Se la pornografia consegna un modello di mascolinità predatoria e di femminilità sottomessa, se la critica femminista, sia essa pro-porno o anti-porno, si connota come un ulteriore modello normativo per le donne è importante cercare nuove chiavi di lettura
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delle relazioni tra i generi, che si muovano in un’ottica di integrazione, e non di permanente conflitto. Se gli stereotipi sono gabbie di pensiero e di comportamento, la liberazione sessuale da questi condizionamenti parte dalla possibilità di superare l’a- simmetria che contraddistingue la relazione tra uomini e donne. In questa direzione si muove il pensiero di Angela Carter (1979), a partire dall’analisi dell’opera sadiana, come opera pornografica.
Nelle opere analizzate, soprattutto attraverso le figure femminili di Juliette, Justine e Eugenie, Sade ripropone la dicotomia tra le donne virtuose e le donne promiscue, mostrandosi incapace di superare quelle barrire del pensiero “tradizionale”, nonostante il suo punto di vista sia sempre quello della sua trasgressione.
Per la donna virtuosa non è possibile altro destino che quello dell’essere umiliata e violata dai libertini, proprio perché rappresentante di quei valori morali contro cui si scagliano. Carter nota come l’essere passive non sia una condizione che le ragazze virtuose apprendono o subiscono solo dal momento in cui entrano in contatto con i libertini:
“La remissività delle giovani signore appresa in dispendiosi collegi torna a tutto
vantaggio dei libertini. Le ragazze non si tireranno indietro. Non sanno che è possibile farlo. La frigidità che hanno imparato a mettere sullo stesso piano della virtù impedisce loro di raggiungere quell’autonomia sessuale che trasformerebbe la loro passiva umiliazione in una forma d’Azione” (p. 69)
La donna educata ad essere inerte riguardo al desiderio, sia al proprio che a quello altrui, è la donna intimista e controllata, è inconsapevole della propria possibilità di scelta riguardo a tutti i vari aspetti della sessualità. Da questo punto di vista si potrebbe azzardare l’idea che non è la pornografia ad oggettivizzare le donne, quanto il modo di educare alla relazione tra generi, che predispone le ragazze ad essere oggetto del desiderio altrui, poiché non possono essere soggetto attraverso lo svelamento e la consapevolezza del proprio.
63 In Sade l’essere oggetto, e non soggetto, del desiderio significa assumere una condizione passiva, che raggiunge l’epilogo attraverso un modo passivo di morire: l’essere uccisa. Per Sade, è questo che accade alla “donna perfetta”. Ma l’alternativa all’interno dell’universo sadiano, è quello di diventare crudele e immorale come i libertini stessi. O si trasgredisce all’obbligo di essere la “donna perfetta” o per questo si muore. Con la necessaria cautela si potrebbe dire che deSade svela un bivio in cui la maggioranza delle donne si può trovare nel corso della propria esistenza: l’obiettivo di Carter è illuminare alcune traiettorie già esistenti e di tracciare solchi per nuove strade, che mettano fine alla sola possibile alternativa di scelta tra morire perché assenti al proprio desiderio, o perché si è scelto di viverlo.
Carter rifiuta l’idea che la differenza tra i generi e la loro relazione sia determinata da fattori naturali inamovibili:
“Compiamo la più grande ingiustizia quando riduciamo la sessualità al più basso comune denominatore senza chiederci quali preconcetti ci inducono a pensare che debba essere così. Proprio perché la sessualità è un fatto sociale quanto umano, essa muterà la sua natura a seconda delle mutate condizioni sociali”. (p. 19)
L’opera sadiana rende inscindibile l’eccitazione sessuale dalla violenza, e l’esercizio della crudeltà come connaturato alla natura di alcuni soggetti superiori alla media, che possono, per questo, permettersi di trasgredire alla norma sociale di reprimere le condotte immorali. La pornografia in generale, e non solo quella sadiana, è sovente accusata di rappresentare la donna in una posizione di abuso e di violenza. Seguendo il ragionamento di Carter, è possibile dire che la violenza sulle donne è un fatto socialmente rilevante, e non si limita al contesto della pornografia. Stupri, percosse, violenze, omicidi avvengono principalmente all’interno delle mura domestiche, costruiti attorno alla coppia monogamica che sembra la soluzione evoluzionisticamente più riuscita.
Resta innegabile che la pornografia mainstream utilizza un linguaggio visivo, sex numbers e dei dialoghi che sottolineano con forza la posizione di sottomissione della
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donna. Questo, evidentemente, perché sollecita l’immaginario sessuale dei suoi fruitori. Se la guerra dei sessi è ancora in atto, la pornografia potrebbe essere semplicemente una rappresentazione dell’idea di potere di una delle due fazioni. D’altra parte, l’incontro del maschile e del femminile avviene come luogo d’elezione nell’incontro sessuale, se la relazione tra i generi è asimmetrica questo terreno non può che essere un luogo di scontro per il potere, e il potere si esercita principalmente con la violenza. La violenza viene esercitata dagli uomini secondo gli schemi prefissati dalla cultura di appartenenza, con l’aggressione fisica e l’umiliazione, quella delle donne attraverso il controllo e la negazione del desiderio sessuale.
Per superare questo scontro, secondo Carter, deve essere riconosciuto quanto il ruolo della maternità, intesa come “investitura sociale”, sia un vincolo enorme per l’emancipazione della donna. Questo ruolo di madre è legato, secondo l’autrice, non tanto al potere di creare la vita, quanto di possedere un utero. Un “luogo” considerato sacro da uomini e donne, un luogo buio e protetto da cui tutto ha avuto inizio. Questa retorica mistificatoria e sacralizzante giustifica il bivio che le donne si trovano di fronte, e soprattutto costruisce uno spazio di sacralità: dice Carter che l’emancipazione della donna è tanto osteggiata perché è l’ultima e definitiva secolarizzazione.
“Negare gli incantesimi dell’utero significa ridurre un bel po’ della magia fraudolenta della donna idealizzata, rivelarci come noi siamo, semplici creature in carne e ossa, le cui aspettative deviano dalla necessità biologica in maniera sufficiente da costringerci ad abbandonare, forse con rimpianto, forse con sollievo, l’ingannevole sacerdozio di una sacra funzione riproduttiva. Questa demistificazione si estende alla iconografia biologica delle donne”. (p. 99)
Carter scrive “La donna sadiana” nel 1979, ma questi decenni non sono stati sufficienti perché si avverasse la proposta di riconoscere le donne come soggetti, a prescindere dalla capacità e volontà riproduttiva. Si potrebbe dire, anzi, che viviamo in una fase di riflusso, considerando che nel nostro paese nell’anno 2016 è stato promosso dal ministero della salute il “Fertility day”.
65 A fronte di un sensibile calo delle nascite e al posticiparsi della maternità, il Ministro della salute ha proposto una giornata per informare la popolazione riguardo ai modi per preservare la propria fertilità individuale. Il presupposto da cui parte il Piano per la fertilità, è che il calo delle nascite è causato da un contesto economico e sociale che non favorisce la progettualità ma che, soprattutto, si è perduto il ruolo sociale della maternità in particolare e della genitorialità in generale. La comunicazione pubblicitaria di questa campagna si è rivelata estremamente problematica per la ministra, poiché i riferimenti alla donna come “contenitore a scadenza” erano così evidenti da risultare quasi anacronistici. Se da un lato la reazione delle singole donne e delle associazioni rappresenta un’evidente capacità di analisi e di critica nei confronti di proposte così reazionarie, è importante evidenziare come alcuni stereotipi e cornici culturali siano ancora estremamente forti e pericolose.
Se il paradigma della disgiunzione permane, la connotazione della donna in quanto Madre proietta un’ombra di sacralità e di purezza che porta a considerare la vita sessuale non riproduttiva come un elemento di trasgressione dalla norma. La repressione della sessualità continuerà ad agire nel dividere le donne “rispettabili”, quindi portatrici del privilegio della maternità, da quelle “immorali”, che non rispettano la richiesta di riservatezza necessaria per costruire una relazione monogamica riproduttiva, sostanzialmente, quindi, prostitute.
Carter riprende il tema della maternità, e della sua mistificazione, analizzando l’opera di deSade, filosofia nel boudoir, nella figura di Eugenie. L’educazione sessuale della fanciulla avviene con la complicità della sua istitutrice, amante del padre, che la rapisce, conducendola in un castello in cui subirà atti sessuali/violenti da altri due uomini e dalla istitutrice stessa. La madre di Eugenie, arrivata al castello per salvare la figlia dall’iniziazione sessuale, subirà dalla stessa ragazza, ormai diventata un’eroina sadiana, lo stupro, l’infibulazione e l’infezione. Carter legge in questo racconto, la narrazione di un Edipo al femminile, in cui la violenza della figlia contro la madre è legata al livello di repressione sessuale in cui era stata cresciuta.
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“La figlia può conseguire l’autonomia solo distruggendo la madre che rappresenta
anche la propria funzione riproduttiva ed è, al tempo stesso, sia la propria madre che la potenziale che è in lei…
La madre tenta di garantire la continuità della propria repressione, e la sua sollecitudine ipocrita per la morale della donna più giovane, cioè, per il benessere sessuale, maschera il desiderio di ridurre la figlia allo stesso stato di passività contingente che lei vive, una condizione onorata dalle convenzioni e protetta dai tabù”.
(p. 112)
Se è vero che Eugenie diventa autonoma uccidendo la madre, questa autonomia viene conquistata sotto lo sguardo lontano del grande manovratore paterno, che ha scelto per la figlia un destino diverso da quello della moglie, ma che poteva essere, quindi, solo quello della libertina sadiana. Un padre che approva il libertinaggio della figlia, ma che non le consente alcuna chance di libertà.
Ma persino deSade arretra di fronte alla possibilità che la Madre si mostri come un soggetto di sessualità, infatti, durante lo stupro perpetrato con un fallo finto da parte della figlia, al momento in cui la donna sta per raggiungere l’orgasmo, sviene. Se la Madre verso cui era necessario ribellarsi, con la violenza e l’umiliazione, avesse ammesso il proprio desiderio quello del libertino sarebbe morto: solo la trasgressione della repressione alimenta il suo piacere:
“Il piacere si sarebbe affermato trionfalmente sopra il dolore e la necessità della repressione come stimolo sessuale avrebbe cessato di esistere. Ne sarebbe derivata la possibilità di un mondo dove il concetto di tabù è privo di senso e dove la pornografia avrebbe cessato di esistere” (p.118)
La sessualità rimane come il terreno privilegiato dell’incontro tra soggetti, e tra i generi. Se questo rapporto è basato sul conflitto, anche il piacere viene vissuto come un’arma per dimostrare la debolezza dell’altro. Solo il superamento di questa permanente guerra di posizione può riportare nella sessualità l’esperienza del gioco e della condivisione.
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