• Non ci sono risultati.

2.La tutela della maternirà e il diritto alla procreazione nel diritto

Nel documento Gentes - anno IV numero 4 - dicembre 2017 (pagine 62-65)

internazio-nale; il regime di favore e preferenziale

per le donne incinte

Il diritto internazionale prevede una serie di norme, sia generali che più specifiche, aventi ad oggetto la tutela dell’essere umano e della sua dignità, contenu-te in due distinti siscontenu-temi contraddistinti all’origine da due diversi campi di applicazione.

Nel primo sistema vi sono le norme che enunciano i “Diritti Umani Fondamentali” destinati ad essere applicati in qualsiasi circostanza, salvo specifiche ec-cezioni, mentre nel secondo sistema, definito “Diritto internazionale umanitario”, troviamo le norme che hanno un contenuto più specifico adatto alle situazio-ni di conflitto armato interno o internazionale.

Il primo sistema di norme è stato concepito nell’am-bito della Organizzazione delle Nazioni Unite per ov-viare alla circostanza che la sua Carta istitutiva si è praticamente disinteressata di formulare dei diritti umani fondamentali universalmente riconosciuti.

Di questa importante codificazione fanno parte la Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, adot-tata dall’Assemblea Generale delle NU nel 1948, da ri-tenersi ormai accettata alla stregua di un diritto inter-nazionale consuetudinario, e i due Patti del 1966, uno sui diritti civili e politici, e l’altro sui diritti economici, sociali e culturali.

Nel secondo sistema invece, meritano attenzione le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e i successivi Protocolli del 1966.

Ora va subito rilevato che tra i redattori di questi due sistemi di norme non vi fu alcuna collaborazione, e quindi, non vi fu alcun tentativo di pervenire ad una unica interpretazione coerente, universalmente vali-da, né fu possibile stabilire criteri di prevalenza tra le norme di ciascun sistema.

Solo di recente la Corte internazionale di giustizia (sentenza del 19 dicembre 2005, in Recueil 2006, par. 220) ha ritenuto che tra i due sistemi si è ormai re-alizzato un ravvicinamento e persino una sovrappo-sizione, e si assiste così ad una convergenza dei due sistemi, in quanto ambedue contengono una parte comune posta a tutela dei diritti essenziali della per-sona umana in ogni circostanza, in ossequio a principi fondamentali di umanità.

Visioni interdisciplinari Gentes, anno IV numero 4 - dicembre 2017

64

Con specifico riferimento alla tutela della materni-tà e al diritto alla procreazione assume rilievo l’art. 16 della citata Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo che sancisce «il diritto di sposarsi e di fon-dare una famiglia senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione».

Nei successivi citati Patti del 1966, che si propongo-no di chiarire e di specificare la portata della stessa Dichiarazione universale, troviamo l’articolo 17, di fondamentale importanza, del Patto sui diritti civili e politici, secondo il quale «Nessuno può essere sotto-posto ad interferenze arbitrarie o illegittime nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a illegittime offese al suo ono-re e alla sua ono-reputazione».

E ancora, il successivo art. 23 che sostanzialmente si richiama al diritto individuale per uomini e donne, già evidenziati dall’art. 16 della Dichiarazione universale, di fondare una famiglia.

Degno di nota è pure l’art. 10 del Patto sui diritti eco-nomici, sociali e culturali che in maniera chiara preve-de l’obbligo per gli Stati di accordare «una protezione speciale alle madri per un periodo di tempo ragione-vole prima e dopo il parto».

Per le situazioni di conflitto la IV Convenzione di Ginevra sulla protezione delle vittime dei conflitti ar-mati internazionali, convenzione ritenuta ormai alla stregua del diritto consuetudinario generalmente accettato, dedica numerose disposizioni per la tutela delle donne partorienti.

In particolare contempla un loro diritto di accesso preferenziale nelle zone di sicurezza e nei corridoi umanitari (art. 23) e obbliga le parti in conflitto in qualsiasi circostanza di accordare loro “una protezio-ne e rispetto particolari” (art.16).

Sulla stessa scia il citato I Protocollo del 1966, sem-pre applicabile alle vittime dei conflitti armati inter-nazionali, al suo art. 8 prevede una speciale protezio-ne e rispetto per le donprotezio-ne partorienti e incinte.

Ciò avviene in varie disposizioni particolari; così, ad esempio, l’art. 76 prevede un obbligo per le parti in conflitto di esaminare “con priorità assoluta”, i casi in cui donne incinte siano state sottoposte ad arresto o internamento.

Le disposizioni sin ora esaminate dimostrano come una speciale attenzione sia dedicata a livello interna-zionale alle donne incinte. Soprattutto si deve sottoli-neare il generale riconoscimento di un obbligo impo-sto agli organi statali di accordare a queste ultime, in qualsiasi circostanza, un regime di favore e

preferen-ziale.

In sostanza, questo regime particolare deve essere assunto quale criterio interpretativo per applicare correttamente qualsiasi disposizione internazionale

che contempli per le donne incinte il diritto alla ma-ternità.

E questo deve avvenire sia in tempo di pace, che in situazioni di conflitto o di emergenza.

3. La tutela della maternità nel diritto

dell’Unione Europea

Prendendo adesso in esame la normativa europea si deve, in via preliminare sottolineare la particolare ef-ficacia ora accordata dall’art. 6 del Trattato sul’ Unio-ne Europea (UE) sia alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, da considerarsi ora avere lo stesso valore giu-ridico dei Trattati istitutivi dell’Unione, e sia ai dirit-ti fondamentali garandirit-tidirit-ti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, da considerarsi contenere i principi generali a cui si deve conformare la stessa Unione.

In sostanza, secondo quanto previsto dall’art.1 del-la richiamata Convenzione, anche i giudici nazionali sono chiamati a garantire il rispetto di tutti i diritti e libertà ivi contemplati; così i singoli possono ottenere il riconoscimento dei loro diritti, sia mediante ricorso presentato direttamente alla Corte europea dei diritti dell’uomo, e sia davanti ai loro giudici nazionali.

Con specifico riferimento al diritto alla procreazione meritano attenzione alcune disposizioni della men-zionata Carta dei diritti fondamentali dell’UE, quali l’art. 3 sul divieto delle pratiche eugenetiche in par-ticolare quelle aventi come scopo la selezione delle persone, l’art. 7 sul rispetto della vita privata e fami-liare, e l’art. 9 sul diritto di sposarsi e costituire una famiglia.

Con riferimento invece alle possibili discriminazio-ni che si possono avere nel mondo del lavoro a cau-sa della procreazione, la Corte di Giustizia ha avuto modo di condannare qualsiasi forma di rifiuto di as-sunzione basato sul mero fatto che una donna si tro-vasse in stato interessante, anche in seguito ad una fecondazione in vitro.

La Corte nella sua giurisprudenza si è sempre fon-data sulla Direttiva 76/207/CEE che sancisce il prin-cipio della parità di trattamento tra uomini e donne nel contesto lavorativo (Tra le prime sentenze dell’8 novembre 1990, v. causa 177/88, in Raccolta 1990 p. 3968), (Barbera 2007), (Strazzari 2008, p. 776), (Roccella, Treu 2007, p. 319), (Trucco 2008), (D’Auria 2009, p. 864).

Sempre nell’ambito dell’UE deve essere ricordata la Direttiva 2004/35/ del 31 marzo 2004 CE sulla defi-nizione di norme di qualità e di sicurezza per la dona-zione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazio-ne, la conservaziolavorazio-ne, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani.

Gentes, anno IV numero 4 - dicembre 2017 Visioni interdisciplinari

65

disposizioni nazionali riguardanti la definizione giu-ridica di persona o individuo.

Neppure la stessa direttiva si propone di interferire con le decisioni degli Stati membri in merito all’uso di particolari tipi di cellule umane (geminali, staminali dell’embrione).

Tuttavia, la direttiva deve essere rispettata qualora uno Stato decida un uso particolare di tali cellule al fine di tutelare la salute pubblica e il rispetto dei dirit-ti fondamentali.

In sostanza, la direttiva si limita a fornire delle im-portanti definizioni soprattutto sul diritto alla riser-vatezza dei donatori circa il loro stato di salute e per porre in essere un sistema adeguato per assicurare la loro rintracciabilità.

In particolare, ai sensi del suo art. 8, gli Stati devo-no garantire che «tutti i tessuti e le cellule prelevati, lavorati, stoccati o distribuiti nei loro territori siano rintracciabili nel percorso dal donatore al ricevente e viceversa».

4. Il diritto dei singoli

all’autodetermi-nazione garantito dalla Convenzione

europea dei diritti dell’uomo e delle

lib-ertà fondamentali

A livello europeo, la tutela della maternità viene ov-viamente tutelata anche dalla già richiamata Conven-zione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uo-mo e delle libertà fondamentali, grazie soprattutto al ruolo svolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quando essa è stata chiamata ad interpretare le dispo-sizioni della stessa Convenzione in senso evolutivo.

Così anche l’art 12 della Convenzione, alla stregua di altre disposizioni già richiamate, garantisce il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia.

Ma la disposizione che ha assunto un rilievo partico-lare nella materia che a noi interessa e di sicuro l’art. 8 dove viene previsto “il diritto al rispetto della vita privata e familiare” e dove viene limitato il potere di

ingerenza degli organi pubblici nell’esercizio di tale

diritto.

Innanzitutto, la Corte ha interpretato il citato art. 8 configurando “un obbligo positivo”, posto a carico de-gli organi pubblici, di informazione, proprio motu sen-za quindi che si renda necessaria una previa richiesta dell’interessato, a favore dei privati sui rischi e pericoli

per la loro salute e per l’ambiente che li circonda.

Questo obbligo positivo ovviamente sussiste in rela-zione al libero esercizio del diritto a fondare una fa-miglia, e quindi riguarda tutte le scelte che i privati possono adottare per rendere possibile l’esercizio di tale diritto (ad esempio, la scelta del luogo di residen-za, del luogo in cui dare alla luce il nascituro ecc.).

L’art. 8 obbliga così gli organi pubblici ad

effettua-re un coreffettua-retto bilanciamento degli inteeffettua-ressi in gioco per limitare al massimo di interferire nelle relazioni inter individuali dei cittadini, rispettando il loro

di-ritto all’autodeterminazione riguardo la loro identità,

orientamento politico, economico, sociale e la loro vita sessuale.

In sostanza il rispetto di questo diritto all’autodeter-minazione deve considerarsi come una espressione fondamentale di ciascun individuo per il suo sviluppo

personale e per la sua salute fisica e psichica. Il diritto

all’autodeterminazione presuppone inglobandoli sia il diritto di decidere se e quando diventare genitori e sia il diritto di concepire un figlio sano.

Quest’ultimo diritto pur non essendo esplicitamen-te previsto dalla richiamata Convenzione europea è stato tuttavia affermato dalla Corte interpretando in senso evolutivo sempre l’art. 8.

5. Il rispetto del principio di

ragionev-olezza, proporzionalità e coerenza

nel-la giurisprudenza delnel-la Corte europea

dei diritti dell’uomo

Nella sua giurisprudenza infatti la Corte europea dei diritti dell’uomo ha più volte interpretato in manie-ra particolarmente estensiva gli obblighi imposti agli organi statali dall’art. 8, considerando questa dispo-sizione come un “living concept” soprattutto al fine di garantire il rispetto della volontà dei genitori biologici e senza accordare alcun trattamento preferenziale ad uno di essi (cfr. caso Evans c. Regno Unito del 10 aprile 2007).

Tuttavia la Corte, in circostanze particolari, con-sente agli organi pubblici di esercitare un certo po-tere discrezionale (come nel caso in cui si trattava di permettere una procreazione medicalmente assistita ad in detenuto) ma solo dopo avere effettuato

corret-tamente un bilanciamento tra il diritto del singolo al

concepimento e altri interessi pubblici in gioco di va-ria natura e adottato le misure di sicurezza necessarie a tal fine (cfr. caso Dickson c. Regno Unito del 4 dicem-bre 2007).

In sostanza, la Corte si sofferma molto nelle sue sen-tenze sul potere di ingerenza degli organi pubblici e, in un primo suo orientamento (cfr. caso S.H. c. Austria del 1 aprile 2010) aveva fortemente limitato tale po-tere considerando il diritto dei genitori di avvalersi della procreazione medicalmente assistita (nel caso di specie permettere alla donna una fecondazione ete-rologa) come “un diritto assoluto”, in quanto espres-sione del richiamato diritto all’autodeterminazione contemplato dall’art. 8.

Secondo la Corte un diritto assoluto deve sempre poter essere riconosciuto e applicato senza eccezioni.

Visioni interdisciplinari Gentes, anno IV numero 4 - dicembre 2017

66

nelle loro opinioni dissidenti, i quali non considera-no il diritto al concepimento come un diritto assolu-to realizzabile ad ogni cosassolu-to (Isasi, Knoppers 2006, p.2477).

E così la Corte, nel giudizio di appello davanti alla Grande Camera del 2 novembre 2011, è ritornata sul punto, affermando che il potere discrezionale degli or-gani pubblici non può essere annullato ma solamente limitato tutte le volte che vi sono in gioco questioni che investono il campo etico e sociale.

Tuttavia, qualsiasi decisione deve essere effettuata dopo un attento bilanciamento degli interessi in gioco secondo un principio di ragionevolezza,

proporzionali-tà e coerenza, tenendo sempre presente l’evoluzione

scientifica e i progressi nel settore medico.

E così quest’ultimo principio sembra essere quello a cui si devono attenere gli organi pubblici, ivi incluso i legislatori nazionali, in mancanza di una normativa uniforme a livello europeo.

In un caso successivo (Costa e Pavan c. Italia del 28 agosto 2012) la Corte è stata chiamata a pronunciar-si sulla legittimità di alcune dispopronunciar-sizioni della nostra legge n. 40 del 2004 che vieta il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterolo-go.

In particolare sul divieto contenuto dall’art. 13 di effettuare una diagnosi pre-impianto e sul disposto dell’art. 4 che circoscrive in maniera drastica soltanto alle persone affette da sterilità o infertilità documen-tata o inspiegabile, la possibilità di ricorrere alla fe-condazione medicalmente assistita. Anche in questa occasione la Corte ritiene che il nostro legislatore, nell’imporre i richiamati divieti, non abbia rispettato i principi di ragionevolezza, proporzionalità e coe-renza in un paese in cui è invece ammessa la pratica abortiva.

Ancora una volta la Corte ritiene che qualsiasi inge-renza degli organi pubblici, nella materia in esame, possa essere giustificata solo se preceduta da serie indagini e analisi di carattere scientifico e tecnologico al fine di consentire un corretto bilanciamento degli interessi in gioco.

Tuttavia, più di recente (cfr. caso Parrillo c. Italia del 23 agosto 2015) la Grande Camera della Corte ha sta-bilito che il divieto di donare embrioni alla scienza, ricavabile dal richiamato art. 13 della legge italiana, non viola i diritti tutelati dal più volte citato art. 8 della Convenzione europea, in quanto lo stesso di-vieto può ricondursi allo scopo di tutelare la morale e le libertà altrui, nel caso di specie la vita potenziale dell’embrione.

6.I principi interpretativi formulati

Nel documento Gentes - anno IV numero 4 - dicembre 2017 (pagine 62-65)