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non repressione, ma perversione

Si potrebbe quindi dire che la proliferazione delle perversioni è un effetto del sapere della sessualità, e non della supposta repressione del sesso dei soggetti. In questo senso,

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dice Foucault, la società borghese, che secondo questa analisi è ancora quella di oggi, è una società perversa e non una società repressiva. Se le perversioni sono un metro per “calcolare” il grado di pervasività del dispositivo di sessualità, si potrebbe allora concludere che la pornografia è uno degli elementi che mette più chiaramente in luce quanto il sesso sia ancora un terreno di scontro di potere (biopolitico): i portali del porno sono infatti organizzati internamente per categorie, e le due distinzioni principali dei filmati attengono o alla conformazione fisica dei performer o alle perversioni dei sex numbers, e spesso i caratteri fisici sono essi stessi parte della più ampia categoria delle perversioni. I maggiori portali del porno sono un caleidoscopio di comportamenti sessuali che si ritrovano nelle categorie della perversione dei manuali di sessuologia, e il consumo di pornografia è considerato sempre più diffusamente, esso stesso, come un comportamento sessuale deviante.

La mancanza della repressione, quindi, secondo l’autore non è il risultato di una liberazione ma piuttosto una delle caratteristiche peculiari del cambiamento del tipo e delle strategie del potere, e rientra nella logica del dispositivo della sessualità.

“… non credere che accettando il sesso, si rifiuti il potere; si segue al contrario il filo del dispositivo generale di sessualità. Bisogna liberarsi dell’istanza del sesso se si vuole far valere contro gli appigli del potere, con un rovesciamento tattico dei vari meccanismi della sessualità, i corpi, i piaceri, i saperi, nella loro molteplicità e nella loro possibilità di resistenza. Contro il dispositivo di sessualità, il punto d’appoggio del contrattacco non deve essere il sesso-desiderio, ma i corpi ed i piaceri.” (1978, p. 140)

La conclusione de “La volontà di sapere” suggerisce una resistenza al dispositivo della sessualità ma la trama della rete del potere che Foucault ricostruisce e la scarsa possibilità di agency del soggetto rendono piuttosto nebulosa la reale possibilità che essa possa realizzarsi, soprattutto se la si considera come una spinta soggettiva e individuale.

Sebbene lo stesso autore indichi che nel bio-potere le trame sono larghe, proprio perché irrelate e mobili, e il potere non Sovrano è costretto a lasciare ai soggetti margini di

89 libertà, la capillarità del dispositivo, dai fatti micro a quelli macro sociali, ci consegna un soggetto che appare determinato dai condizionamenti. Se tutte le agenzie, da lui chiamati “apparati”, sono uno strumento e un riproduttore del dispositivo di sessualità, se la trasgressione è impossibile perché “prevista” e inglobata nella rete del bio-potere, non è pensabile uno spazio che consenta ai soggetti di “ritornare ai corpi e ai piaceri”.

Lo stesso autore mette in luce come l’infanzia e l’adolescenza siano età della vita in cui il dispositivo di sessualità agisce con capillari e multiformi strategie, non solo attraverso un potente controllo dei comportamenti sessuali, ma con una specifica forma di discorsività del sesso: il silenzio.

“Nuove regole di decenza, senza dubbio, hanno filtrato le parole: polizia degli enunciati. Controllo delle enunciazioni anche: si è definito in modo molto più rigido dove e quando non era possibile parlarne; in quale situazione, fra quali locutori, ed all’interno di quali rapporti sociali; si sono stabilite così regioni, se non di silenzio assoluto, almeno di tatto e discrezione: fra genitori e figli per esempio, o educatori ed alunni” (1978, p. 20)

Riprendendo il filo del ragionamento di Foucault, nemmeno il silenzio è “garanzia” di uscita dal dispositivo della sessualità, perché inserito nelle dinamiche della discorsività del sesso.

La società attuale mette in mostra i corpi e la sessualità senza nessuna forma di tabù sui media, ma con la fortissima ambivalenza della permanenza di stereotipi di genere e di pregiudizi sull’orientamento sessuale, per cui il silenzio da parte degli “apparati” non può che dimostrare una mancanza di responsabilità che, a mio avviso, inficia anche la autorevolezza delle agenzie educative. Il silenzio rispetto ai temi della sessualità e delle relazioni sessuali, in una società ipersessualizzata e pornificata come quella odierna, mette in luce come il dispositivo della sessualità stia ancora agendo, e abbia scelto questa come strategia nelle agenzie educative.

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Alla luce dei dati sul consumo di pornografia tra i giovani, parlare di sesso e di affettività con i soggetti educativi non può essere considerato come una possibilità tra cui scegliere, ma si presenta sempre di più come un compito che si sta eludendo. I motivi per cui, di volta in volta, si invocano per giustificare e continuare questa mancata assunzione di responsabilità, potrebbero essere utilmente letti con la chiave di analisi proposta da Foucault; proponendo però una possibilità di uscita e cercando soprattutto di individuare delle traiettorie su COME parlare di sesso e relazioni per contribuire alla consapevolezza e superamento dei condizionamenti, invece che nella loro riproposizione.

Foucault ha ricevuto alcune critiche rispetto a un effetto “anestetizzante” delle sue teorie, soprattutto riguardo al tema della malattia mentale e della detenzione, per cui chi lavorava in quei campi, pur nella consapevolezza di agire secondo un sistema di bio- potere che rigettavano, non riusciva ad intravedere una pensabilità di un contro-potere perché troppo ramificato e intrecciato con l’esistenza di tutti i soggetti, anche negli aspetti più privati. Durante una tavola rotonda, nel 1978, a tale proposito Foucault risponde:

“Se gli educatori di cui lei mi parla non sanno come cavarsela, questa è appunto la prova che stanno cercando di cavarsela, e quindi che non sono del tutto anestetizzati o sterilizzati- al contrario… Perché le questioni che si pongono gli educatori di cui lei parla possano assumere tutta la loro ampiezza, occorre soprattutto che essi non vengano schiacciati sotto una parola prescrittiva e profetica.” (2004-2006, p.p. 84-85)

Se la critica al sistema del bio-potere permette di problematizzare la questione della sessualità, di mettere in luce come la sua discorsività faccia parte della strategia, è possibile e necessario pensare e progettare una forma di educazione al sesso e alle relazioni che cerchi, grazie ai diversi contributi, di costituirsi come un percorso di emancipazione dei soggetti educativi, che proprio a causa del dispositivo della sessualità vivono oggi in una fitta rete di condizionamenti.

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