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Dolo specifico e restringimento dell’ambito della punibilità: i reati a condotta tipica pregnante.

Sezione II: Attuali profili critici.

Capitolo 2: Le diverse funzioni del dolo specifico.

4. Dolo specifico e restringimento dell’ambito della punibilità: i reati a condotta tipica pregnante.

Categoria che tradizionalmente non ha suscitato particolari preoccupazioni nel dibattito dottrinale in materia è quella dei reati a dolo specifico di ulteriore offesa60. In questa tipologia di reati la condotta base incarna già in sé un certo grado di disvalore osteggiato dall’ordinamento, e il dolo specifico serve esclusivamente a ridimensionare l’ambito di applicazione della norma penale.

59 Ibidem, 580-581.

60 Così F.MANTOVANI, Diritto Penale. Parte Generale, cit., 219; C.LEOTTA, Il genocidio

nel diritto penale internazionale. Dagli scritti di Raphael Lemkin allo Statuto di Roma, Torino, 2013, 362.

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All’uopo si parla correntemente di funzione selettiva o restrittiva del dolo specifico.

Con riferimento a tale categoria di reati, la dottrina rileva pacificamente come il principio di offensività sia salvaguardato dalla previsione di una condotta base senz’altro non lecita, anche qualora venga isolatamente osservata61. In tali fattispecie, infatti, il fine perseguito dall’agente può anche essere in sé indifferente per l’ordinamento: si pensi al paradigmatico esempio offerto, nell’ambito dei delitti contro il patrimonio, dal fine di trarre profitto nei delitti di furto (624 c.p.) e ricettazione (648 c.p.).

In tal senso, più calzante con tale ratio di utilizzo del dolo specifico appare il riferimento a questa tipologia di reati come a condotta tipica pregnante, e non tanto come delitti a dolo specifico di ulteriore offesa. A rigore, invero, la funzione selettiva delle ipotesi estranee al fine previsto dalle disposizioni di cui trattasi ben potrebbe essere svolta, in alternativa, dall’utilizzo del principio di offensività

61 Così, ad esempio, nel delitto di furto, «il fatto di chi “si impossessa della cosa mobile

altrui sottraendola a chi la detiene”, realizza già una precisa offesa del patrimonio, in quanto turba il rapporto di detenzione e/o possesso con la cosa mobile»; cfr. G.DE VERO, Corso di diritto Penale, I, cit., 155.

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quale canone ermeneutico, sulla scorta della teoria della c.d. offensività in concreto62.

È (astrattamente) ipotizzabile una fattispecie di ricettazione laddove il requisito finalistico del fine di procurarsi un profitto non venga espresso: ciò, ovviamente, a patto di aver ben chiaro che ogni fattispecie concreta sanzionata penalmente debba esprimere un’offesa al bene giuridico di riferimento, e richiedendo pertanto in sede processuale, oltre ogni ragionevole dubbio, che lo stesso sia stato danneggiato ovvero esposto ad intollerabile pericolo.

Tale impostazione risulta coerente con la tesi che valorizza la mancata qualificazione del profitto come ingiusto63 nelle fattispecie di furto e ricettazione, la quale rifiuta l’idea che l’illiceità dello stesso possa essere requisito implicito della fattispecie. Una tale suggestione valorizza e porta alle estreme conseguenze la tesi della necessaria oggettivizzazione dell’elemento finalistico, riducendo al contempo gli spazi per una funzione delimitatrice del dolo specifico.

L’opposta tesi, autorevolmente sostenuta in dottrina e in giurisprudenza, parte dal presupposto che non sarebbe equo punire

62 In materia, cfr. V.MANES, Il principio di offensività nel diritto penale: canone di politica

criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, cit., 209 ss.; Corte cost., 7 luglio 2005, n. 265, cit., in www.giurcost.org.

63 In dottrina, ex multis, cfr. F.ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. 1,

Milano, 2016, 308; G.PECORELLA, voce Furto (dir. pen.), in Enc. dir., XVIII, Milano, 1969, 352 ss.; in giurisprudenza cfr. Cass. Pen. 13 novembre 1970, in Cass. pen. ann., 1972, 521, 661.

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delle condotte che abbiano una proiezione volontaristica diretta a un risultato tutelato dall’ordinamento: il profitto perseguito dall’agente, pertanto, tanto nel furto quanto nella ricettazione, dovrebbe implicitamente ritenersi ingiusto affinché punibile. In tale direzione emerge in modo cristallino il senso del tradizionale riferimento, in tali ipotesi, alla funzione selettiva del dolo specifico. Sarà incriminabile il reo che abbia voluto perseguire, attraverso la propria condotta illecita, un fine a sua volta illecito. In questo senso, laddove «il profitto perseguito con l’azione sottrattiva [trovi] fondamento in una pretesa giuridicamente riconosciuta», l’agente non dovrebbe essere punito per furto bensì, ove ne ricorrano i presupposti, per esercizio arbitrario delle proprie ragioni ex artt. 392 e 393 c.p.64.

Tale ricostruzione tuttavia, ponendo l’accento sull’essenza della volontà dell’agente, riporta in qualche modo l’elemento finalistico della fattispecie su preoccupanti piani soggettivistici, senz’altro da rifiutare allorquando è sul fine illecito che si concentri l’intero disvalore della fattispecie.

Se così è, allora, delle due l’una: o si accetta che con le fattispecie a dolo specifico qualsiasi operazione di reductio ad unum sia destinata a fallire; ovvero, preferibilmente, si valorizza il

64 In questo senso, cfr. G.FIANDACA E.MUSCO, Diritto Penale, Parte Speciale. Volume

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collegamento tra elemento finalistico, tipicità ed offensività, al fine di leggere da una medesima prospettiva comune le diverse fattispecie riconducibili a tale ampio “genus”.

A maggior ragione, nelle ipotesi in cui la condotta base sia penalmente pregnante, ed anche il fine sia espressamente qualificato come illecito, l’elemento finalistico vincola ulteriormente l’interprete, restringendo l’ambito di applicazione alle sole fattispecie che concretamente esprimano un disvalore ben preciso, sia con riferimento alla condotta che al fine perseguito dal reo.

Un simile meccanismo, riscontrabile nell’ambito dei delitti contro il patrimonio ove sia richiesta la finalità di captare un profitto

ingiusto, come nei reati di truffa65 (640 c.p.) o appropriazione indebita66 (646 c.p.), non implica comunque che la distinzione tra il penalmente rilevante e l’irrilevante venga determinata dal mero esame della finalità perseguita dall’agente.

La combinazione tra condotta illecita e fine illegittimo, piuttosto, determina, come complessivo risultato della tecnica di redazione della fattispecie utilizzata dal legislatore, un ambito applicativo ridimensionato, in quanto l’offesa al bene giuridico di riferimento va

65 Sul punto cfr., amplius, G.MARINI, voce Truffa, in Digesto disc. Pen., XIV, Torino,

1999, 353; A.FANELLI, La truffa, Milano, 1998; R. ZANNOTTI, La truffa, Milano, 1993.

66 In argomento: A. PAGLIARO, voce Appropriazione indebita, in Digesto disc. Pen., I,

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desunta non solo dalla condotta base, bensì dalla sua correlazione con una finalità a sua volta illegittima.

5. La delicata funzione stricto sensu costitutiva del dolo