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il problema del desiderio secondo M Marzano

Marzano scrive un saggio in cui sostiene che la pornografia reifica e de-umanizza i soggetti, “…allontanando il soggetto dal suo corpo e dal suo desiderio, impedendo a

ciascuno di accedere a se stesso e all’altro” (2012, p. 170).

La pornografia è, secondo Marzano, la negazione della sessualità intesa come luogo di incontro con l’altro e, sebbene questo sia probabile, rimane difficile stabilire se questa possa essere considerata come una sorta di “peccato” che impedisce che lo stesso soggetto che guarda un video pornografico sia poi in grado di vivere una relazione con un altro soggetto in modo autentico. Dal testo di Marzano sembra che ci sia una sorta di “compromissione” per chi consuma pornografia, poiché ciò che essa rappresenta è così

terribile che inquina tutta la sessualità.

La prima operazione necessaria della pornografia è la riduzione dei soggetti a oggetti, dal momento in cui la visione dell’atto sessuale non nasce dal desiderio ma dal bisogno e, inevitabilmente, riduce l’altro a un mezzo per soddisfarlo. Questa tesi può essere condivisibile, anche se in tutto il testo si assiste ad una continua divisione del piacere organico (come puro sfogo del bisogno) dalla componente emotiva/riflessiva, quasi che non potessero essere considerate come co-presenti, ma in ontologico contrasto. La stessa definizione della sessualità mette in gioco categorie complesse che non

necessariamente sono presenti in ogni relazione sessuale, anche non pornografica, ma non per questo si può definire quella relazione non rispettosa dell’umanità dell’altro.

“La pornografia è una forma di negazione della sessualità e di ciò che essa mette in gioco: l’incontro tra due persone, che accettano la condivisione del desiderio fisico e il coinvolgimento di sé; l’unione di due individui che acconsentono ad abbandonarsi e lasciarsi andare, nella spontaneità e nella sorpresa; la messa in opera di un dispositivo che intrecci pulsioni di vita e pulsioni di morte; la scoperta della mancanza e della

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dipendenza, del bisogno di possedere e di essere posseduti; la messa a nudo da parte di ogni persona delle proprie fragilità” (Marzano, 2012, p.18)

Se questa definizione di sessualità è certamente ricca, rischia però di perdere di forza se considerata in senso normativo, se non la si interpreta come un orizzonte possibile ma piuttosto come una necessità che inevitabilmente qualifica come “inferiori” espressioni della sessualità più orientate, magari occasionalmente, ad altre motivazioni o desideri.

Un altro aspetto problematico del saggio è la definizione di quali siano prodotti pornografici e quali quelli erotici. Marzano analizza il film Ecco l’impero dei sensi, di Oshima (1976). In quest’opera le scene di sesso sono numerose e non recitate, le riprese dell’atto sessuale e degli organi genitali sono “concrete” quanto in un film pornografico. Per Marzano, l’opera è definibile come erotica perché capace di mettere in scena la complessità della sessualità, al contrario del porno. Anche Williams (2008) cerca di trovare criteri che identifichino un’opera erotica a partire dalla qualità delle scene girate, dalla complessità della narrazione, dai risvolti psicologici che l'esplicitazione sessuale consente di mettere in primo piano. In questo modo è possibile “legittimare” riprese facilmente connotabili come pornografia, basandosi su una definizione di pornografico esclusivamente contenutistica, virando su una definizione legata alla funzione che in questi casi vuole essere narrativa e non “eccitatoria”.

Il primo problema che emerge è il fatto di stabilire a priori quali corde dello spettatore possano essere “toccate” da tali opere, e quale sia l’intenzione con cui vi ci si avvicina. La possibilità di non tenere conto dello spettatore è l’unica che salvaguardi la definizione dal punto di vista della funzione dell’opera, partendo dall’assunto che la volontà narrativa del regista è il solo punto di vista interessante a tale scopo. I detrattori dei film cross-over hanno accusato gli autori di alcuni film erotici, come Intimacy (2001) e Romance (1999), di usare la cornice narrativa al solo scopo di “ingannare” la censura. Williams (2008, p. 277), invece, sostiene che la presenza di scene sessuali esplicite abbia un significato importante nei film, che l’intento sia quello di veicolare contenuti radicali attraverso una regia radicale.

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“Così, gli eccessi specifici del sesso reale risultano essere addomesticati da dimensioni narrative più rispettabili; in altre parole, finché gli attori parlano tra loro prima e dopo i rapporti sessuali, ci si aspetterà dagli spettatori un coinvolgimento molto più complesso della semplice eccitazione fisica per quanto hanno visto” (Smith, 2013, p.19).

Ponendo che sia sufficiente l’intenzionalità del regista per definire lo statuto di genere del film, rimane il problema della rappresentazione di un atto sessuale come reificazione del soggetto. Che l’opera sia erotica o pornografica, quell’atto sessuale non rappresenta certo una relazione, così come la definisce Marzano, tra gli attori coinvolti. Nel caso di

Nymphomaniac (Von Trier, 2013), un film che secondo le definizioni di Marzano sarebbe erotico, sono state utilizzate delle controfigure che facevano realmente sesso e, attraverso la grafica digitale, sono state sovrapposte le parti del corpo delle controfigure con quelle degli attori, i quali avevano “solo” mimato (https://blog.screenweek.it/2013/05/le-scene-porno-di-nymphomaniac-sono-state-

realizzate-con-laiuto-della-cgi-267096.php). La posizione di Marzano regge se si considera soltanto il punto di vista del regista, non dello spettatore, poiché è indefinibile a priori, e trascurando completamente il tema degli attori coinvolti, che in entrambi i generi, mettono in scena un’attività sessuale pur non avendo una relazione.

La contraddizione di questa posizione emerge quando nel caso della sola pornografia si pone il tema etico della “vendita del corpo” (Marzano,2012, p. 148), assimilabile a quello che avverrebbe durante la prostituzione:

“Il problema di un’attività sessuale remunerata è che l’individuo utilizza il proprio corpo come un oggetto commerciale di cui chiunque può disporre a pagamento, e di conseguenza non è più ciò attraverso cui due individui entrano in contatto per uscire dalla propria solitudine strutturale: l’atto sessuale che si compie perde quindi le sue caratteristiche fondamentali, non c’è più condivisione, incontro” (Marzano, 2012, p.149).

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Ancora una volta, si definisce quali siano le caratteristiche fondamentali degli atti sessuali di tutti i soggetti, arrivando a una definizione di “vendita del corpo”. Questo modo di definire la prostituzione, quindi anche la pornografia, è rifiutato da diverse associazioni di coloro che le praticano, che si autodefiniscono sex worker, lavoratrici/ori del sesso, rigettando l’idea di vendita del corpo, concetto alquanto scivoloso poiché il corpo È il soggetto -non DEL soggetto- e pertanto inalienabile se non con la morte, e rilanciando con la vendita di un servizio sessuale. Sicuramente questo non risolve molte problematicità insite in questo lavoro, ma sicuramente apre degli spazi di confronto riguardo alla possibilità che alcune donne abbiano autonomamente e consapevolmente scelto queste attività.

I problemi posti dalla filosofa - il rapporto con l’Altro nella sessualità, la rappresentazione delle donne e delle relazioni tra i generi, il rischio di una “colonizzazione” dell’immaginario - sono questioni centrali nello studio della pornografia e delle sue conseguenze, ma un approccio di tipo normativo e, seppure velatamente, ideologico non consente di tenere conto di tutti i soggetti coinvolti, delle possibili motivazioni e rischia di irrigidirsi su posizioni di proibizionismo, che hanno come unico risultato quello di incentivare il consumo del prodotto “trasgressivo”.

Henry (2001) mette in luce l’estrema problematicità della relazione sessuale, a partire dalla condizione ontologica del desiderio. La possibilità di poter incontrare l’altro nella relazione, il potere di potere, la rivelazione della possibilità di scelta e della libertà sono condizioni che creano angoscia nei soggetti.

La percezione del proprio corpo e del corpo altrui come corpi desideranti lascia spazio alla pulsione del coito ma è nel contatto con l’altrui corpo che si svela l’illusione: non è possibile “essere veramente l’altro”. L’esperienza del rapporto sessuale è un’esperienza comunque del singolo ed è sottoposta allo scacco che l’autore chiama “la notte degli amanti”. Per sottrarsi dall’angoscia, gli amanti cercheranno di continuare a comunicare per non perdere l’illusione della fusione e il benessere legato alla pratica erotica potrà costituire uno degli elementi della relazione, che non si potrà comunque “esaurire”

31 nell’inesistenza del rapporto sessuale. Il contributo di questo filosofo è utile per problematizzare una visione troppo semplificatoria della sessualità, che pretende che ogni rapporto sia l’espressione dell’incontro con l’Altro e, di conseguenza, ogni altro tipo di atto sessuale una forma di “morte” del desiderio. Secondo Henry, inoltre, non solo la pornografia ma anche un approccio alla sessualità come sapere oggettivante, legata solo a leggi fisiche, chimiche, biologiche, contribuisce a rendere la relazione erotica vuota di desiderio.

La pornografia, anziché la causa della “fine del desiderio”, potrebbe in alcuni casi rivelarsi un modo per non subire costantemente questo scacco di irriducibilità dell’Altro. Questa è un’ipotesi che può essere tenuta in considerazione per guardare al prodotto pornografico nella sua molteplicità di aspetti, evitando sterili riduzionismi.

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