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La divulgazione web-based

Nel documento Gentes - anno IV numero 4 - dicembre 2017 (pagine 101-106)

La società della scienza: il ruolo della divulgazione scientifica

5. La divulgazione web-based

La comunicazione della scienza ha assunto una ri-levanza crescente grazie all’interesse dimostrato da ampi strati della società nei riguardi della scienza, della ricerca scientifica e dell’innovazione (cfr. Siune, Calloni, Felt, Gorski, Grunwald, Rip, De Semir, Wyatt 2009).

I mezzi di comunicazione di massa sono stati senza dubbio storicamente fondamentali per la divulgazio-ne della scienza, ma oggi tendono a sottolidivulgazio-neare l’a-simmetria presente tra comunità scientifica e grande pubblico. Il web, al contrario, riesce a consentire un accesso all’informazione più facile ed immediato. (cfr. Scamuzzi, Tipaldo 2015).

Il mondo della scienza è stato travolto dai profon-di mutamenti che la recente tecnologia Internet e web-based ha messo in atto. L’attività di ricerca risulta infatti inserita in una catena comunicativa nella quale funge al contempo da promotrice e da oggetto di re-pentini cambiamenti. La comunicazione della scienza si è infatti gradatamente differenziata nella sua forma e si è imposta sempre più una multiformità della co-municazione soppiantando la divulgazione scientifica tradizionale (cfr. Scamuzzi, Tipaldo 2015).

Si è infatti arrivati ad una scienza in cui vi è un al-largamento dei soggetti autorizzati a partecipare alla raccolta delle informazioni e alla revisione di docu-menti, quasi si trattasse di una extended peer comu-nity, alla quale possono appartenere gli esperti della comunità scientifica, come gli esperti di altri settori e i cittadini interessati (cfr. Funtowicz, Ravetz 2003).

Dunque ad accentuare la dimensione del dialogo del-la partecipazione e deldel-la coproduzione di conoscenza con l’audience, sulla scia del modo 1 e del modo 2, è stato poi individuato un modo 3 della scienza, a con-ferma della stretta connessione della produzione del-la conoscenza scientifica con i bisogni deldel-la società (cfr. Scamuzzi, Tipaldo 2015).

La produzione della scienza in maniera collaborati-va sta alla base della cyberscience 2.0, che scaturisce dall’interazione di scienza, web e social-network.

Siti web e blog scientifici gestiti direttamente dagli scienziati risultano essere i principali strumenti in grado di ridefinire e innovare la relazione tra pubbli-co e ricercatore (Giglietto, Rossi, Bennato 2012, pp. 145-159).

Il blog scientifico è un insieme di pagine web, costan-temente aggiornate, scritte da uno scienziato o da un giornalista professionista. Le pagine trattano

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palmente argomenti di scienza e tecnologia (Bonetta 2007, pp. 443-445).

Questo strumento permette agli scienziati di poter parlare direttamente al pubblico e di avere inoltre uno scambio costante di conoscenze tra esperti. Secondo un’indagine svolta da Technorati, motore di ricerca dedicato al mondo dei blog che ne indicizza più di 20 milioni, già nell’ottobre del 2012 i blog scientifici sulla rete ammontavano a 10.860. Anche se ancora in Italia la blogosfera non può essere totalmente considerata come un canale alternativo di scienza, in quanto i blog forniscono un quadro non unitario fatto di una plu-ralità di pubblici e linguaggi, essa rimane comunque una buona base per diventare uno strumento divul-gativo collettivo.

Al contrario, negli Usa dove la divulgazione scientifi-ca ha della basi maggiormente radiscientifi-cate: il web costi-tuisce ormai la principale fonte di informazione per più del 20% della popolazione americana, e un posto di rilievo in questo panorama è costituito proprio dai blog (cfr. Horrigan 2006).

Una ricerca condotta dal processo ISAAC (cfr. Sca-muzzi, Tipaldo 2015) su un campione di scienziati ac-cademici italiani ha dimostrato che nel triennio 2010-2012 le pratiche comunicative più diffuse da parte degli scienziati sono state per il 59% tenere lezioni o conferenze in pubblico, per il 38% scrivere prodotti editoriali destinati al pubblico e per il 34% partecipa-re a dibattiti o eventi pubblici. Quelle inepartecipa-renti al web sono invece delle scelte meno battute, ad esempio solo l’11% degli scienziati interviene su siti, forum o social-network, solo il 3% ha un blog personale e ad-dirittura il 13% del campione non ha svolto attività di comunicazione nell’arco di tempo preso in esame dalla ricerca (cfr. Tammaro 2004).

Il sistema italiano dell’Università e della ricerca, al di fuori dei prodotti della ricerca indirizzati alla pe-er-community o al mercato, sicuramente tende a di-sincentivare l’impegno della divulgazione comunica-tiva del patrimonio scientifico e tecnologico. Infatti al momento non è previsto alcun tipo di riconoscimento dagli organi locali e nazionali di valutazione e non vie-ne dato vie-neanche vie-nessun tipo di bevie-neficio curriculare a coloro che intendano dedicarvisi. Al contrario la di-vulgazione prevede costi molte volte poco sostenibili. Vi sarebbe la necessità di strutturare fondi specifici per attività di comunicazione e uffici stampa dedicati. Inoltre l’attività di comunicazione dovrebbe entrare nella schiera di quelle prese in considerazione dagli organi di valutazione delle Università.

Alle eccessive restrizioni alla libera conoscenza come ad esempio la progressiva estensione della durata le-gale del copyright o la concentrazione editoriali come l’oligopolio di Elsevier e Springer che hanno causato

l’aumento vertiginoso del costo riviste scientifiche, si sta contrapponendo il movimento Open Access con l’obiettivo di rendere le pubblicazioni scientifiche ac-cessibili a tutti in formato digitale, in maniera gratuita e con un formato liberamente riproducibile.

Nello scenario complessivo delle trasformazioni recenti della scienza, l’Open Access rappresenta un fenomeno in forte ascesa,5 capace di fornire nuove opportunità per ampliare la letteratura scientifica a disposizioni dei ricercatori come del pubblico dei profani.

Questo movimento nasce infatti dal principio etico che i prodotti della ricerca finanziati con il denaro pubblico debbano essere restituiti alla collettività che li ha pagati (cfr. Scamuzzi, Tipaldo 2015).

L’editoria digitale offre quindi una grande opportu-nità divulgativa dimezzando i costi di produzione e distribuzione delle pubblicazioni scientifiche rispet-to alle pubblicazioni cartacee. Con un cosrispet-to minore, il valore aggiunto è molto maggiore, i tempi di pubbli-cazione sono dimezzati e la divulgazione al pubblico viene naturalmente favorita.

6. Conclusioni

L’avvento dell’era digitale ha cambiato radicalmente i processi di produzione e di diffusione dei risultati scientifici. La misura in cui il progresso scientifico po-trà essere favorito da questa evoluzione dipende dal grado di effettiva condivisione dei dati e delle meto-dologie nella comunità scientifica. Attraverso studi e analisi di istituti di ricerca e comitati editoriali delle riviste risulta chiaro come una condivisione robusta ed efficace dei dati sia indispensabile per sfruttare appieno le nuove acquisizioni, ottimizzare l’uso delle risorse e contribuire a una scienza rigorosa e ripro-ducibile. Non si tratta di un semplice passaggio di in-formazioni ma soprattutto di un vero e proprio coin-volgimento di quegli utenti atti a mettere in pratica determinate informazioni.

La cultura scientifica non può e non deve essere vi-sta come un bene astratto, ma piuttosto una risorsa strategica per il futuro di ogni paese.

Il raggiungimento di questo obiettivo è più comples-so di quanto possa sembrare, comples-soprattutto in quegli ambiti dove la conoscenza scientifica è difficilmente veicolabile e quindi minimamente accessibile ai po-tenziali fruitori.

Ma in un mondo in cui quasi ogni esigenza sociale di-pende sempre più da una qualche forma di tecnologia basata sulla scienza, aiutare le comunità a sviluppare la loro capacità di applicare la scienza e la tecnologia 5  Registry of Open Access Repositories Mandatory Archiving Pol-icies.

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è essenziale. In questo processo la comunicazione ri-sulta un mezzo fondamentale per colmare il divario tra la produzione di nuove conoscenze e l’applicazio-ne pratica delle stesse.

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Un modello di cooperazione in

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