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la “doppia morale” sessuale

Nell’inchiesta di Barbagli (2010) sulla “Sessualità degli italiani”, emerge con nettezza come la differenza tra maschi e femmine sia data per scontata, e gli stereotipi siano pervicaci, soprattutto negli intervistati più giovani e in quelli più anziani. Il dato che emerge con chiarezza è che, per motivi biologici, si assume che la sessualità maschile si possa connotare come predatoria, mentre quella femminile può declinarsi solo tra le due posizioni, antitetiche, di madre e moglie oppure prostituta. L’equipe di ricerca ipotizza che le due fasce d’età più legate a questi stereotipi siano accumunate dal vivere una fase dell’esistenza in cui i modelli di socializzazione sono più ancorati ad una visione tradizionale e vissuti in contesti soprattutto monogenere, e che non abbiano vissuto delle esperienze concrete che li hanno messi in discussione, al contrario della fascia dei trentenni e dei quarantenni.

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Le condizioni sociali, quali l’istruzione e l’incontro con esperienze di segno diverso, influenzano molto la visione dei soggetti riguardo alcuni topos del pregiudizio sessuale, che assegnano al maschio un bisogno sessuale più forte e separato dai sentimenti. Questa visione predatoria della sessualità inibisce la possibilità di considerare positivamente una sessualità femminile attiva e sperimentatrice, poiché estremamente collegata, ancora, alla logica della reputazione.

Apparentemente le donne oggi sono libere di avere una condotta sessuale libera e autodeterminata, ma è importante essere consapevoli di quanto sia ancora presente nella nostra cultura il concetto di “onorabilità” della donna, che passa esclusivamente dalla sua condotta sessuale. È sufficiente monitorare per qualche giorno lo slut shaming rivolto alle donne sui social network e nei commenti agli articoli online per notare un resistente sessismo, ad esempio nei casi di stupro per cui la donna ha sempre una parte della colpa, o nelle allusioni sessuali rivolte a donne in politica. Uno dei casi più tragici, emblema di questa visione della donna, è il suicidio di Tiziana Cantone. Una donna adulta che sceglie di farsi riprendere durante un atto sessuale, ma il video non rimane privato e viene inviato tramite messaggistica istantanea per poi approdare sul web. Tralasciando gli aspetti legali e il dolore soggettivo per la violazione della propria volontà di riservatezza, appare evidente come questo avvenimento risulti devastante per la vita quotidiana di una donna, che invece di essere considerata una vittima, è stata additata come una prostituta, inteso come termine dispregiativo e quindi condannata come donna immorale, che meritava la gogna mediatica, dal momento in cui ha partecipato a quel video. Dell’uomo, in esso presente, non si sa nulla.

Credo sia possibile affermare che le donne si trovino in una condizione di double bind riguardo ai modelli di sessualità, dal momento in cui la promessa di liberazione sessuale non si è realizzata, se non in termini esclusivamente superficiali, e le proprie scelte sessuali sono giudicate ancora secondo l’antico ma resistente binomio tra donne per

57 bene e donne per male. La pornografia mainstream alimenta questa dicotomia, come chiarisce Annalisa Verza: (2006, p.22)

“Una cultura questa che ha creato un perfetto circolo perverso: essa detta le regole (imponendo alle donne la riservatezza sessuale), prevede la pena per l’infrazione (perdita della rispettabilità), e, sadicamente, gode (è il godimento del fruitore della rappresentazione pornografica) nel produrre la trasgressione della regola (l’evidenza pornografica) per poter giustificare una punizione che evidentemente asseconda l’immaginario sessuale dei fruitori di pornografia ancor più che non il rapporto sessuale normale… La punizione è il rapporto sessuale accompagnato dall’umiliazione, il ʽfottereʼ la donna, l’alchimia che sovrappone il sesso e il potere, la femmina e il personaggio irreparabilmente degradato”. (p.22)

In questo contesto culturale agire il proprio desiderio, se non conforme alle aspettative di limitazione sessuale, rischia di essere davvero una scelta ardita, dalle conseguenze estremamente negative. Vivere la sessualità solo all’interno di un rapporto monogamico può essere una scelta condizionata dalla paura dello stigma sociale o dalla sua introiezione tramite l’educazione ricevuta. Ma il desiderio delle donne è diverso da ciò che agiscono concretamente, proprio come c’è un netto scarto tra coltivare delle fantasie sessuali e poi attuarle. In completa antitesi con la teoria di Faust, condivisa da molte altre esponenti del femminismo della differenza, il desiderio femminile appare molto diverso dalla gentilezza, intimità e maternità che gli attribuiscono. Senza pretese di fornire un quadro completo delle fantasie femminili, Nancy Friday, nel 1973, raccoglie le lettere di donne dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, che poi pubblica in un libro dal titolo “Il mio giardino segreto”, nel tentativo di fornire uno spazio di racconto per le donne, che fino a quel periodo erano state il “sesso silenzioso”. Secondo Friday le donne, fino alla “rivoluzione sessuale” non avevano mai raccontato le loro fantasie sessuali soprattutto per la paura della reazione degli uomini, che in virtù della dicotomia tra donne per bene e donne per male, avrebbero colto in tali desideri una possibilità di perdere terreno di potere, perché la donna non si sarebbe più esclusivamente

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accontentata del suo piacere e del suo benessere, ma avrebbe rivendicato anche il proprio.

“Volevo solo trovare una conferma della mia convinzione: che esiste un immaginario erotico femminile e che si deve riconoscere che le donne possono avere, come gli uomini, desideri e bisogni sessuali non realizzati che perlopiù trovano sfogo solo nella fantasia.” (p.24)

Almeno tre delle fantasie raccolte dalla Friday mettono in discussione la concezione di un desiderio femminile innato orientato alla monogamia, alla tenerezza e all’intimità, infatti l’autrice raccoglie diversi racconti e ne indica numerosi in cui la componente eccitante è quella dell’anonimato, altre in cui l’atto sessuale avviene in pubblico, e ancora molte altre che hanno come tema lo stupro. Chiaramente, coltivare una fantasia non significa che essa voglie essere agita, anzi, molte delle donne che raccontano di queste fantasie chiariscono che di fronte a una possibilità concreta di realizzarle non sarebbero assolutamente disponibili e addirittura ne sarebbero terrorizzate. Semplicemente, queste fantasie mettono in luce come l’eccitazione femminile non rispetti quelli che sono i canoni che si pretende siano legati al destino biologico, evidenziando quanto sia ideologico non indagare il pesante ruolo della cultura nell’influenzare le condotte sessuali, pur rimanendo incapace di “normalizzare” l’aspetto dell’immaginario.

La conclusione cui giunge B. Faust è che la rivoluzione sessuale, che ha avuto la pretesa di equiparare il desiderio femminile con quello maschile, ha nei fatti tolto potere alle donne. Il motivo per cui è accaduto è che ha tolto alle donne il potere di “dire no”, l’unica forma di dominio che aveva fino ad allora. Secondo la sua teoria, accettare le naturali differenze tra i sessi è l’unico modo per stabilire relazioni gratificanti, soprattutto all’interno del matrimonio:

“I mariti sessualmente soddisfatti sono meno inclini alle distrazioni, la convivenza è migliore, ed essi sono inoltre più generosi per quanto riguarda le comodità materiali… I lettori possono rimanere sconcertati a scoprire quante diplomate misurano il loro

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successo non in orgasmi multipli, in una pelle più pulita, o in un accresciuto senso di identità personale, ma in viaggi estivi e beni di consumo durevoli. Queste donne non sono probabilmente più materialiste di tante altre, i compensi tangibili sono solo i segni di un migliore rapporto emozionale.” (p. 216).

La differenza tra uomini e donne diventa così una giustificazione non tanto del dominio maschile, quanto della possibilità di utilizzare la sessualità predatoria maschile per costruire e mantenere una relazione, l’unico aspetto che interessa alla donna, la cui sessualità non richiede nemmeno il raggiungimento dell’orgasmo.

L’inchiesta di Barbagli (2010) mette in luce di come, nell’atto sessuale, piacere e orgasmo per gli uomini siano inscindibili, mentre per le donne non siano sovrapponibili. La maggioranza degli uomini e delle donne intervistati ritengono, infatti, che per le donne un rapporto possa essere soddisfacente anche senza orgasmo, mentre per gli uomini no. Nonostante questo, più della metà delle donne intervistate rivela di fingere l’orgasmo, non solo in caso di una condizione di anorgasmia, perché per l’uomo è una rassicurazione e perché così il rapporto si può concludere più in fretta. Anche in questo caso la risposta evoluzionistica ci consegna l’ipotesi che per la donna il rapporto possa essere gratificante comunque perché l’orgasmo non è fondamentale per la procreazione, trascurando, con sospetta noncuranza, che il rilascio di ossitocina ed endorfine conseguenti all’orgasmo sono ciò che spingono la donna ad essere disponibile sessualmente avendo perduto l’ancoraggio dell’estro visibile. La sessualità è collegata alla procreazione, ma non si agisce la propria sessualità soltanto spinti dalla volontà riproduttiva, bensì sotto la spinta dell’eccitazione e del piacere. Se si considera che la contraccezione e la pianificazione familiare rendono la sessualità ancor più slegata dalla riproduzione, il fatto di espungere l’orgasmo come elemento importante del rapporto, soltanto per le donne, probabilmente è l’elemento culturale e sociale a motivare questa scelta.

La riservatezza sessuale per una donna è ancora uno strumento non solo di sicurezza sociale, ma anche di potere. Così Verza motiva l’ostilità verso il prodotto pornografico,

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perché mette in discussione il terreno di controllo femminile. Infatti, secondo la filosofa, la rivoluzione sessuale degli anni ’70 per la donna è una rivoluzione mancata non a causa del controllo maschile, ma probabilmente perché le donne hanno innate la riservatezza e la continenza sessuali. Questo è provato dal fatto che stupri, ricorso alla prostituzione e alla pornografia sono comportamenti maschile, con dati statisticamente soverchianti, e anche dal fatto che, quando hanno avuto la possibilità di fare sesso come gli uomini, le donne non l’hanno colta. Su questo ultimo punto può essere interessante porsi qualche interrogativo, prima di dare per scontato che le donne non l’abbiano colta perché hanno meno bisogni sessuali degli uomini. Il primo punto problematico è se quella offerta sia stata una possibilità reale o soltanto apparente di liberazione sessuale. La società sicuramente ha allentato la repressione e il controllo sessuale dopo gli anni ’70, ma, se ancora oggi la rispettabilità delle donne passa dalla loro continenza sessuale, rischia di essere superficiale la lettura data. Inoltre, le donne e le ragazze erano state cresciute ed educate con una serie di regole implicite ed esplicite che non si può pensare che potessero essere superate solo perché una parte di società stava mettendo in discussione l’ordine tradizionale. Alcune donne ci sono riuscite, ma lo sforzo individuale si è connesso allo sforzo collettivo compiuto da gruppi di donne, che hanno condiviso questa esperienza di liberazione.

La proposta avanzata da Verza semplifica il panorama della differenza sessuale, gettando una luce diversa su un sistema di “potere occulto” della donna, che si fonda su un presunto maggior controllo sessuale:

“Secondo questa lettura alternativa il materiale pornografico non avrebbe tanto la funzione di esprimere una norma di potere maschile, ma piuttosto quella di veicolare un messaggio illusorio: la fantasia di un desiderio femminile incapace di rifiutare. Non si tratterebbe di sbandierare un potere acquisito, ma di lasciare che il maschio, al contrario, possa sognare una situazione in cui le donne, normalmente più forti, scendono al suo livello e si spogliano, oltre che dei vestiti, anche e soprattutto del loro vantaggio: la loro capacità di controllo sessuale.” (p. 66)

61 Il maggiore controllo della donna potrebbe configurarsi come il risultato di un clima sociale in cui alle donne è richiesto proprio questo, e il volgerlo come elemento di “superiorità” nei confronti dell’uomo ottiene due risultati: il primo è connotare negativamente la sessualità come l’espressione di uno sfogo incontrollabile, giustificando implicitamente lo stupro e la molestia, poiché spinti da un bisogno decretato come “incontrollabile” per natura. Il secondo è, pur mutando il punto di vista, ribadire che uomini e donne sono diversi biologicamente, e questa diversità conduce a comportamenti diversi non nell’ordine della scelta, che non è possibile, e che hanno quindi un valore diverso. Nella lettura di Verza è la donna ad essere superiore all’uomo, e, nonostante l’apparente dominio maschile nella sfera pubblica, nella sfera del privato è la donna che ha il potere di rifiutare. Eludendo, così, anche tutta la questione delle donne che non possono rifiutare, come le ragazze obbligate a prostituirsi, che, secondo questa visione, saranno le inevitabili vittime di un maschio predatore per natura, pertanto ineducabile. La guerra dei sessi è ancora in pieno svolgimento, si tratta solo di scegliere le armi.

Non è possibile giungere ad una conclusione riguardo a quali siano le cause delle differenze sociali tra uomini e donne, quali siano i fattori che hanno costruito il muro degli stereotipi di genere, quanto sia da attribuire al “nocciolo duro” (Butler, 1996) della differenza biologica e quanto alla cultura. A partire da questa impossibilità conoscitiva, è necessario tendere ad un superamento di tale dicotomia, operando attraverso il paradigma della complessità. Non è importante trovare la causa prima del conflitto tra i generi, definire se la prevalenza è naturale o culturale poiché, qualunque fosse o, come dice Morin, essendo probabilmente entrambe, questo non cambierebbe nulla riguardo alle prospettive educative che questo tema porta con sé.