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Natura ed oggetto del dolo specifico in giurisprudenza.

Allo stato attuale, il dolo specifico non trova definizione a livello legislativo. L’elemento del finalismo viene inserito normativamente, di volta in volta, in talune fattispecie di reato: ciò comporta nella prassi un interessamento dogmatico certamente non diretto sull’argomento da parte della giurisprudenza.

Le massime sul tema si caratterizzano quindi per essersi formate su argomenti specifici, e raramente intervengono su questioni di carattere generale. Tuttavia, da un esame incrociato di varie sentenze di legittimità, si possono individuare alcuni punti fermi che la giurisprudenza ha ormai cristallizzato, seppur in occasioni diverse e con riguardo alle tematiche più disparate – tipicamente risolvendo questioni relative a singole fattispecie di reato, con implicazioni più di parte speciale che di parte generale.

In un primo momento, anche a seguito dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la giurisprudenza della Suprema Corte oscillò tra visioni soggettivistiche e oggettivistiche, rivelando le ataviche incertezze e contraddizioni dell’istituto.

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Mentre, infatti, in alcune sentenze il dolo specifico viene qualificato come elemento ulteriore rispetto a quello soggettivo63, con spinte oggettivistiche molto attuali, in altre pronunce la distinzione tra fine dell’agente ed elemento soggettivo non risulta così chiara.

In taluni casi, ad esempio, si arriva a sostenere che il fine dell’agente sia condizione sufficiente (e necessaria) ai fini dell’integrazione dell’elemento soggettivo del reato. In particolare, secondo la Cassazione, nell’art. 508 c.p. «la dizione “col solo scopo d'impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro” […] non significa che tale scopo debba essere l'unico dell'agente, ma vuole piuttosto dire, semplicemente, che non occorre ad integrare il resto l'esistenza o la coesistenza di un altro scopo, essendo di per sé sufficiente l'impedimento o il turbamento del lavoro a concretare l’elemento soggettivo del reato di invasione od occupazione di azienda»64.

In tempi più recenti, la Cassazione sembra invero aver preso posizione sulla natura del dolo specifico, aderendo alla concezione oggettivistica e modellandone la struttura sulla falsariga del

63 Cfr. in particolare, Cass. Pen., sez. II, 21.03.1973, in Ced, rv. 126310, secondo la quale

l'interesse o il movente dell'agente a commettere sono estranei ai requisiti integrativi del dolo del reato (blocco stradale) oggetto della pronuncia.

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tentativo65: sarà necessario dunque accertare che il reo ha agito con una condotta concretamente idonea e diretta inequivocabilmente a realizzare quello scopo specifico, a prescindere dalla obiettiva realizzazione del fine66.

I reati a dolo specifico, quantomeno nei casi di condotta tipica di per sé neutra, quale, ad esempio, il delitto di associazione per delinquere ex art. 416 c.p., sono riconducibili a pieno titolo tra le ipotesi di anticipazione della soglia del penalmente rilevante. Affinché queste ipotesi siano costituzionalmente compatibili è necessaria un’interpretazione orientata alla Costituzione ed ai suoi fondamentali principi: nella specie, al principio di materialità e a quello di offensività.

Dato che nelle massime recenti della Cassazione risulta sempre più frequente il riferimento all’esigenza che lo scopo risulti dalla tendenza dell’azione a quel determinato risultato, sembra potersi dire risolta la lunga questione dottrinale e giurisprudenziale legata alla natura ed alla funzione del fine nella fattispecie penale, essendosi

65 Sul punto, cfr. infra, § 3.2.3.

66 Si veda su questo punto Cass. Pen., sez. II, 20 luglio 2011, Valsecchi, in Ced, rv. 250517,

che, rispetto al reato di cui all’art. 270 quinquies c.p., richiede che il doppio dolo specifico ivi presente sia caratterizzato non solo dalla realizzazione di una condotta in concreto idonea al compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, ma anche dalla presenza della finalità di terrorismo descritta dall'art. 270 sexies; cfr. altresì Cass. Pen., sez. I, 22 aprile 2008, Fabiani, inedita; Cass. Pen., sez. I, 10 luglio 2007, n. 34989, in Guida dir., Dossier 10, 2007, 76 ss.

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adottata una posizione sicuramente conforme a quei principi costituzionali innanzi richiamati.

Per persuadersi definitivamente di questa connessione, è utile ricordare come la stessa Corte Costituzionale abbia precisato come l’offensività non deve solo connotare la fattispecie incriminatrice astratta, ma deve altresì configurarsi nel fatto incriminato, spettando al giudice il compito di «verificare se la condotta così realizzata, per quanto conforme all'astratto modello punitivo delineato dal legislatore, appaia tuttavia, nella sua specifica concretezza, assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico tutelato»67. Sulla base di tali premesse risulta del tutto evidente, laddove sul fine illecito si concentri l’intero disvalore della fattispecie, che solo una condotta idonea a realizzare il fine stesso possa dirsi pienamente (e concretamente) offensiva.

Altra questione affrontata in giurisprudenza è quella relativa all’oggetto del dolo specifico.

L’orientamento della Cassazione è sostanzialmente unanime nell’adottare un approccio restrittivo, circoscrivendolo esclusivamente a quanto previsto dalla legge e senza dare rilievo ad elementi ulteriori. Ricalcando il requisito della direzione inequivoca come elemento del

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tentativo, la Suprema Corte68 ha ad esempio escluso l’applicabilità della circostanza aggravante di cui all’art. 7, comma 1, del d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 20369, nel caso in cui il fine di avvantaggiare l’associazione mafiosa corrisponda esclusivamente ad un vantaggio indiretto per il soggetto, in quanto lo scopo di favorire l'associazione dev’essere il fine diretto della condotta.

Altra giurisprudenza, formatasi in materia di delitti contro la fede pubblica e in particolare nei delitti di falso, sembra propendere per la soluzione diametralmente opposta, applicando estensivamente il dolo specifico e allargando così, quantomeno apparentemente, l’ambito d’applicazione delle norme di riferimento.

La Cassazione, ad esempio, ha in più occasioni sottolineato come non sia necessario ad integrare il reato di falsità in scrittura privata di cui all’art. 485 c.p. il fine di ottenere un profitto illecito, essendo sufficiente lo scopo di conseguire per sé un vantaggio, anche perfettamente legittimo70. L’art. 485, ai fini dell’integrazione della fattispecie tipica, richiede infatti il fine di procurare a sé o ad altri un

68 Cass. Pen., 12 novembre 2013, in Ced, rv. 258951.

69 Si tratta della celebre c.d. aggravante dell’art. 7: “per i delitti punibili con pena diversa

dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416 bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, la pena è aumentata da un terzo alla metà”.

70 In particolare, cfr. Cass. Pen., sez. V, 16 marzo 2012, in Ced, rv. 252968, e soprattutto

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vantaggio, e non un vantaggio ingiusto: ciò ha determinato la possibilità di allargamento della punibilità da parte della giurisprudenza. Tale interpretazione appare comunque coerente con l’esigenza di compromesso insita nelle fattispecie di reato che anticipano la punibilità: già il solo fatto di falsificare un atto, al di là della finalità cui tale azione è diretta, implica una componente di offensività molto elevata, già di per sé idonea a ledere il bene giuridico sotteso alle norme in esame. In questi casi quindi il dolo specifico assume una funzione più descrittiva che selettiva, posto che possono immaginarsi pochi casi in cui si falsifichi un atto senza la finalità di procurarsi un vantaggio o causare un danno (si può, eventualmente, fare riferimento a casi di scuola come atti falsificati

ioci causa o docendi causa). In altre parole, tali reati si caratterizzano

per un’accentuazione del profilo del disvalore oggettivo d’azione astrattamente previsto. Quest’interpretazione estensiva della finalità appare del tutto legittima e caratterizza in modo generale la giurisprudenza in materia71.

71 Si veda altresì Cass. Pen., sez. V, 03 marzo 1979, in Ced, rv. 142546, secondo cui il dolo

specifico del delitto previsto dall'art. 2621 n. 1 c.c., ricorre quando il soggetto abbia agito con la volontà di determinare un errore nei soci o nei terzi in ordine alla effettiva situazione patrimoniale della società, accompagnata dal proposito di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, senza che occorra anche il proposito di cagionare un danno.

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