• Non ci sono risultati.

Il fine delittuoso nei reati di associazione.

Sezione IV: Il finalismo del reo quale strumento di contrasto alla criminalità organizzata.

7. Il fine delittuoso nei reati di associazione.

L’utilizzo in chiave prettamente incriminatrice del dolo specifico ha svolto un ruolo centrale nella lotta penale alla criminalità organizzata: paradigmatica in tal senso è la sostanziale assenza, tradizionalmente, di una vera definizione di associazione per delinquere che si ponga al di fuori dello stretto connotato finalistico, di cui principale esempio è dato dall’art. 416 c.p.127

I delitti di associazione128 costituiscono una categoria peculiare di reati contro l’ordine pubblico accomunati da un dato comune,

127 In questo senso, v. le considerazioni esegetico-critiche operate da G.PANEBIANCO, Reati

di associazione e declinazioni preternazionali della criminalità organizzata, Milano, 2018, 10 e, specialmente, 189 ss.

128 L’elevato numero di contributi in argomento, nel dibattito dottrinale, dimostra la

problematicità del tema. Senza pretesa di completezza, cfr.: G.FIANDACA, Criminalità organizzata

e controllo penale, in Ind. pen., 1991, 5 ss.; ID., I reati associativi nella recente evoluzione

legislativa, in AA. VV., Il coordinamento delle indagini di criminalità organizzata e terrorismo, a cura di G. MELILLO,A. SPATARO, P.L. VIGNA, Milano, 2004; D. MANZIONE, Una normativa “d'emergenza” per la lotta alla criminalità organizzata e la trasparenza e il buon andamento dell'attività amministrativa (D.L. 152/91 e L. 203/91): uno sguardo d'insieme, in Leg. pen., 1992, 853; AA. VV., Lotta alla criminalità organizzata: gli strumenti normativi, a cura di G.GIOSTRA E

G.INSOLERA, Milano, 1995; AA.VV., I reati associativi, Milano, 1998; G. DE VERO, Tutela

dell’ordine pubblico e reati associativi, cit.; ID., I reati associativi nell’odierno sistema penale, cit.; G.DE FRANCESCO, I reati di associazione politica, Milano, 1985; AA.VV., I reati associativi: paradigmi concettuali e materiale probatorio. Un contributo all’analisi e alla critica del diritto

190

rappresentato dalla precipua valorizzazione del fine degli associati di commettere i delitti-scopo, sovente unico appiglio di offensività in fattispecie in cui, altrimenti, le condotte non sembrerebbero in alcun modo illecite. Nondimeno, anzi, la dottrina spesso ricorda come l’associazione sia puntuale oggetto di un autonomo diritto costituzionalmente garantito129.

Se la funzione incriminatrice del dolo specifico, già di per sé, costituisce un autentico rebus giuridico sotto il profilo della materialità/offensività, nei reati associativi la questione è, se possibile, ulteriormente complicata dall’evanescenza del bene giuridico tutelato dalle norme in materia.

vivente, a cura di F.VIGANÒ, Padova, 2005; V.PLANTAMURA, Reati associativi e rispetto dei principi fondamentali in materia penale, in Ind. pen., 2007, 390; G. SPAGNOLO, Criminalità

organizzata e reati associativi: problemi e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., 1998, 1161 ss. La più ampia nozione di criminalità organizzata sorge in ambito processuale: un’efficace rassegna, in materia, è offerta da G.DI CHIARA, Appunti per una ricognizione della normativa processuale penale in tema di criminalità organizzata, in Foro It., 1999, 217 ss.; cfr., altresì, Cass. Pen., sez. un., n. 17706 dell’11/05/2005, in Ced, rv. 230895, la quale offre una definizione processuale di criminalità organizzata. Dopo aver evidenziato che, «a fronte della univocità di definizione della nozione "criminalità organizzata" prospettata nella riflessione socio- criminologica, è evidente, invece, l'assenza di una nozione giuridica unitaria, poiché questa si rinviene in contesti normativi diversificati e non sempre utili sul piano delle esigenze ermeneutiche specifiche», la Suprema Corte ha altresì chiarito che, relativamente all’applicazione di una serie di disposizioni processuali rilevanti in materia di «reati di criminalità organizzata, quest'ultima nozione identifica non solo i reati di criminalità mafiosa e assimilata, oltre i delitti associativi previsti da norme incriminatrici speciali, ma anche qualsiasi tipo di associazione per delinquere, ex art. 416 cod. pen., correlata alle attività criminose più diverse, con l'esclusione del mero concorso di persone nel reato, nel quale manca il requisito dell'organizzazione». In argomento, cfr., ulteriormente, le note critiche di G.LEO, La nozione processuale di criminalità organizzata, in Corr. merito, 2005, 832.

191

L’ordine pubblico è, infatti, un bene inafferrabile, facilmente strumentalizzabile per ragioni di repressione ideologica, facendo riecheggiare così le eco di un diritto penale votato all’obbedienza.

Spesso, peraltro, specialmente in passato, i delitti contro l’ordine pubblico sono stati ricostruiti come reati a pericolo presunto130, segnando un autentico scollamento dai principi costituzionali che la dottrina più recente131 ha tentato di sanare mediante lo strumento di un’interpretazione orientata al crisma della necessaria lesività, recuperando la dimensione concretamente pericolosa delle condotte in esame.

In un contesto ove sia l’oggetto che la forma di tutela appaiono rischiosamente indefiniti, il finalismo appare un’agile “scappatoia”, di natura politico-criminale e processuale, per aggirare la delicata questione della tipizzazione puntuale delle condotte punibili132.

130 In tal senso, l’ordine pubblico sarebbe esposto a pericolo già solo dall’esistenza di un

vincolo associativo e dalla sua permanenza: è questa la tesi, ad esempio, di A. INGROIA,

L’associazione di tipo mafioso, Milano, 1993, 36 ss.

131 In questo senso, specialmente G.INSOLERA, L’associazione per delinquere, cit., 91 ss.;

cfr., altresì G.FIANDACA –E.MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale. Volume I, cit. 488-489. 132 Sul punto, cfr. in particolare G.FIANDACA E.MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale.

Volume I, cit. 486, spec. nota n. 2: «la tendenza evolutiva del modello normativo dell’associazione per delinquere dai codici preunitari al codice Rocco appare, in realtà, caratterizzata da un processo di progressiva astrazione generalizzatrice: precisamente, nel senso che la fattispecie associativa va spogliandosi di referenti criminologici specifici per assumere una portata il più possibile generale, estendibile a tutte le forme del crimine organizzato».

192

D’altra parte, l’indeterminatezza133 delle disposizioni coinvolte, ivi compreso l’art. 110 c.p.134, ha consentito alla giurisprudenza di condannare a titolo di concorso esterno nel reato associativo135 le

133 Evidenzia criticamente carenze in punto di tassatività del modello associativo, in

particolare, G.INSOLERA, op. loc. ult. cit., passim.

134 Le disposizioni in materia di concorso di persone nel reato sono, com’è noto,

ampiamente criticate in dottrina per la loro palese indeterminatezza: si pensi all’opinione di G. BETTIOL, Brevi considerazioni sul problema del concorso di più persone in un reato

(dattiloscritto), in CNR – CNPDS, La riforma della parte generale del codice penale. Concorso di persone nel reato, 4 per cui «tutto il titolo del concorso di più persone in un reato è passibile di eccezione di anticostituzionalità per mancanza di precisione parziale o totale, direi di tassatività»; cfr. altresì G.VASSALLI, Sul concorso di persone nel reato, in Ultimi scritti, Milano, 2007, 107:

«l’art. 110 […] è la disposizione più incostituzionale che esista nell’ordinamento italiano, quanto meno nell’ordinamento penale […] L’art. 110 viola in modo flagrante sia il principio costituzionale di legalità sia il principio costituzionale d’eguaglianza […] annega ogni criterio di razionalità in un indistinto rapporto di causalità». Sulle ragioni per cui il legislatore ha aderito al modello della tipizzazione unitaria, cfr. in particolare M.ROMANO –G.GRASSO, Commentario

sistematico del codice penale, vol. II, Milano, 2012.

Per altro verso, attenta dottrina ha posto l’attenzione sulla funzione più strettamente politico-criminale insita nell’indeterminatezza della fattispecie concorsuale: per tutti, cfr. L. RISICATO, La causalità psichica tra determinazione e partecipazione, Torino, 2007, 76 ss.; l’A.

mette in correlazione l’indeterminatezza di cui all’art. 110 c.p. e la tendenza della giurisprudenza a ricorrere al paradigma concorsuale in particolari momenti di emergenza. In argomento, per una disamina delle questioni problematiche inerenti il rapporto tra concorso di persone e altre forme di manifestazione del reato, nonché per le conseguenze in punto di tassatività e ampliamento della punibilità, si veda L.RISICATO, Combinazione e interferenza di forme di manifestazione del reato, cit., spec. 56 ss., 215 ss. e 376 ss.

Ulteriori rilievi critici in G.DE VERO, Corso di diritto penale, II, cit., 38 ss.

135 Mentre la configurabilità del concorso eventuale in reato a concorso necessario è dubbia

in dottrina, la giurisprudenza ha progressivamente riconosciuto e consacrato la rilevanza penale di tale istituto, fondamentalmente per questioni di politica criminale.

Storicamente, è a partire dagli anni Settanta che si comincia a parlare di concorso esterno in reato associativo, rispetto alle organizzazioni terroristiche di matrice politica: le prime sentenze ad affrontare la questione sono infatti relative ai reati di banda armata e di cospirazione politica mediante associazione. Cfr., in proposito, Cass. Pen., 25 ottobre 1983, in Foro it., Rep. 1984, voce Concorso di persone nel reato, n. 30; Cass. Pen., 27 novembre 1968, in Arch. Pen., 1970, 8 e ss.

Ben più florida la giurisprudenza successiva, specificamente ad oggetto il concorso esterno in associazione mafiosa. Alla base dell'elaborazione dell’istituto, con tutta evidenza, vi è l'esigenza di trovare uno strumento il più possibile duttile, atto a reprimere le condotte di contiguità all’associazionismo illecito: in argomento, cfr. le storiche sentenze Cass. Pen., sez. Un., 5 ottobre 1994, Demitry, in Foro it., 1995, II, c. 422 ss.; Cass. Pen., sez. Un., n. 22327 del 21/05/2003, Carnevale, in Ced, rv. 224181, su cui v. le note di G.DENORA, Sulla qualità di concorrente

“esterno” nel reato di associazione di tipo mafioso, in Riv. it. dir. proc. pen., 2004, 479 ss.; Cass. Pen., sez. un., n. 33748 del 20/09/2005, Mannino, in Ced, rv. 231672. In argomento, cfr. G.DE

193

condotte più disparate, interpretando un ruolo per certi versi creativo136 che non pare compatibile con l’impianto costituzionale in merito alla separazione dei poteri dello Stato.

perdurante afasia legislativa, in Dir. pen. proc., 2003, 1325 ss.; C.VISCONTI, Il concorso esterno

in associazione mafiosa: profili dogmatici ed esigenze politico-criminali, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1995, 1303 e ss.; ID., Il concorso di persone nel reato associativo, in Studium juris, 1995, 242 e ss.; ID., Sui modelli di incriminazione della contiguità alle organizzazioni criminali nel

panorama europeo: appunti per un'auspicabile (ma improbabile?) riforma "possibile", in (a cura di C. VISCONTI - G. FIANDACA), Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni

normative, Torino, 2010.

In dottrina non mancano opinioni del tutto dissenzienti rispetto alla possibilità di configurare un concorso esterno in reato a concorso necessario: cfr. soprattutto G.INSOLERA, Il concorso esterno nei reati associativi: la ragion di Stato e gli inganni della dogmatica, in Foro it., 1995, 423 ss.; A.MANNA, L’ammissibilità di un concorso “esterno” nei reati associativi, tra

esigenze di politica criminale e principio di legalità, in Riv. it. dir. proc. pen., 1994, 1189 ss. Particolarmente efficaci le considerazioni di G. PANEBIANCO, Reati di associazione e

declinazioni preternazionali della criminalità organizzata, cit., 230 ss. e spec. 231, che evidenzia l’equivoco di fondo in materia: il contributo causale del concorrente esterno dovrebbe innestarsi sulla condotta del singolo partecipe od organizzatore/promotore, laddove la giurisprudenza si accontenta dell’efficienza causale rispetto al fatto dell’associazione.

136 Le peculiarità dell’istituto del concorso esterno in reato associativo, con precipuo

riferimento al ruolo creativo della giurisprudenza nell’ambito di un ordinamento di civil law, non sono passate inosservate neanche a livello sovranazionale. Il riferimento è al noto affaire Contrada c. Italia, Corte eur. dir. uomo, 14 aprile 2015, ric. n. 66655/13, con la quale la Corte di Strasburgo ha sancito la violazione da parte dell'Italia del principio nullum crimen sine lege ex art. 7 CEDU.

In particolare la Corte Edu, rileva che «il n’est pas contesté entre les parties que le concours externe en association de type mafieux constitue une infraction d’origine jurisprudentielle»: nella sua dimensione assoluta, ciò implicherebbe già solo, di per sé, una violazione dei principi costituzionali del nostro ordinamento in tema di separazione dei poteri e crisma di legalità. Nella prospettiva dei giudici di Strasburgo, tuttavia, la lesione del principio di cui all’art. 7 CEDU consiste nell’aver irrogato una pena per una fattispecie non sufficientemente prevedibile, in quanto «l’infraction litigieuse a été le résultat d’une évolution jurisprudentielle amorcée vers la fin des années quatre-vingt du siècle dernier et qui s’est consolidée en 1994 dans l’arrêt Demitry».

Sulla controversa sentenza della Corte Edu sul caso Contrada, sia consentito il rinvio a G. MARINO, La presunta violazione da parte dell'Italia del principio di legalità ex art. 7 CEDU: un

discutibile approccio ermeneutico o un problema reale? in www.penalecontemporaneo.it, 3 luglio 2015 e a G.MARINO, Nuove incongruenze giurisprudenziali sul concorso esterno in associazione mafiosa: gli effetti della sentenza Contrada della Corte EDU, in www.penalecontemporaneo.it, 6 maggio 2016.

In argomento, cfr. altresì A. MANNA, La sentenza Contrada ed i suoi effetti

sull’ordinamento italiano: doppio vulnus alla legalità penale? in www.penalecontemporaneo.it, 4 ottobre 2016; Cass. Pen., sez. I, n. 43112 del 20 settembre 2017 con nota di F. VIGANÒ, Strasburgo ha deciso, la causa è finita: la Cassazione chiude il caso Contrada, in

194

8. Il paradigma punitivo di cui all’art. 416 c.p. quale