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Dolo specifico e reati a consumazione anticipata.

Sezione II: Attuali profili critici.

Capitolo 2: Le diverse funzioni del dolo specifico.

2. Dolo specifico e reati a consumazione anticipata.

Nella manualistica è comune il riferimento alla correlazione tra dolo specifico e reati a consumazione anticipata29. In tali ipotesi il legislatore descrive in prima battuta delle fattispecie di pericolo nelle quali l’agente persegue una determinata finalità, necessariamente extra-fattuale, prevedendo poi (talvolta nel corpo della stessa norma di parte speciale) l’ipotesi alternativa in cui lo scopo del reo, realizzandosi, determina l’incriminazione più grave per il corrispettivo reato di danno.

In tali figure delittuose si appalesa la funzione anticipatoria del dolo specifico, che in siffatte ipotesi tramuta delle fattispecie di danno in reati di pericolo.

28 Analisi, quest’ultima, che verrà effettuata in seguito nell’ambito della trattazione: cfr.

infra, Capp. 3 e 4.

29 In senso contrario, tuttavia, cfr. A.PAGLIARO, Principi di Diritto Penale, cit., 386, che

distingue nettamente dolo specifico e “tentativo eccettuato” sulla base della mancata previsione, nel primo caso, dell’idoneità della condotta a raggiungere il fine.

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Esempio paradigmatico di questo peculiare meccanismo è rinvenibile nel delitto previsto all’art. 642 c.p.30 di fraudolento

danneggiamento dei beni assicurati e mutilazione fraudolenta della propria persona. Tali condotte vengono punite sol perché commesse

con la finalità di conseguire per sé o per altri l’indennizzo di un’assicurazione. La norma prevede poi, altresì, l’ipotesi aggravata in cui la finalità si verifichi.

La struttura della fattispecie riproduce la sequenza logico- cronologica tra tentativo e consumazione31: l’esposizione a pericolo del bene giuridico tutelato dalla disposizione32 diviene tuttavia oggetto

30 La norma, in particolare, prevede che «chiunque, al fine di conseguire per sé o per altri

l'indennizzo di una assicurazione o comunque un vantaggio derivante da un contratto di assicurazione, distrugge, disperde, deteriora od occulta cose di sua proprietà, falsifica o altera una polizza o la documentazione richiesta per la stipulazione di un contratto di assicurazione è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Alla stessa pena soggiace chi al fine predetto cagiona a se stesso una lesione personale o aggrava le conseguenze della lesione personale prodotta da un infortunio o denuncia un sinistro non accaduto ovvero distrugge, falsifica, altera o precostituisce elementi di prova o documentazione relativi al sinistro. Se il colpevole consegue l'intento la pena è aumentata».

31 Tale impostazione risulta palese nell’intenzione del legislatore storico. Eloquenti, sul

punto, i lavori preparatori del Codice Rocco: cfr. Relazione ministeriale al progetto definitivo, in Lavori preparatori, I, p. II, Roma, 1929, 463: «non ha dato luogo ad osservazioni notevoli la disposizione dell'articolo 661 del Progetto preliminare (657 del Progetto definitivo), che prevede la fraudolenta distruzione della cosa propria e la mutilazione fraudolenta della propria persona, e che in conformità dell'articolo 414 del Codice in vigore imprime il carattere di delitto di pericolo perfetto alla creazione di un artificio, anche prima che venga usato. Se si consegue l'intento, il delitto diventa di danno».

32 Secondo l’opinione preferibile (cfr., ex multis, G.FIANDACA E.MUSCO, Diritto Penale,

Parte Speciale. Volume II, Tomo secondo. I delitti contro il patrimonio, cit., 296-297; C. LAPICCIRELLA, La repressione delle frodi a danno degli assicuratori della responsabilità civile

automobilistica, in Assicurazione della responsabilità civile automobilistica, Atti del sesto convegno per la trattazione di temi assicurativi, Milano, 1965, 39-41), la fattispecie tutela esclusivamente il patrimonio dell’assicuratore, in quanto strumentale alla salvaguardia della funzione assicurativa nel suo complesso. In questo senso, l’incriminazione a titolo autonomo di tali fattispecie speciali di truffa tentata nel settore assicurativo assume forti connotati simbolici,

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di previsione autonoma, sottraendo la fattispecie all’ambito di applicazione dell’art. 56 c.p.33

In queste ipotesi, la costituzione di un’autonoma fattispecie di reato rappresenta certamente una precisa scelta di politica criminale34 orientata nel verso del diritto penale simbolico35, giacché il medesimo risultato36 si sarebbe potuto ottenere attraverso il combinato disposto

nonché funzione di agevolazione processuale. Anche in questo caso appare efficace richiamare le parole della già citata Relazione ministeriale, 463: «La ragione di' questa speciale configurazione giuridica, che prescinde dalle norme ordinarie nella valutazione di elementi di fatto, che sostanzialmente dovrebbero rapportarsi al delitto di truffa, è riposta nella necessità di concedere una maggiore tutela alla funzione assicurativa, che interessa 1’economia nazionale e di apprestare mezzi più efficaci di difesa contro un genere di frode, per il quale l'accertamento delle prove presenta estreme difficoltà».

È rimasta invero minoritaria, per quanto sostenuta da autorevole dottrina, la tesi della plurioffensività della fattispecie, secondo la quale la previsione mirerebbe altresì a tutelare gli interessi dei singoli assicurati, in considerazione del rapporto di inter-dipendenza tra l’aumento dei premi assicurativi e la crescita delle frodi in danno delle compagnie assicuratrici. In questo senso, cfr. G.NEPPI MODONA, voce La frode in assicurazione, in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 119; G.

MARINI, voce Infortuni (frodi nell'assicurazione contro gli), in Nss. D. I. App., IV, Torino, 1983,

217.

33 La dottrina maggioritaria esclude peraltro l’ammissibilità del tentativo nei delitti a

consumazione anticipata, ostando a ciò ragioni di carattere logico, oltre che di compatibilità con il principio di offensività: v. G.FIANDACA–E.MUSCO, Diritto Penale, parte generale, cit., 495; F.

MANTOVANI, Diritto Penale. Parte Generale, cit., 450. E.GALLO, Attentato (delitti di), in Digdp,

I, cit., passim.

34 Non a caso la categoria ricomprende in gran parte, pur non sovrapponendovisi, quella dei

delitti di attentato, ove l’esigenza di tutelare beni di particolare rilevanza impone il ricorso alla tecnica anticipatoria: cfr. M. SANTISE – F. ZUNICA, Il delitto tentato nell’evoluzione giurisprudenziale, in AA.VV. Coordinate ermeneutiche di diritto penale, cit., 359-360.

35 Tale drammatico collegamento è tristemente evidenziato nella prolusione ai corsi

dell’ateneo messinese dell’anno accademico 2017/2018 di L.RISICATO, Diritto alla sicurezza e

sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile? su www.unime.it, 2017, 6, che denunzia una tendenza, sempre più evidente negli ultimi anni, ad un uso del diritto penale in chiave simbolica, giacché «la tecnica di formulazione delle fattispecie incriminatrici si traduce sempre più spesso in previsioni farraginose e irragionevoli (e non di rado pesantemente sanzionate), oscure dal punto di vista teorico ma – ancor più – da quello applicativo e non di rado caratterizzate da un’anticipazione a dir poco generosa della tutela penale (emblematica l’incriminazione progressivamente più ampia delle condotte collaterali al fenomeno associativo nel contrasto al terrorismo internazionale)».

36 Proprio in tal senso G.DE VERO, Corso di diritto Penale, I, cit., 154, che esclude di tal

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della norma di parte speciale con la clausola generale di incriminazione suppletiva prevista dall’art. 56 del codice.

Ed infatti, anche laddove la norma incriminatrice non preveda il requisito dell’idoneità della condotta posta in essere ad esporre a pericolo il bene giuridico tutelato, ipotizzare che la sola direzione dell’azione a conseguire un determinato fine, prescindendo da un giudizio concreto di causabilità eziologica, possa risultare sufficiente ai fini della costituzione di un’offesa penalmente rilevante sarebbe del tutto contrario al principio di necessaria offensività.

Una tale interpretazione correttiva, in effetti, è stata in prima istanza fornita in dottrina e giurisprudenza con riferimento alla categoria dei delitti di attentato37, per poi essere, oggi, riferita alla più ampia categoria dei reati a dolo specifico. I dubbi di legittimità costituzionale inerenti i reati a consumazione anticipata sono stati così risolti, sotto il profilo dell’offensività, mediante il riferimento alla disciplina del tentativo ed al requisito della idoneità degli atti.

non suscitano particolari problemi rispetto al principio di offensività: ess[i] rappresentano in sostanza configurazioni particolari di quanto potrebbe essere punito comunque a titolo di tentativo, attraverso il combinato disposto dell’art. 56 c.p. con la norma incriminatrice del (l’unico) delitto che fosse previsto dalla legge in termini di danno».

37 In argomento, cfr.: G.MARINUCCI -E.DOLCINI, Corso di Diritto Penale, cit., 584 ss., E.

GALLO, Attentato (delitti di), cit., passim; E. GALLO – E. MUSCO, Delitti contro l'ordine

costituzionale, Bologna, 1984; R.BETTIOL, Considerazioni in tema di delitti di attentato, in Ind. pen., 1975, 29. Per una prospettiva più spiccatamente soggettivistica, cfr., contra, G.ZUCCALÀ, Profili del delitto di attentato, cit., passim.

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L’opzione da parte del legislatore nel senso dell’autonomia piuttosto che in quello della configurazione della fattispecie di danno con possibile applicazione – funzionale all’anticipazione della tutela – dell’art. 56 c.p., sembrerebbe piuttosto prestare il fianco a obiezioni sotto il profilo dell’opportunità. Essa potrebbe, di tal guisa, apparire

dannosa, laddove si dovessero avversare le tendenze espansive del

diritto penale ipertrofico38; ovvero, al più, inutile, considerato che tali previsioni non potrebbero avere funzione diretta a colmare dei vuoti normativi, andandosi piuttosto a sovrapporre con altre fattispecie astrattamente punibili39.

In realtà, la scelta dell’anticipazione della consumazione per il tramite del dolo specifico non si rivela mai penalmente “inutile”.

In tutta una prima serie di ipotesi, infatti, il dolo specifico viene utilizzato come tecnica di anticipazione “estrema”, con rationes evidentemente di direzione soggettivistica, al fine di reprimere condotte prodromiche e attinenti a zone per così dire “grigie”, rispetto alle quali l’incriminazione a titolo di tentativo potrebbe essere dubbia per l’eccessivo arretramento dell’intervento dello ius terribile.

38 In argomento, cfr. ampiamente C.E.PALIERO, «Minima non curat praetor» - Ipertrofia

del diritto penale e decriminalizzazione dei reati bagatellari, Padova, 1985, 3 ss.

39 Si pensi al complesso quadro creatosi, in materia di terrorismo, a seguito della massiccia

introduzione di fattispecie a consumazione anticipata sovrappostesi l’un l’altra: i dubbi applicativi non sempre vengono risolti dalle clausole di riserva all’uopo disegnate. Sul punto, sia consentito il rinvio a G.MARINO, Il sistema antiterrorismo alla luce della l. 43/2015: un esempio di diritto penale del nemico?, in Riv. it. dir. proc. pen., 2016, 1423.

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Talvolta, peraltro, la configurazione autonomamente delittuosa di atti preparatori può servire, in deroga ai principi generali previsti dal codice in materia di tentativo di delitti plurisoggettivi (art. 115 c.p.), a sottoporre a pena fatti che altrimenti non sarebbero rilevanti se non, eventualmente, ai fini dell’applicazione di misure di sicurezza40.

In ogni caso, la scelta di costituire un’autonoma incriminazione (a dolo specifico), nei casi di reato a consumazione anticipata determina sempre conseguenze in punto di disciplina.

L’autonoma configurazione, ad esempio, può determinare la previsione di una nuova cornice edittale, derogando all’ordinario rapporto in termini di quantum sanzionatorio stabilito dall’art. 56 c.p., secondo comma. Tale risultato è ancora più evidente in quelle circostanze in cui il dolo specifico viene utilizzato come strumento di anticipazione estrema, nelle quali la fattispecie di danno è presidiata da un certo numero di altre fattispecie prodromiche. In questi casi, peraltro, non sempre la cornice edittale viene adeguatamente coordinata con le disposizioni contigue, dando vita a dei paradossi ermeneutici in virtù dei quali fattispecie di pericolo remote rispetto all’evento in senso giuridico vengono punite in egual o maggior

40 Si pensi alla problematica fattispecie di arruolamento di cui all’art. 270 quater c.p., sulla

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misura di condotte che si pongono in momenti ad esse cronologicamente successive41.

Oltre alle questioni legate al quantum sanzionatorio, poi, la costituzione di autonome fattispecie a consumazione anticipata, presupponendo l’assimilazione strutturale con il delitto tentato, pone il problema della possibilità di applicare a tali reati a dolo specifico alcune disposizioni poste in materia di tentativo, come ad esempio la disciplina della desistenza e del recesso attivo, di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 56 c.p.

Ci si potrebbe chiedere, in particolare, se tali norme siano applicabili anche ai reati (a dolo specifico) a consumazione anticipata, nei casi in cui il reo volontariamente desista dall’azione oppure, dopo aver consumato il reato, con una contro-azione impedisca che la finalità aggravante si realizzi.

In effetti, predicando l’assimilabilità dei reati a dolo specifico al tentativo, si potrebbe ipotizzare l’applicazione in via analogica delle

41 Esempio palese di tale criticità è rinvenibile ancora una volta in materia di terrorismo, nei

rapporti tra le fattispecie di cui agli artt. 270 quater e 270 quater.1 c.p. Sia consentito il rinvio a G. MARINO, Il sistema antiterrorismo alla luce della l. 43/2015: un esempio di diritto penale del

nemico?, cit., 1407, ove si ha avuto modo di rilevare che «lascia perplessi la differenza sanzionatoria tra gli artt. 270 quater e 270 quater.1 c.p.: l’organizzazione del viaggio […] si pone in un momento successivo all’arruolamento (o reclutamento?), e quindi, in linea teorica, dovrebbe comportare un’esposizione a pericolo maggiore del bene giuridico. Eppure l’arruolamento è punito con la reclusione da sette a quindici anni, mentre, per l’organizzazione del trasferimento, la reclusione va dai cinque agli otto anni».

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norme su desistenza e recesso anche alle condotte analoghe rispetto al perseguimento della finalità in cui consiste il dolo specifico.

Il punto centrale della questione verte sulla qualificabilità delle norme di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 56 c.p., certamente in bonam

partem, come generali e non eccezionali (queste ultime, parimenti alle

disposizioni penali in senso stretto, non applicabili analogicamente giusto il disposto dell’art. 14 prel.).

Valorizzando la qualificazione di tali disposizioni come generali, nell’ambito del sotto-sistema del delitto tentato, è stata sostenuta in dottrina la loro applicabilità in chiave analogica42. Tale impostazione troverebbe conferma, argomentando a contrario, nell’art. 308 c.p.43, norma di favore contenuta nel capo V del titolo I del secondo libro del codice penale, espressamente dedicato ai delitti contro la personalità dello Stato.

42 Sulla portata e sui limiti del principio del divieto di analogia in diritto penale, cfr.

diffusamente: M.BOSCARELLI, Analogia e interpretazione estensiva nel diritto penale, Palermo,

1955; G.DELITALA, Analogia in “bonam partem”, in G.DELITALA, Diritto penale. Raccolta degli

scritti, Milano, 1976, 397; F.GIUNTA, L’applicazione analogica delle scriminanti: un luogo di tensione tra certezza del diritto e favor libertatis, in StI, 182.

43 La norma testualmente prevede: «nei casi preveduti dagli articoli 304, 305 e 307 non

sono punibili coloro i quali, prima che sia commesso il delitto per cui l'accordo è intervenuto o l’associazione è costituita, e anteriormente all'arresto, ovvero al procedimento: 1) disciolgono o, comunque, determinano lo scioglimento dell'associazione; 2) non essendo promotori o capi, recedono dall'accordo o dall'associazione.

Non sono parimenti punibili coloro i quali impediscono comunque che sia compiuta l'esecuzione del delitto per cui l'accordo è intervenuto o l'associazione è stata costituita».

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La norma prevede che, nei casi di cui agli artt. 304, 305 e 307 c.p. (i primi due, in particolare, reati a dolo specifico44 prodromici alla realizzazione di uno dei delitti di cui all’art. 302 c.p.), non sono punibili coloro i quali, prima che sia commesso il delitto-scopo, per cui si è concluso l’accordo o si è costituita l’associazione, disciolgono l’associazione o recedono dall’accordo, ovvero impediscono comunque che sia compiuta l’esecuzione del delitto.

Come emerge dai lavori preparatori, l’art. 308 c.p. prevedrebbe delle ipotesi speciali di desistenza volontaria e di recesso attivo: «qualora poi uno dei colpevoli impedisca l’evento […], non soggiacerà alla pena stabilita per il diritto tentato, sia pure ridotta da un terzo alla metà secondo le norme ordinarie sul tentativo, perché questa ipotesi ha, rispetto ai due delitti di cospirazione, un regolamento speciale nella disposizione dell'ultimo capoverso dell'articolo 312, la quale esclude, in tal caso, la punibilità dell'autore del fatto». In deroga al trattamento generale previsto per il ravvedimento operoso, pertanto, l’art. 308 c.p. prevede, in luogo della diminuzione della pena, la non punibilità. La ratio della norma

44 Secondo una diversa impostazione, l’art. 304 sarebbe un’ipotesi di «“tentativo

eccettuato”, che è un caso particolare di delitto tentato, eccezionalmente incriminato come figura autonoma. In tal caso, per la punibilità occorre l’idoneità della condotta a raggiungere il fine». Come tali, i tentativi eccettuati non sarebbero dei veri e propri reati a dolo specifico: cfr. A. PAGLIARO, Principi di Diritto Penale, cit., 386.

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sarebbe dunque quella di derogare alla disciplina generale del tentativo con una disciplina decisamente più favorevole.

Argomentando dunque a contrario, partendo dal presupposto per cui laddove il legislatore abbia voluto specialmente disciplinare delle ipotesi attraverso un trattamento più benevolo, lo ha espressamente disposto (come nel caso dell’art. 308 c.p.), sarebbe evidente che in assenza di puntuale previsione a questi casi si dovrebbero applicare le generali norme in materia di desistenza e recesso45.

Potrebbe tuttavia altresì sostenersi l’opposta tesi della inapplicabilità in via analogica della disciplina di cui ai commi 3 e 4 dell’art. 56 c.p.

Prima ancora di verificare la generalità o meno delle suddette previsioni, infatti, occorre chiedersi se sussista il presupposto basilare per ricorrere all’analogia, iuris o legis, ossia la lacuna normativa46.

In altri termini, come spesso si rileva in dottrina a proposito dell’applicazione analogica delle norme penali in bonam partem, a prescindere dal carattere generale delle disposizioni occorre verificare se le stesse non siano tassative47.

45 Così argomentando G.MARINUCCI -E.DOLCINI, Corso di Diritto Penale, cit., 583-584. 46 In tal senso, con riferimento all’applicabilità in via analogica delle norme scriminanti,

cfr. T. PADOVANI, Diritto Penale, cit., 36 ss.

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Nei reati a consumazione anticipata il legislatore ha optato espressamente per la costituzione di un’offesa, nel grado di pericolo, autonoma rispetto all’ipotesi di danno, tanto che al compiersi della condotta delittuosa verrà integrata una fattispecie in forma, appunto,

consumata e non tentata.

A rigore, nessuno spazio di rilevanza dovrebbe essere logicamente ipotizzabile per la desistenza volontaria: lo stesso art. 56, comma 3, c.p., sancisce che se il colpevole desiste volontariamente dall’azione, soggiace soltanto alla pena per gli atti compiuti che costituiscono autonomo reato. In tali casi, pertanto, se una volta perfezionatosi il reato a dolo specifico a consumazione anticipata il colpevole desiste volontariamente dall’azione, cessando così di esporre a pericolo il bene e scongiurandolo dal rischio di danno, senz’altro risponderà dell’autonomo atto prodromico, nella misura in cui esso sia stato autonomamente criminalizzato dal legislatore.

Più incerta, invero, è la risposta alla questione relativa al recesso attivo, non automaticamente inapplicabile sulla base di considerazioni di carattere logico.

Aderendo tuttavia ad un’interpretazione restrittiva dell’art. 56 c.p., utilizzandolo come paradigma correttivo di fattispecie problematiche in relazione al principio di offensività in quanto alla sua

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struttura, ma reputandolo norma tassativa, potrebbe ritenersi che anche la disciplina sul recesso attivo costituisca una circostanza attenuante del solo delitto tentato di cui all’art. 56 c.p., non applicabile oltre i confini della stessa previsione.

L’eventuale condotta riparatoria del reo, in ogni caso, potrà rilevare ai sensi della circostanza attenuante generica prevista dall’art. 62, n. 6, c.p., la quale tuttavia prevede un trattamento meno favorevole rispetto a quello di cui all’art. 56, ultimo capoverso, c.p.: diminuzione di un terzo della pena prevista per il reato realizzato, la prima; diminuzione da un terzo alla metà della pena, la seconda.