il venire meno dell’utilità dell’annullamento, con il persistere dell’interesse alla pronuncia di accertamento, ai fini risarcitori, può verificarsi anche in appello.

La circostanza che la previsione venga richiamata nel contesto di una disposizione che si occupa di “nuove domande”, costringe però a chiedersi quale nuova domanda potrebbe venire i questione. Parte della dottrina ipotizza che la previsione dell’art. 34, comma 3, c.p.a. sia stata intesa dal legislatore come diretta a consentire al ricorrente di proporre, anche in appello, la nuova domanda di accertamento, in sostituzione di quella di annullamento per la

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La disposizione dice infatti “ se sussiste” rinviando con ciò, ad una verifica attuale dell’interesse alla prosecuzione del giudizio.

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Si direbbe quindi che venga presupposta la già avvenuta presentazione di una domanda di risarcimento, fin dal ricorso introduttivo o comunque, secondo quanto previsto dall’art. 30, comma 5 c.p.a. “ nel corso del giudizio” ma in ogni caso anteriormente alla pronuncia di accertamento di cui è questione.

quale è venuto meno l’interesse, ovvero come implicante la possibilità di proporre ex novo una domanda di risarcimento. Se si propende per la prima delle due ipotesi, bisogna correggere la lettura sopra ipotizzata dell’art. 34, comma3, c.p.a. e intendere che non si tratti di una conversione ex lege del

petitum di annullamento, ma che sia necessaria la proposizione di una nuova domanda di accertamento209. Se si valuta come verosimile la seconda si deve concludere che l’art. 30, comma 5, c.p.a., che consente la formulazione della domanda risarcitoria “ nel corso del giudizio” di annullamento, comporti la possibilità di proporre la domanda di risarcimento per la prima volta anche nel giudizio d’appello210.

Questa lettura viene avversata da altre, non meno autorevoli, opinioni secondo le quali, si deve escludere la possibilità che sia richiesto per la prima volta in grado di appello il risarcimento dei danni provocati dal provvedimento amministrativo; l’art. 30, comma 5, che ammette che la domanda di risarcimento possa essere proposta anche nel “ corso del giudizio […]” non determina alcuna deroga al divieto generale di domande nuove in appello211. Problematiche sono del resto anche le conseguenze da trarre dalla previsione, di cui alla seconda frase del primo comma, secondo cui: “ Possono tuttavia

essere chiesti gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni subiti dopo la sentenza”, tale

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A. QUARANTA e V. LOPILATO, Il processo amministrativo, Giuffré, Milano 2011.

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LUISO: Le impugnazioni nel progetto del Codice del processo amministrativo, in www.judicium.it .

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disposizione consente dunque di chiedere in appello, oltre che gli interessi e gli accessori maturati dopo la sentenza impugnata ( come già la giurisprudenza pacificamente ritiene), anche il risarcimento dei danni subiti dopo la stessa. Anche da tale disposizione si potrebbe di per sé ricavare indicazione nel senso della possibilità di avanzare la domanda di risarcimento dei danni per la prima volta in appello. Una lettura più legata alla tradizione giurisprudenziale, molto ferma sull’inammissibilità di domande nuove che rimarrebbero sottratte al doppio grado di giudizio, vedrebbe invece, più correttamente, in tale disposizione solo la previsione della possibilità di modificare il quantum della domanda risarcitoria già proposta in primo grado, comprendendovi anche gli ulteriori danni sopravvenuti dopo la pronuncia della sentenza. Il punto rimane di difficile lettura e la giurisprudenza non vi ha ancora fatto chiarezza; rimane il fatto che, ad oggi, la possibilità di chiedere gli interessi e la rivalutazione monetaria sulle somme spettanti, maturati dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni, subiti dopo la sentenza stessa, rimane l’unica eccezione al divieto di proposizione di nuove eccezioni e domande212.

Risulta poi pacifico che il divieto di nuove domande e di motivi nuovi concerne esclusivamente quelli sollevati da chi ha introdotto il giudizio di primo grado, si riferisce cioè ai motivi addotti per dimostrare l’illegittimità del provvedimento originariamente impugnato, e limita in particolare la possibilità di chi ha originariamente proposto il ricorso e se l’è visto respingere, di portare

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M. CORRADINI e S. STICCHI DAMIANI, Il processo amministrativo, Giappichelli, torino, 2014.

in appello nuove ragioni per sollecitare l’annullamento dell’atto, e non riguarda domande e motivi con i quali si lamentino vizi del processo o difetti della sentenza, per chiedere l’annullamento di questa. Anche questo tema va considerato in relazione alla circostanza che appellante sia lo stesso ricorrente originario che in primo grado ha chiesto, senza successo, l’annullamento dell’atto, o invece l’amministrazione o il controinteressato soccombenti. In questa seconda eventualità, oggetto diretto del processo diventa la sentenza di primo grado, e il tema dei motivi di appello si pone, corrispondentemente, in termini assai diversi. La giurisprudenza ha infatti, fin qui, ritenuto che il divieto dei nova non si applichi alla parte resistente, soccombente in primo grado, la quale può dedurre come motivo di appello qualsiasi argomento, ancorché precedentemente non proposto213.

Il secondo comma dell’art. 104 c.p.a. ripete alla lettera il terzo comma dell’art. 345 c.p.c., come attualmente vigente, confermando la limitazione relativa alle nuove prove e ai nuovi documenti, ammissibili solo se il collegio li ritenga indispensabili, o se risulti che la parte che intende proporli o produrli on aveva potuto farlo in primo grado per causa ad essa non imputabile. Questa coincidenza tra le due disposizioni va a rafforzare l’analogia tra il processo amministrativo e quello civile.

La giurisprudenza anteriore al Codice aveva un orientamento differente riguardo all’ammissione dei mezzi di prova; in passato infatti si riteneva che il

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divieto di ammissione di nuove prove fosse valido solo per le prove costituende e non anche per le quelle costituite, stante la natura eminentemente documentale del processo amministrativo. Tale orientamento è stato superato dal Codice, e dunque la giurisprudenza ha precisato che attualmente il divieto di jus novorum sancito dall’art. 345 c.p.c. vige nel processo amministrativo nella sua interezza, dovendo essere esteso anche all’ammissione di documenti214.

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Cons. St. Sez. V, 21 giugno 2013, n. 3427 secondo il quale “ la giurisprudenza più recente di questo Consiglio ( Sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 7293; 15 giugno 2011, n. 3642; V, 7 maggio 2008, n. 2080; 28 aprile 2011, n. 2539; 5 settembre 2011, n. 4977; 4 febbraio 2008, n. 306; IV, 6 marzo 2006, n. 1122; 12 ottobre 2010, n. 7440) ha sancito l’applicabilità al processo amministrativo dell’art. 345 c.p.c. nella sua interezza. Una volta assodata l’estensione del divieto dei nova previsto dal menzionato art. 345 c.p.c. anche al processo amministrativo, difatti, è giocoforza recepirne l’interpretazione fornita dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ( 20 aprile 2005, n. 8202 e 8203), e indi trasposta nel novellato comma 3 dell’art. 345 c.p.c., secondo il quale il divieto di

ammissione dei nuovi mezzi di prova in appello riguarda anche le prove c.d. precostituite, quali i documenti, la cui produzione è quindi subordinata, al pari di quanto riguarda le prove c.d.

costituende, alla verifica di una sussistenza di una causa non imputabile che abbia impedito alla parte di esibirli in primo grado. La ratio della disposizione limitativa delle nuove prove, che forma sistema con le norme attinenti alle nuove domande ed eccezioni in appello, non è, infatti tanto quella che non si attenti alla speditezza del giudizio di secondo grado, quanto quella di assicurare la serietà del processo a partire dal suo primo grado di giudizio. Quanto all’estremo dell’eventuale “indispensabilità” della nuova prova, la giurisprudenza della Suprema Corte ( Cass. Civ., Sez. III, 19 agosto 2003, n. 12118) ha insegnato che l’indispensabilità richiesta dall’art. 345, comma 3, c.p.c. non va intesa come mera rilevanza dei fatti dedotti, ( condizione di ammissibilità, in fondo, di ogni mezzo istruttorio), ma postula la verificata impossibilità di acquisire la conoscenza di quei fatti con altri mezzi che la parte avesse l’onere di fornire nelle forme e nei tempi stabiliti dalla legge processuale, sicché il potere istruttorio attribuito al giudice d’appello della norma in parola, pur ampiamente discrezionale, non può essere esercitato per sanare preclusioni e decadenze già verificatesi nel giudizio di primo grado, atteso che la prova richiesta, in tal caso, non può neppure considerarsi prova nuova, per essere invece una prova della quale la parte è decaduta. Senza poi dire che, da ultimo, l’art. 54 D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. Con modif.. dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, modificando il testo del comma 3, art. 345 c.p.c. ha ormai soppresso la possibilità di ammettere in appello nuovi documenti per il sol fatto che i medesimi siano stati reputati dal Collegio “ indispensabili ai fini della decisione della causa”.

CAPITOLO III