• Non ci sono risultati.

Il paradigma punitivo di cui all’art 416 c.p quale riferimento per le altre fattispecie associative.

Sezione IV: Il finalismo del reo quale strumento di contrasto alla criminalità organizzata.

8. Il paradigma punitivo di cui all’art 416 c.p quale riferimento per le altre fattispecie associative.

La principale fattispecie associativa è descritta dall’articolo 416 del codice penale 137 ; essa rappresenta un autentico paradigma incriminatorio138, cui fanno riferimento, in larga parte, le altre norme, speciali, che hanno come riferimento associazioni finalizzate a commettere più puntuali tipologie di reato.

L’art. 416 c.p. punisce la condotta di tre o più persone che si associano allo scopo di commettere delitti, differenziando il trattamento sanzionatorio a seconda del ruolo dell’agente nel corpo organizzativo: chi promuove, costituisce od organizza l’associazione soggiace ad una pena (la reclusione dai tre ai sette anni) più grave rispetto a quella da irrogare ai partecipanti, i quali, per il solo fatto di partecipare, vengono puniti (con la reclusione da uno a cinque anni).

Bruno Contrada: un nuovo diniego della Cassazione, in www.penalecontemporaneo.it, 11 dicembre 2017.

137 Con precipuo riferimento all’associazione a delinquere ex art. 416 c.p., cfr.: E.

CONTIERI, Associazione per delinquere, in Foro pen., 1955, 437 ss.; M. BOSCARELLI, voce Associazione per delinquere, in Enc. dir., III, Milano, 1958, 865 ss.; M. ANETRINI, voce

Associazione per delinquere, in Enc. giur., III, Roma, 1988; A. GARGANI, L’”associazione a

delinquere” nel pensiero di Francesco Carrara. Echi e suggestioni politico-criminali, in AA. VV., Criminalità transnazionale fra esperienze europee e risposte penali globali, Milano, 2005, 757 ss.; A.CAVALIERE, Associazione per delinquere, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da S.MOCCIA, vol. V, Delitti contro l’ordine pubblico, a cura di S.MOCCIA, Napoli, 2007, 221 ss.

195

L’elemento in comune alle condotte incriminate, pertanto, è l’esistenza dell’associazione.

La ratio dell’incriminazione risiede evidentemente nella volontà di prevenire la realizzazione dei reati oggetto della finalità delittuosa dell’associazione139, spiegandosi in tal senso l’accentuato profilo soggettivistico tipico della disposizione.

Dal punto di vista oggettivo, la fattispecie rappresenta un’ipotesi peculiare di reato a dolo specifico a condotta neutra140, giacché l’unico punto di collegamento tra la fattispecie astratta e la potenzialità lesiva dell’associazione è rimessa, dalla legge, allo scopo perseguito.

Nel panorama della parte speciale del codice, peraltro, l’art. 416 c.p. costituisce norma generale, dalla quale si distinguono altre tipologie associative specializzate in relazione al dolo specifico. In questi casi, pertanto, l’elemento finalistico svolge al contempo funzione incriminatrice-tipizzante e differenziale.

Il paradigma ex art. 416 c.p. viene in taluni casi accolto de plano: alcune disposizioni incriminano le condotte inerenti le associazioni

139 Ex multis, v., G.FIANDACA E.MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale. Volume I, cit.,

486: «incriminando l’associazione in se stessa il legislatore tende e rimuovere il pericolo che vengano commessi i reati oggetto del programma, così anticipando l’intervento diretto a prevenire la commissione dei singoli fatti criminosi».

140 Così G.DE VERO, Corso di diritto penale, I, cit., 155; F.BRICOLA, Teoria generale del

196

finalizzate a commettere reati specifici, con aggravio sanzionatorio rispetto all’art. 416 c.p. In questo senso vanno lette le fattispecie di

associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, di cui all’art. 74 del d.p.r. 309/1990141, e di associazione

per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ex art. 291 quater del d.p.r. 43/1973142.

Dal tenore letterale di tali disposizioni può desumersi che l’unica differenza tale da spiegare un diverso e più grave trattamento sanzionatorio sia costituita dall’oggetto del fine della compagine associativa, senza tuttavia che a una tale specialità si accompagnino peculiari caratteri organizzativi tipicamente rilevanti. Si giustificano pertanto pene in misura talvolta anche notevolmente superiore a

141 La norma, letteralmente, statuisce che “quando tre o più persone si associano allo scopo

di commettere più delitti tra quelli previsti dall'articolo 73, chi promuove, costituisce, dirige, organizza o finanzia l'associazione è punito per ciò solo con la reclusione non inferiore a venti anni.

Chi partecipa all'associazione è punito con la reclusione non inferiore a dieci anni”. In argomento, in dottrina, cfr. G. AMATO, Uno studio sul concetto di “organizzazione” nelle

fattispecie associative: storia di un espediente retorico, in Ind. pen., 2016, n. 1, 157 ss.

142 Così la disposizione: “quando tre o più persone si associano allo scopo di commettere

più delitti tra quelli previsti dall'articolo 291 bis, coloro che promuovono, costituiscono, dirigono, organizzano o finanziano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da tre a otto anni.

Chi partecipa all'associazione è punito con la reclusione da un anno a sei anni”. Per una visione d’insieme in tema di reati doganali, e per riferimenti specifici al relativo delitto associativo, cfr. S.BOLIS, Depenalizzazione del contrabbando e attenuata tutela degli interessi finanziari dell'Unione Europea, in www.penalecontemporaneo.it, 8 novembre 2016.

197

quanto previsto dall’art. 416 c.p. sulla base del solo dolo specifico143, con buona pace dei principi di proporzione ed offensività.

In altre ipotesi di reato, invece, il legislatore ha peculiarmente connotato la fattispecie associativa di specifici requisiti modali o strutturali: ne è esempio l’art. 416 bis c.p. in materia di associazione a

delinquere di stampo mafioso144.

La disposizione richiama, nei primi due commi, il paradigma di cui all’art. 416 c.p., statuendo che “chiunque fa parte di un'associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni”, e che “coloro che promuovono, dirigono o organizzano l'associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni”.

Singolare è invece il terzo comma della norma, che definisce l’associazione di tipo mafioso ai sensi di legge. In questo senso, tale è

143 Si pensi, ad esempio, alle condotte di costituzione, promozione od organizzazione,

punite dai tre agli otto anni ai sensi dell’art. 416 c.p., e con non meno di vent’anni dall’art. 74 del d.p.r. 309/1990.

144 In argomento, la letteratura è particolarmente ampia. Senza pretesa di completezza, cfr.:

A.CAVALIERE, Associazione di tipo mafioso, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da S. Moccia, vol. V, Delitti contro l’ordine pubblico, a cura di S. Moccia, Napoli, 2007; G. FIANDACA, L’associazione di tipo mafioso nelle prime applicazioni giurisprudenziali, in Foro It.,

1985, 301 ss.; A.INGROIA, L’associazione di tipo mafioso, cit.; G.NEPPI MODONA, Il reato di

associazione mafiosa, in Dem. e dir., 1983, 61 ss.; G.DE VERO, I reati di associazione mafiosa: bilancio critico e prospettive di evoluzione normativa, in AA. VV., La criminalità organizzata tra esperienze normative e prospettive di collaborazione internazionale, a cura di G.DE FRANCESCO,

Torino, 2001, 29 ss.; G.M.FLICK, L’associazione a delinquere di tipo mafioso: interrogativi e

riflessioni sui problemi proposti dall’art. 416 bis c.p., in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, 849 ss.; C. VISCONTI, I reati associativi tra dottrina e diritto vivente, in AA. VV, I reati associativi tra

paradigmi probatori e diritto sostanziale, a cura di L.PICOTTI -G.FORNASARI -A.MELCHIONDA - F. VIGANÒ, Padova, 2005, 135 e ss.; ID., voce Associazione di tipo mafioso, in Dizionario enciclopedico di mafie e antimafia, Torino, 2013.

198

la compagine in cui “coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali”.

Ancora una volta il legislatore non individua un’autonoma definizione di associazione penalisticamente rilevante. Ciononostante, la connotazione modale determinata dai riferimenti alla forza di

intimidazione del vincolo associativo ed alla conseguente condizione di assoggettamento e di omertà vale senz’altro a differenziare la

fattispecie dall’associazione ex art. 416 c.p., incidendo direttamente sul rapporto mezzo-fine e colorando di tipicità (ex se) offensiva le condotte poste al fine di realizzare gli scopi della compagine.

L’immagine che il legislatore fornisce dell’associazione mafiosa, in altri termini, sembra distinguersi per la concentrazione sulle modalità attuative dei fini, piuttosto che sui fini stessi.

199

Il profilo finalistico, di conseguenza, è configurato in modo autonomo, caratterizzandosi per un maggiore spettro di riferimento. Gli scopi indicati dal terzo comma dell’art. 416 bis sono, infatti, piuttosto eterogenei e non limitati al “mero” fine delittuoso; essi costituiscono un vero e proprio catalogo aperto145, in cui il punto nevralgico di offensività è costituito dalle forme di intimidazione attraverso cui gli affiliati perseguono gli obiettivi tipici dell’associazione.

Peculiare, infine, è la configurazione dell’ulteriore ipotesi delle

associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell'ordine democratico di cui all’art. 270 bis c.p.

Almeno in origine, quando il legislatore introdusse la norma nel nostro ordinamento (ad opera della l. 6 febbraio 1980, n. 15), l’intento perseguito era verosimilmente quello di ricalcare il paradigma dell’associazione a delinquere di cui all’art. 416 c.p., differenziando la fattispecie, ancora una volta, in base al diverso finalismo.

La questione deve oggi, tuttavia, essere rivista alla luce della normativizzazione della finalità terroristica ai sensi dell’art. 270 sexies

145 Proprio la particolare ampiezza dei fini proibiti dall’art. 416 bis c.p. ha destato nella più

attenta dottrina, all’indomani dell’entrata in vigore della disposizione ad opera dell’art. 1 della l. 13 settembre 1982, n. 646, dubbi di compatibilità con l’altrettanto ampio diritto di associazione tutelato dall’art. 18 Cost. In questo senso, Cfr. G.INSOLERA, Considerazioni sulla nuova legge antimafia, in Pol. Dir., 1982, 686 ss.

200

c.p., in cui il legislatore tenta di descrivere in punto di tipicità i requisiti che le condotte a scopo terroristico devono rispettare.

Stante, comunque, la specificità del sistema penale antiterrorismo e del ruolo ivi svolto dall’elemento finalistico, autentico perno dell’incriminazione, la questione dell’esatto perimetro della finalità terroristica di cui all’art. 270 sexies c.p. sarà oggetto di precipua attenzione nel prosieguo della trattazione146.

8.1. Associazione e finalismo.

Il legislatore non definisce precisamente l’associazione ai fini della legge penale. Come rilevato da voci autorevoli147, la mancata tipizzazione in senso offensivo della fattispecie è strettamente connessa alla ratio incriminatrice del codice Rocco, che individuò nell’art. 416 c.p. uno strumento repressivo atto a combattere tutte le ipotizzabili forme di opposizione all’ordinamento.

Tale configurazione ha tuttavia determinato gravi incertezze in termini di tassatività, nel solco delle quali si è posta la “salvifica” attività ermeneutica: l’identificazione degli elementi costitutivi della

146 V., in particolare infra, Cap. 4, § 2.