Sezione III: Ipotesi di dolo specifico nei delitti contro la vita e l’incolumità individuale.
5. Dolo specifico, mutilazioni genitali femminili e simbolismo penale alla prova della giurisprudenza.
La fattispecie di pratiche di mutilazione degli organi genitali
femminili102 è stata introdotta nel nostro ordinamento, all’art. 583 bis
c.p., attraverso la l. 9.1.2006, n. 7. La novella ha perseguito lo scopo dichiarato di attuare gli obblighi internazionali gravanti sull’Italia in forza della Dichiarazione e del Programma di azione di Pechino del settembre 1995, nella quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle donne.
La norma prevede due ipotesi di reato diversamente strutturate. Al primo comma, l’art. 583 bis c.p. punisce la mutilazione tout
court, in assenza di esigenze terapeutiche, degli organi genitali
102 In argomento, per i profili generali del fenomeno cfr.: F.DI PIETRO, Le norme sul divieto
delle pratiche di mutilazione genitale femminile, in Diritto&Diritti (www.diritto.it), 1 ss.; G.LA
MONACA – F. AUSANIA – G. SCASSELLATI, Le mutilazioni genitali femminili. Aspetti socio-
antropologici, giuridici e medico-legali e contributo casistica, in Rivista Italiana di Medicina Legale, 2004, 641 ss.; R.ZOJA, Lesioni personali, mutilazioni genitali femminili: note medico-
legali sulla nuova norma penale, in Archivio di Medicina Legale, 2006, 28, 1, 13 ss.; V.TOLA –G. SCASSELLATI –S.MANCUSO, Mutilazioni genitali femminili. Dimensioni culturali e problematiche socio-assistenziali, Milano 2001.
In prospettiva più marcatamente penalistica, cfr. C. SELLA, Le mutilazioni genitali
femminili come cultural oriented crime. Note di diritto italiano e comparato, in Diritto penale del XXI secolo, 2, 2007, 285 ss.; G.FORNASARI, Mutilazioni genitali femminili e multiculturalismo:
premesse per un discorso giuspenalistico, in AA.VV., Legalità penale e crisi del diritto, oggi. Un percorso interdisciplinare, a cura di A.BERNARDI -B.PASTORE -A.PUGIOTTO, Milano, 2008, 179 ss.
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femminili, specificando altresì cosa debba intendersi, con un’elencazione esemplificativa, per mutilazioni genitali femminili103.
Ben più problematica, sotto il profilo della formulazione della fattispecie tipica, è l’ipotesi prevista dal secondo comma, che incrimina “chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al
fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali
femminili diverse da quelle indicate al primo comma, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente”. Tale fattispecie, in sostanza un’ipotesi speciale di lesioni, è effettivamente idonea a palesare taluni problematici profili applicativi del c.d. dolo specifico differenziale104. In tal caso, infatti, l’infelice formulazione della disposizione pare tradire una componente di biasimo del fine dell’agente in quanto indice di pericolosità propria dell’autore, sconfinando con logiche di diritto penale del nemico105: il “fine di menomare le funzioni sessuali”, in particolare, sembra marcare in modo definito il carico simbolico della fattispecie106.
103 Nella specie, ai fini dell’art. 583 bis c.p. “si intendono come pratiche di mutilazione
degli organi genitali femminili la clitoridectomia, l'escissione e l'infibulazione e qualsiasi altra pratica che cagioni effetti dello stesso tipo”.
104 In argomento, cfr., amplius, supra, Cap. 2, § 3.
105 Sulla controversa teorica del diritto penale del nemico, nell’ambito della quale trova
ampio spazio il finalismo inteso come elemento cui attribuire rilevanza precipuamente psicologica, cfr. amplius, infra, Cap. 4, § 1.1.
106 Così C.SOTIS, Intervento, in AA.VV., La società punitiva. Populismo, diritto penale
simbolico e ruolo del penalista. Un dibattito promosso dall'Associazione Italiana Professori di Diritto Penale, su www.penalecontemporaneo.it, 21 dicembre 2016, 16.
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Per delineare l’oggetto di tutela dell’art. 583 bis c.p. occorre tenere in considerazione la natura sostanzialmente plurioffensiva di entrambe le fattispecie previste dalla disposizione, posta in risalto, nell’ipotesi di cui al secondo comma, proprio dall’elemento finalistico. Accanto all’integrità fisica ed alla salute psicosessuale, la fattispecie si pone a presidio, altresì, della dignità107 e della libertà di autodeterminazione della vittima, giacché proprio attraverso le mutilazioni genitali viene tradizionalmente esercitato un controllo sociale sulla sessualità femminile.
Il secondo comma dell’art. 583 bis c.p. incentra la distinzione con la fattispecie di lesioni proprio sul dolo specifico di “menomare le funzioni sessuali”, e d’altra parte si ritaglia uno spazio di applicazione, in negativo, al di fuori delle ipotesi previste dal primo comma.
La formulazione dell’elemento finalistico è invero pregna dello stigma avverso la totalità di tali pratiche, nell’alveo delle quali sono riconducibili fenomeni assai eterogenei108 e non sempre con funzione
107 Spunti in tal senso in S. CANESTRARI, Laicità e diritto penale nelle democrazie
costituzionali, in Scritti in onore di Giorgio Marinucci, a cura di E.DOLCINI E C.E.PALIERO, vol. I, Milano, 2006, 153; per degli spunti, anche di carattere comparatistico, in merito al ruolo della dignità umana nella repressione delle mutilazioni genitali femminili, cfr. M. E. TORRES
FERNÀNDEZ, El nuevo delito de mutilación genital in Estudios penales en homenaje al Prof. Cobo
del Rosal, Madrid, 2006, 953.
108 L’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2007, ha elaborato una classificazione
ripresa nella maggior parte degli studi sul tema (www.who.int). In particolare, occorrerebbe in tal senso distinguere mutilazioni genitali di tipo:
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di controllo della sessualità femminile 109 . Ciò reca importanti conseguenze sul piano applicativo, determinando il rischio di una strumentalizzazione giurisprudenziale in chiave simbolico- soggettivistica del dolo specifico.
La casistica riscontrabile in giurisprudenza, in materia, è minima110: ai fini della presente indagine, sembra utile analizzare, seppur negli aspetti essenziali, una peculiare pronuncia sul tema111, che tradisce le contraddizioni recate da un utilizzo fin troppo disinvolto di un dolo specifico “simbolico”.
In particolare, nel caso in esame la contraddittoria formulazione dell’art. 583 bis c.p. ha fatto sì che sia bastata, sul piano processuale, la presunta prova dell’intima finalità dell’agente, a prescindere dalla
II. parziale o totale asportazione del clitoride e delle piccole labbra, con o senza l’escissione delle grandi labbra (escissione);
III. parziale o totale asportazione dei genitali esterni e chiusura o restringimento dell’apertura vaginale (infibulazione);
IV. racchiude tutte le altre procedure dannose per l’apparato genitale femminile operate senza propositi terapeutici, quali: la puntura, l’incisione, il raschiamento, la cauterizzazione.
109 In tema, si veda la ricognizione operata da M. FUSASCHI, I segni sul corpo. Per
un'antropologia delle modificazioni dei genitali femminili, Torino, 2003 21 ss., ove si evidenziano i possibili errori determinati da un approccio esclusivamente di carattere clinico-giuridico alla questione delle mutilazioni genitali femminili.
110 Prima dell’introduzione della nuova fattispecie ex art. 583 bis c.p., cfr. Trib. Torino,
17.7.1997, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2000, 2, 140, caso conclusosi con decreto di archiviazione per mancanza di condizioni per legittimare l'esercizio dell'azione penale, giacché i genitori della vittima, nel caso di specie, «hanno inteso sottoporre la figlia a pratiche di mutilazione pienamente accettate dalle tradizioni locali (e, parrebbe, dalle leggi) del loro paese (la madre dichiarava di aver a suo tempo subito lo stesso tipo di intervento)»; nonché T. Milano 25.11.1999, in Diritto Immigrazione cittadinanza, 2000, 2, 148, nel quale la condotta di mutilazione è stata sussunta nell’ambito delle lesioni personali gravi.
111 Trib. Verona del 14 aprile del 2010, in Riv. it. Dir. Proc. pen., n. 2/2011, 838 ss., con
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concreta idoneità delle lesioni a pregiudicare le funzioni sessuali della vittima. Oggetto della questione era la pratica della c.d. aruè, tipica dalla popolazione degli Edo-Bini, consistente in un’incisione superficiale sulla faccia antero-superiore del clitoride.
Secondo la ricostruzione processuale, sulla base delle testimonianze assunte, si è avuto modo di rilevare che tale pratica «deve investire gli organi della riproduzione perché essa ha a che fare con la questione della discendenza e che chi non viene sottoposto al rituale in questione (che non è pubblico ma si svolge in ambito privato) non viene riconosciuto dal proprio gruppo, né viene considerato umanizzato e calato in una qualsiasi realtà, familiare, sociale o religiosa», e come, inoltre, «la pratica in questione assuma un triplice significato, di cui il primo attiene al fatto di essere umanizzati, ovvero essere rese donne all’interno della comunità degli umani, il secondo esprime un senso di appartenenza a quella specifica comunità ed il terzo riguarda la possibilità di vivere in libertà nel proprio gruppo come donne. […] La pratica ha anche un significato di purificazione, tanto che si lascia fuoriuscire qualche goccia di sangue, ma […] non vi è alcun legame con la sfera della sessualità, né la stessa ha finalità di controllo dell’uomo sulla sessualità femminile»112. In
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sostanza, si è rilevato come l’aruè non fosse diretta a pregiudicare la sensibilità o le funzioni sessuali dell’organo genitale, rivestendo piuttosto una funzione marcatamente culturale; né, peraltro, è stata provata la concreta idoneità alla limitazione della sessualità femminile tipicamente descritta nel secondo comma dell’art. 583 bis c.p.
Nonostante tali riscontri processuali, il giudice di prime cure ha ritenuto integrato il dolo specifico delle mutilazioni genitali femminili, ricavandolo apoditticamente dall’astratto contesto rituale della pratica, ed incentrandone il fulcro nella presunta intimità offensiva.
Sebbene il giudice d’appello abbia riformato il provvedimento, con specifiche censure relative alla soggettivizzazione del dolo specifico113, il caso vale ad evidenziare le criticità insite nella combinazione tra simbolismo penale e finalismo del reo, che rischia inevitabilmente di degenerare in forme late di diritto penale d’autore.
D’altra parte, tale casistica rivela inevitabilmente la poca stabilità offerta dalle interpretazioni correttive nella chiave della necessaria offensività, prive di concreta vincolatività e, pertanto, non sempre garantibili sul piano pratico. È pertanto inevitabile rilevare come «quanto più il principio di offensività sarà meglio riconosciuto a
113 Cfr. Corte d'Appello di Venezia, 23 novembre 2012 (dep. 21 febbraio 2013), n. 1485. In
argomento, cfr. F.BASILE, Il reato di "pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili" alla prova della giurisprudenza: un commento alla prima (e finora unica) applicazione giurisprudenziale dell'art. 583 bis c.p., in Dir. pen. cont.- Riv. trim., IV, 2013, 311 ss.
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livello legale […] tanto più potrà essere attuato a livello giurisprudenziale»114.