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Gli effetti delle sentenze manipolative sulla discrezionalità del legislatore.

3. La “svolta politica” della Corte costituzionale: interventi manipolativi e

3.3. Gli effetti delle sentenze manipolative sulla discrezionalità del legislatore.

Se considerate unitariamente sotto il profilo dell'impatto prodotto sulle scelte discrezionali del legislatore le decisioni manipolative dispiegano effetti in larga parte assimilabili. Attraverso una vera e propria modificazione del dettato normativo,

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Circa il rapporto che si instaura tra disposizione e norma nell’ambito delle decisioni manipolative si confronti in particolare G. GUARINO, Le sentenze costituzionali manipolative, in AA. VV., Studi in onore di Gioacchino Scaduto, Padova, 1970, p. 353 ss.

305 In questi termini si esprime F. MODUGNO, Corollari del principio di legittimità costituzionale e

sentenze sostitutive della Corte, in Giurisprudenza costituzionale, 1969, p. 69 ss.

306 In questa prospettiva, per un parallelismo tra decisioni manipolative e caratteristiche dei giudice

costituzionale, si leggano anche le riflessioni di C. LAVAGNA, Sulle sentenze additive della Corte costituzionale, in Giurisprudenza italiana, 1969, p.. 148 ss.

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infatti, la Corte colpisce sempre una parte della disposizione allo scopo di far esprimere al legislatore significati che questi non aveva originariamente previsto308. Sembra quindi quasi fisiologico, che l’impiego di tali pronunce costituisca il principale terreno di frizione con il potere legislativo, dal momento che esse incidono direttamente sulle decisioni assunte nel circuito democratico-rappresentativo, modificandone il contenuto ultimo sulla base di un’interpretazione alternativa della Costituzione309.

L’obiezione principale formulata nei confronti di queste decisioni si traduce, dunque, in una critica al ruolo sistematico progressivamente assunto dal giudice delle leggi. Secondo questa ricostruzione, infatti, la Corte, creando essa stessa la norma destinata a integrare la disciplina dichiarata costituzionalmente illegittima, si trasforma in sostanza da giudice (o meglio da legislatore puramente negativo) a legislatore (positivo), cosicché, per effetto di quella particolare pronuncia, la norma contenuta nel testo di legge dovrà necessariamente ritenersi espressiva anche di quel significato che il legislatore aveva indebitamente omesso e che il giudice costituzionale ha invece integrato310. La dottrina più autorevole ha così tentato di giustificare razionalmente un simile orientamento, invocando, da un lato, la circostanza che la Corte giudica pur sempre su norme per cui sembra del tutto naturale che essa possa anche dichiarare incostituzionale un frammento idealmente scorporabile da un testo legislativo, che comunque rimane inalterato in ogni altro suo

308 Sulla struttura delle cd. pronunce manipolative si confronti soprattutto V. CRISAFULLI, La Corte

costituzionale ha vent’anni, cit. p. 80. A giudizio dell’autore si tratterebbe di sentenze di fondatezza parziale rispetto alla norma deducibile dal testo e non rispetto al testo, che esse lasciano comunque intatto facendogli però esprimere una norma diversa.

309 Per una dettagliata analisi degli influssi esercitati dalle decisioni creative della Corte costituzionale

nei confronti dei diversi organi statuali si confronti M. NIGRO, Le giurisdizioni sui pubblici poteri fra sistema normativo e spinte fattuali, in Rivista di diritto processuale amministrativo, 4/1984, p. 454 ss. il quale, seppure a fronte di un ridimensionamento da parte della stessa Corte costituzionale nel ricorso a simili pronunce, fa comunque notare come non residui alcun dubbio relativamente alla circostanza che “… quando emana una pronuncia additiva la Corte si attribuisca una vera e propria funzione legislativa. Ma trasformare il giudizio costituzionale da giudizio di caducazione delle norme in giudizio di posizione di norme è eccessivo, non fosse altro per il fatto che in questo modo vengono toccati i rapporti fra i supremi organi dello Stato …”

310 In questo senso si consulti G. ZAGREBELSKY, Corte costituzionale e giustizia costituzionale, in

G. AMATO – A. BARBERA, Manuale di diritto pubblico, Bologna, 1994, p. 678 ss. il quale avanza notevoli dubbi sull’ammissibilità in astratto di un intervento paralegislativo da parte della Corte, soprattutto a fronte della circostanza che se si tratta di una norma presente nel sistema spetta a tutti i giudici ricavarla, mentre se tale norma manca è compito del solo legislatore rintracciarla e inserirla nel sistema.

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contenuto311, dall’altro, richiamando la circostanza che, spesso, quando dichiara l’incostituzionalità di un’omissione legislativa, il giudice costituzionale non fa altro che estendere l’operatività di un’altra norma vigente, rimuovendo semplicemente un ostacolo materiale alla sua applicabilità per determinate categorie rimaste escluse312. Altre volte ancora, invece, si è evidenziato come il giudice costituzionale operi qualcosa di simile a un procedimento di integrazione per ricorso ai principi, in cui la norma destinata a colmare la lacuna viene fatta derivare da un principio generale o addirittura dalla stessa disposizione costituzionale che si assume violata con l’omissione legislativa. In queste ipotesi, se si volesse comunque parlare impropriamente di creazione di nuovo diritto, si dovrà almeno ammettere che si tratti pur sempre di una legislazione “a rime obbligate”, in virtù della quale la Corte non inventa alcunché, ma estende o esplicita qualcosa che, seppure latente, era già ricompreso nel sistema normativo313.

Seppure notevolmente accreditate, le ragioni addotte a sostegno di una sorta di attività para-legislativa da parte del giudice costituzionale, si dimostrano più utili che convincenti. Non sembra infatti del tutto persuasiva la tesi secondo cui la Corte, nei casi di supplenza, non svolgerebbe alcuna attività propriamente creativa, ma si limiterebbe a far emergere norme che sono già presenti nell’ordinamento, rendendo

311 Sulla distinzione concettuale tra disposizione e norma si veda ex multis C. ESPOSITO, Lineamenti

di una dottrina del diritto, in Annali dell’Università di Camerino, 1930. Per uno sviluppo di tale teoria si veda ancora V. CRISAFULLI, Le sentenze interpretative della Corte costituzionale, in Studi in memoria di Tullio Ascarelli, 1968, p. 2871 ss. A giudizio dell’autore le sentenze della Corte giudicano sulla legittimità costituzionale delle disposizioni a seconda che da esse possa ricavarsi o meno una determinata norma. Così si possono manifestare sentenze di rigetto in quanto la disposizione non contiene la norma denunciata, ma un’altra conforme a Costituzione e viceversa la sentenza può essere di accoglimento quando la disposizione contiene quella particolare norma in contrasto con la Costituzione.

312 Su tutti si legga nuovamente l’opera di V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova,

1984, p. 407 ss. Riprendendo in chiave sistematica le proprie speculazioni relative alla distinzione tra disposizione e norma, l’autore risolve positivamente il problema di possibili aggiunte normative ad opera del giudice costituzionale, sulla base della considerazione che la Corte è in grado di giudicare anche delle omissioni del legislatore, censurandone l’operato per ciò che le disposizioni avrebbero dovuto esprimere e invece non esprimono. Qualora dunque si ravvisi una lacuna nel contenuto della disposizione, per cui non è possibile ricavare una norma ritenuta necessaria, la Corte potrà colmare tale vuoto normativo con tutte le altre norme ricavabili dal sistema. A sostegno della predetta tesi si veda anche F. DELFINO, Omissioni legislative e Corte costituzionale, in Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, Milano, 1974, p. 946 ss.

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In questa prospettiva V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale ha vent’anni, cit. Sulla stessa falsariga si vedano anche L. ELIA, Le sentenze additive e la più recente giurisprudenza costituzionale (ottobre 1981-luglio 1985), in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, vol. I, p. 302 ss. e L. PALADIN, Corte costituzionale e principio generale di uguaglianza, aprile 1979 - dicembre 1983, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, vol. I, p. 660 ss.

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palese l’unica soluzione costituzionalmente possibile314

. Il concetto stesso di decisione “a rime obbligate” nasce, in realtà, da una sorta di equivoco. Se, infatti, la decisione fosse effettivamente imposta dal sistema, la manipolazione operata dalla Corte sarebbe perfettamente inutile, se invece l’integrazione non costituisse un atto necessitato dal sistema costituzionale, l’intervento normativo operato dal giudice delle leggi sarebbe semplicemente inammissibile, poiché andrebbe a coinvolgere scelte riservate esclusivamente agli organi rappresentativi315.

Piuttosto, sul piano sistematico, deve rilevarsi, molto più realisticamente, come in numerose occasioni il giudice costituzionale versi nell’impossibilità pratica di risolvere adeguatamente il caso concreto ricorrendo a decisioni di accoglimento semplice che eliminino intere disposizioni o parti di esse316. In altre parole, di fronte a una legislazione lacunosa, perché sprovvista di una specifica determinazione che possa renderla compatibile con la Costituzione, il giudice delle leggi, ravvisata la scarsa idoneità del proprio tradizionale strumentario giuridico ad affermare la supremazia dei principi costituzionali nell’ambito di un rapporto giuridico concreto, decide autonomamente di colmare tale lacuna, ripristinando così la legalità del sistema317. Conseguentemente, proprio al fine di evitare il paradossale sacrificio in

314 È l’opinione tra gli altri di T. ANCORA, La Corte costituzionale e il potere legislativo, in

Giurisprudenza costituzionale, 1981, p. 3832, ripresa successivamente in epoca più recente da R. ROMBOLI – E. MALFATTI – S. PANIZZA, Giustizia costituzionale, Torino, 2011, p. 304. In particolare ANCORA ricava l’impressione che, pur avendo a che fare con una costruzione geniale, questa non sia in grado di trasformare la realtà e neppure farla apparire diversa da quella che é. Tant’è che “… disposizione e norma non sono che la stessa cosa cioè precetti di una legge: una legge può contenere una sola norma o più norme […] ma non si può distinguere legge, disposizione e norma per sostenere che lasciando vivere la legge e la disposizione sia consentito alla Corte dare a singole norme la vita che il silenzio della disposizione impedisce …”

315 In questa particolare prospettiva, volta a ridimensionare la portata della tradizionale tesi delle

cosiddette “rime obbligate”, si leggano le riflessioni di A. PIZZORUSSO, La Corte costituzionale tra giurisdizione e legislazione, in Foro italiano, 1980, p. 117 ss. e A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e diritto vivente, 1994.

316 Si rievoca qui la costruzione intellettuale di G. DUNI, L’oggetto dei giudizi di costituzionalità e la

problematica dei dispositivi additivi. Additività testuale e additività normativa, in Scritti in onore di Costantino Mortati, Roma, 1977, vol. IV, p. 318 ss. secondo cui la Corte sarebbe in grado di emanare dispositivi additivi dal punto di vista testuale, soltanto in funzione dell’eliminazione del vizio di costituzionalità riscontrabile nella fattispecie che ha originato il giudizio, senza tuttavia pregiudicare gli spazi istituzionalmente riservati al legislatore e all’interprete. Tuttavia nella giurisprudenza costituzionale non mancano affatto esempi in cui le manipolazioni operate dal giudice costituzionale si sono prodotte anche al di là dei limiti elaborati dalla teoria delle “rime obbligate”. Si vedano ad esempio, limitatamente al periodo in esame, C. cost. sent. 42/1977, C. cost. sent. 108/ 1981, C. cost. sent. 237/1984, C. cost. sent. 276/1984, C. cost. sent. 365/1988, 49/1989, C. cost. ord. 239/1989, C. cost. sent. 409/1989.

317 In questo senso cfr. G. SILVESTRI, La Corte costituzionale nella svolta di fine secolo, in L.

VIOLANTE – L. MINERVINI (a cura di), Storia d’Italia. Annali XIV. Legge, diritto, giustizia, Torino, 1998, p. 974 ss.

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termini di effettività dei diritti individuali, la Corte affina lo strumento delle sentenze manipolative, dichiarando l’illegittimità costituzionale di una disposizione nella parte in cui non contiene una specifica determinazione normativa che sarebbe invece necessaria per poter amministrare la giustizia costituzionale nel caso concreto, trasformandosi in questo modo in una sorta di co-legislatore318.

A tale risultato la Corte costituzionale perviene esasperando entrambe le componenti connaturate alla propria particolarissima funzione, così da rafforzare contemporaneamente le potenzialità politiche e giurisdizionali del proprio operato. Se accordasse prevalenza al solo aspetto legislativo, infatti, il giudice costituzionale ben potrebbe ignorare la domanda di giustizia rivoltagli, ritenendo politicamente più confacente procrastinare l’attuazione dei principi costituzionali in un determinato settore dell’ordinamento. D’altra parte, invece, qualora si qualificasse esclusivamente come organo di carattere giurisdizionale, la Corte ben potrebbe prendere atto del proprio difetto di giurisdizione di fronte a una domanda di giustizia che, pur suffragata da solide motivazioni di diritto, implichi anche l’esercizio di poteri integrativi, esorbitanti dalla sfera giudiziaria, nei riguardi della disposizione impugnata319.

Attraverso le sentenze manipolative, dunque, il giudice costituzionale inserisce nell’ambito di un’attività propriamente giurisdizionale poteri e prerogative tipiche della legislazione, creando un contesto eterogeneo in cui doverosità vincolata della decisione e produzione normativa di tipo generale coesistono ed interagiscono reciprocamente320. Operando in questi termini, il giudice delle leggi supera i limiti

318 Per una ricostruzione pratico-applicativa delle decisioni additive si vedano in special modo le

riflessioni di F. MODUGNO – P. CARNEVALE, Sentenze additive, soluzione costituzionalmente obbligata e declaratoria di inammissibilità per mancata indicazione del verso della richiesta addizione, in AA. VV, Giudizio a quo e promovimento del processo costituzionale, Milano, 1999, p. 425 ss. Ancora sempre F. MODUGNO, La Corte costituzionale italiana oggi, in Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, p. 579 ss., ammettendo l’assunzione di una funzione propulsiva in capo al giudice costituzionale, ravvisa in proposito il pericolo di uno sconfinamento nel merito delle scelte discrezionali riservate al Parlamento.

319 Per un’analisi delle funzioni, delle caratteristiche e delle attribuzioni derivanti dalla collocazione

istituzionale del giudice delle leggi, così come definita dal dettato costituzionale, si veda in particolare G. AZZARITI, La posizione della Corte costituzionale nell’ordinamento dello Stato italiano, in Studi sulla Costituzione, Milano, 1958, p. 447 ss.

320 Favorevole alla possibilità riconosciuta in capo alla Corte costituzionale di svolgere parallelamente

alla propria attività giurisdizionale anche una funzione di carattere legislativo, si mostrava ancor prima dell’effettiva attuazione dell’istituto P. CALAMANDREI, L’illegittimità costituzionale delle leggi nel processo civile, Padova, 1950, p. 75 ss., il quale, sebbene a fronte di alcune riserve concernenti la legittimazione del giudice costituzionale, riteneva comunque che sarebbe stato come “… travolgere la Costituzione non riconoscere alla Corte il potere di correggere le leggi, senza per questo

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propri di un’attività puramente interpretativa e giurisdizionale, arrivando a svolgere un ruolo attivo nella creazione delle norme di diritto321. Ne consegue che la nuova norma introdotta attraverso la manipolazione del dettato normativo non può affatto dirsi implicitamente esistente nel sistema, ma, esattamente all’opposto, essa sorge soltanto a seguito di un preciso intervento da parte della Corte costituzionale, come risultato di una doppia operazione che, da un lato, mira a dedurre dal silenzio o dall’omissione del legislatore l’esistenza di un particolare divieto, dall’altro, ne afferma l’illegittimità costituzionale, facendo sorgere una norma conforme a Costituzione, contraria alla disciplina elaborata dal legislatore322.

Sembra chiaro che a seconda dei caratteri della fattispecie sottoposta a scrutinio, un’operazione di questo tipo possa implicare un’influenza anche particolarmente significativa nei confronti delle attività normalmente riservate al Parlamento, soprattutto nella misura in cui la norma introdotta dal giudice costituzionale non appaia subito univocamente necessitata, o perché risulta possibile esperire una pluralità di soluzioni tutte astrattamente compatibili con la Costituzione, oppure perché l’integrazione operata dalla Corte potrebbe derivare pacificamente dalla specificazione di un principio costituzionale già presente nella disciplina censurata323.

Una spiegazione realistica del fenomeno induce così a ritenere che la Corte ogni qual volta impieghi una decisione manipolativa si fa carico non tanto dell’astratto confronto tra norme di rango diverso, quanto piuttosto della necessità di rendere giustizia costituzionale nel caso concreto324. Attraverso un simile

pregiudicare la più elevata espressione della sovranità popolare …”. Analoga posizione a sostegno di una competenza non meramente caducatoria da parte della Corte viene autorevolmente espressa anche A. LA PERGOLA, Considerazioni conclusive, in Costituzione e giustizia costituzionale nel diritto comparato, Rimini, p. 578 ss.

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Riprendendo le notazioni critiche svolte a suo tempo da G. LOMBARDI, Giustizia costituzionale e tecniche di giudizio, problemi e prospettive, in Costituzione e giustizia costituzionale nel diritto comparato, Rimini, 1985, p. 476 ss., si esprime anche T. ANCORA, La Corte costituzionale e il potere legislativo, cit., p. 3841 ss.

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Per una disamina del suo problema in questione in termini sia teorici che pratici, anche in una prospettiva comparata, si legga soprattutto R. PINARDI, L’horror vacui nel giudizio sulle leggi. Prassi e tecniche decisionali utilizzate dalla Corte costituzionale allo scopo di ovviare all’inerzia del legislatore, Milano, 2007, p. 16 ss.

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Favorevole a un’attività nomopoietica della Corte costituzionale si mostra A. PIZZORUSSO, La Corte costituzionale tra giurisdizione e legislazione, in Foro italiano, 1980, p. 117 ss..

324 In questo senso, per una prima impostazione di questo fenomeno si veda in particolare quanto

asserito da G. SILVESTRI, Le sentenze normative della Corte costituzionale, in AA. VV., Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, p. 755 ss.

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meccanismo, il giudice costituzionale acquisisce ed affina tutta una serie mezzi volti ad ottenere la soluzione di un problema concreto di costituzionalità, individuando, a seguito di una prudente valutazione d’insieme, una disciplina che appare come il passo successivo ragionevolmente prevedibile nello sviluppo del processo di implementazione della Costituzione325. Così facendo la Corte assume contestualmente un ruolo di freno e di stimolo a contemperamento delle contrapposte istanze politico-sociali. Essa, infatti, pone l’ordinamento al riparo da troppo brusche accelerazioni e al contempo evita che si producano situazioni di perdurante immobilismo nel processo di concretizzazione dei principi costituzionali326. Evidentemente, però, per conseguire un simile risultato, il giudice delle leggi deve necessariamente forzare il limite della discrezionalità legislativa in ragione di alcune variabili rappresentate, di volta in volta, dal principio che si assume violato, dalla durata e dallo stato dell’inerzia parlamentare o ancora dal mutamento dell’indirizzo parlamentare in materia, talvolta operando anche mutamenti repentini e imprevedibili nella propria consolidata giurisprudenza327.

4. L’avvento dello stato sociale e le nuove tipologie decisionali: la

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