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Il primo quindicennio di attività della Corte: alla ricerca di una faticosa

1. La Corte costituzionale e la politica: una prospettiva storica

1.1. Il primo quindicennio di attività della Corte: alla ricerca di una faticosa

Per quanto concerne la prima fase di esercizio della giurisdizione costituzionale – tendenzialmente coincidente con il lasso temporale ricompreso tra il 1956 e la fine degli anni sessanta – la peculiare condizione fattuale, che almeno in origine caratterizzava l’attività della Corte204

, rendeva indefettibile il tentativo di acquisire la legittimazione necessaria per l’esercizio delle proprie attribuzioni, non solo dinanzi agli altri poteri dello Stato, ma anche nei confronti delle varie forze politiche e, più in generale, dell’intera opinione pubblica205

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204 L’istituzione della Corte costituzionale nel sistema repubblicano, realizzata concretamente soltanto

nel 1956, ossia ben otto anni dopo l’entrata in vigore della Carta fondamentale, costituiva un’assoluta novità per il nostro ordinamento, che mai prima di allora aveva conosciuto un organo dotato di poteri in ordine al controllo di costituzionalità delle leggi. Da questo punto di vista, infatti, assai poco rilevante, non soltanto temporalmente, ma anche territorialmente, si rivela l’esperienza dell’Alta Corte di Giustizia per la Regione Sicilia istituita con r.d.l. 16 maggio 1946, n. 455 e poi costituzionalizzata dalla l. cost. 2/1948.

205Al riguardo si vedano le lucide osservazioni formulate dal Presidente Aldo Sandulli in occasione

delle celebrazioni per il dodicennio della Corte, secondo cui: “… in un regime politico le istituzioni traggono la propria forza, non solo e non tanto da ciò che sta scritto negli statuti, quanto nelle radici che affondano nel corpo della collettività …”

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Tuttavia, mentre la penetrazione della Corte nel tessuto sociale si affermò in modo immediato e spontaneo – anche perché una simile attestazione si orientava verso un sostanziale ampliamento dei diritti e delle libertà fondamentali206 – l’ammissione della presenza e delle implicazioni di carattere sistemico legate alla funzione e al ruolo del giudice costituzionale incontrò notevoli resistenze da parte dei tradizionali poteri dello Stato, restii ad accettare il fatto stesso che un nuovo soggetto istituzionale potesse occupare ambiti precedentemente presidiati da altri, esercitando interventi in passato considerati addirittura inconcepibili207. L’introduzione della Corte costituzionale nell’ordinamento italiano, dunque, si verificò in un contesto storico-culturale fortemente ostile alla presenza di un organo competente ad esercitare funzioni regolatrici negli snodi più alti del potere statuale che potevano alterare l’ordine complessivo dei rapporti interistituzionali208

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Almeno in origine, l’affermazione della giustizia costituzionale dovette così fare i conti con le difficoltà di inquadrare il giudice delle leggi tra i meccanismi

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Così G. ZAGREBELSY, Giustizia costituzionale, Bologna, 1988, p. 496 ss. In questo senso si confronti anche C. MEZZANOTTE, Corte Costituzionale e legittimazione politica, Roma, 1984, p. 126 ss. A tal proposito pare alquanto significativo che la medesima Corte costituzionale nella sentenza 16 marzo 1960, n. 13 avvertisse la necessità di ribadire come il compito di “… esercitare la funzione di controllo costituzionale …” rappresentasse un elemento “… senza precedenti nell’ordinamento italiano …”

207 Ai fini di una più dettagliata descrizione delle prerogative e degli equilibri faticosamente raggiunti

nell’ambito delle relazioni tra poteri dello Stato in epoca pre-repubblicana si confronti soprattutto V. E ORLANDO, Diritto pubblico generale, Milano, 1940, p. 220 ss.

208 Una simile riluttanza a riconoscere la presenza di un centro di potere autonomo, le cui decisioni

erano destinate a prevalere in chiave sistematica sulla volontà popolare espressa dagli organi rappresentativi, traeva la propria origine dall’idea di un’assoluta intangibilità della decisione parlamentare, che, a sua volta, si rifletteva nell’indiscutibile forza vincolante della legge. Si trattava più specificamente di una convinzione ideologica diffusa pressoché in tutte le dottrine giuspolitiche dell’Italia post-fascista, che tagliava trasversalmente gran parte degli schieramenti. A tal proposito, si veda soprattutto quanto espresso in piena epoca liberale da V. E. ORLANDO, Principi di diritto costituzionale, Firenze, 1912, p. 259, in cui l’autore descrive il rispetto dei principi costituzionali nei termini di una scusa precostituita che di fatto legittima la disobbedienza alla legge. Serpeggiava in quegli il timore per una dissoluzione pluralistica dell’ordinamento, frutto del radicato convincimento che l’assegnazione ad un’istanza giudiziaria del potere di sindacare l’operato del Parlamento potesse irrimediabilmente pregiudicare il fondamento stesso della sovranità popolare Il riferimento teorico va qui al dibattito tra H. Kelsen e C. Schmitt sul ruolo della giustizia costituzionale e sull’allocazione istituzionale della funzione di “custode della Costituzione”. Non è affatto casuale che il principale sostenitore di un controllo sistematico sulla costituzionalità delle leggi, affidato ad un organo ad hoc fosse anche un convito detrattore del concetto di stesso di sovranità, che addirittura propone di espungere dalla dottrina giuridica. Così H. KELSEN, Il problema della sovranità e la teoria del diritto internazionale. Contributo per una dottrina pura del diritto (1933), Milano, 1989. Dall’altro lato, C. SCHMITT, Il custode della Costituzione (1931), Milano, 1981, teme al contrario proprio la “dissoluzione pluralistica dello Stato” senza riconoscere ad un “organo giudiziario la legittimazione a sindacare l’opera del Parlamento” sul presupposto che soltanto quest’ultimo incarnasse “al massimo grado quello iubeo ergo sum che costituisce la vera ragion d’essere dello Stato”. In risposta ad una simile speculazione si veda ancora la tesi espressa da H. KELSEN, Chi dev’essere il custode della Costituzione, in ID. (a cura di), La giustizia costituzionale, Milano, 1981, p. 227 ss.

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essenziali di uno Stato di democrazia pluralista209. Per queste ragioni, la Corte non si oppose mai frontalmente alle opzioni discrezionali adottate dal legislatore – specie se provenienti dal Governo e dalla sua maggioranza parlamentare – tendendo quasi sempre ad uniformasi all’indirizzo politico dominante210

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Si avverte in questa fase la preoccupazione da parte del giudice costituzionale di non alterare i consolidati equilibri del sistema211. Nel suo primo quindicennio di azione, a parte alcune sporadiche oscillazioni, la Corte ricerca quindi sempre il sostegno delle altre istituzioni, senza vagliare specificamente la costituzionalità delle leggi successive all’entrata in vigore della Costituzione – e dunque senza sindacare l’esercizio del potere discrezionale del Parlamento repubblicano – ma polarizzandosi in prevalenza sull’illegittimità della legislazione fascista e sulla tutela dei classici diritti di libertà negativa, che non inficiavano in alcun modo il perseguimento dell’indirizzo politico individuato dalla maggioranza di governo212

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209 Cfr. C. RODOTÀ, Storia della Corte costituzionale, Bari, 1999, p. 19 ss. Non a caso, negli anni

immediatamente successivi all’approvazione della Carta fondamentale venne elaborata la celebre tesi secondo cui la quasi totalità delle disposizioni costituzionali riguardanti i diritti fondamentali avrebbero in realtà dispiegato una valenza meramente programmatica, incapace, come tale, di provocare l’annullamento delle leggi con esse incompatibili. Ma anche di fronte a norme costituzionali immediatamente precettive, era stato ugualmente teorizzato che un eventuale contrasto con le leggi emanate prima dell’entrata in vigore della Costituzione non potesse comunque risolversi con la loro illegittimità costituzionale. Soprattutto da parte delle magistrature superiori si registra quindi una generalizzata riluttanza a cedere il monopolio dell’interpretazione, non solo della Costituzione ma anche della legge, ad un potere esterno di cui si faticava a rintracciare la reale legittimazione.. Emblematica in questo senso appare l’esperienza dell’anno 1964 in cui su 150 ordinanze di rinvio alla Corte costituzionale una soltanto fu emanata dalla Cassazione, mentre su 120 decisioni emesse dai giudici costituzionali soltanto due riguardavano questioni prese in esame dai giudici di legittimità. Più dettagliatamente, sui rapporti tra Giudice costituzionale e Magistratura, limitatamente al primo dodicennio di attività della Corte, si veda in una prospettiva fortemente critica N. TRANFAGLIA, Per una storia politica della Corte costituzionale, in ID. (a cura di), Dallo stato liberale al regime fascista, Milano, 1973. Per una sistematica confutazione dei pilastri concettuali su cui si fondava la distinzione tra norme precettive e norme programmatiche si rinvia soprattutto a V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio, Milano, 1952 nonché ad A. BATTAGLIA, I giudici e la politica, Bari, 1962, p. 125 ss.

210 Per un ulteriore esame delle ragioni lato sensu politiche che indussero l’organo di giustizia

costituzionale ad assumere un atteggiamento prudenziale seppure in una prospettiva riformatrice nei riguardi del nuovo assetto istituzionale si veda anche E. CHELI, Il giudice delle leggi. La Corte costituzionale nella dinamica dei poteri, Bologna, 1996, p. 34 ss.

211 Più in generale, sulle singole valutazioni compiute dall’organo di giustizia costituzionale al fine di

scongiurare la presenza di lacune normative in seno all’ordinamento si veda passim R. PINARDI, L’horror vacui nel giudizio sulle leggi. Prassi e tecniche decisionali utilizzate dalla Corte costituzionale allo scopo di ovviare all’inerzia del legislatore, Milano, 2007.

212 Così G. BOGNETTI, La Corte costituzionale e la sua partecipazione alla funzione di indirizzo

politico dello Stato nel presente momento storico, in Jus, 1967, p. 109 ss. a giudizio del quale sarebbe possibile tracciare un bilancio tutto sommato modesto dell’operato della Corte e data la potenza dei mezzi a sua disposizione un certificato di condotta più che prudente. Secondo l’autore, peraltro, in questa fase perfino l’intervento da parte del Giudice costituzionale nel campo dei diritti fondamentali potrebbe definirsi tutto sommato circoscritto in considerazione degli ambiti considerati dalla Corte

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In questo contesto, anche il giudice costituzionale manifestava cioè una sorta di particolare favor legis, finalizzato essenzialmente a scongiurare la presenza di vuoti normativi e di possibili contrasti con il legislatore. Così di fronte alla certezza o quasi di un’inerzia da parte del legislatore, il giudice costituzionale si vedeva spesso costretto a ponderare oltre misura le conseguenze normative delle proprie pronunce, astenendosi più del dovuto dal dichiarare la contrarietà a Costituzione di una disposizione legislativa per non creare lacune difficilmente colmabili. oppure preferendo salvare le norme esistenti pur nella loro accertata incostituzionalità213. Almeno inizialmente, cioè, la stessa Corte propose un’interpretazione restrittiva delle disposizioni costituzionali, sollecitando soltanto in rare occasioni il Parlamento affinché procedesse all’emanazione di un testo più aderente al dettato della Costituzione214. La tanto auspicata collaborazione tra “vecchie” e “nuove” istituzioni repubblicane, finalizzata alla piena implementazione degli istituti costituzionali, poteva quindi dirsi concretizzata soltanto parzialmente. A sentenze che dichiaravano

costituzionale nelle proprie pronunce. Ancora sulle ragioni che nel primo dodicennio di attività hanno indotto la Corte costituzionale ad assumere un atteggiamento prudenziale anche in tema di salvaguardia dei diritti fondamentali, a fronte di un successivo attivismo, si confronti S. RODOTÀ, La svolta politica della Corte costituzionale, in Politica del diritto, 1970, p. 38 ss., G. BRANCA, Un anno di attività della Corte costituzionale, in Politica del diritto, 1/1971, p. 31 ss. In materia di rapporti tra Governo e Corte costituzionale agli albori del controllo di costituzionalità si rinvia all’indagine condotta da S. TOSI, Il Governo davanti alla Corte costituzionale nei giudizi incidentali di costituzionalità, Milano, 1963, secondo cui nei riguardi del Parlamento e del Governo, la Corte costituzionale mostrava una sorta di timore reverenziale, frutto della preoccupazione di non alterare gli equilibri già stabilizzati, assecondando una lettura restrittiva della Carta costituzionale. Per di più tale atteggiamento era agevolato dalla circostanza che nei primi anni di attività della Corte si era formata una maggioranza di Governo relativamente stabile, ispirata da un indirizzo politico conservatore e orientata verso il mantenimento delle strutture previgenti.

213, Così V. CRISAFULLI, Lezioni di diritto costituzionale, Padova, 1984, p. 107 ss. secondo cui,

operando in questo modo, la Corte si trovava sessa stessa a “rovesciare l’applicazione dei principi costituzionali”. A questo stesso proposito il m3edesimo autore ribadisce altresì che “… in un sistema a Costituzione rigida e per di più garantita dall’istituzione di un apposito Tribunale costituzionale, alle Camere non residua alcuna pretesa sovranità da rivendicare: esse devono semplicemente applicare, osservare e rispettare la Costituzione al pari di qualunque altro potere od organo dello Stato …”.

214 Contra anche per un’accurata giustificazione teorica dell’atteggiamento assunto dalla Corte

costituzionale e sulle differenze rispetto alla posizione della magistratura ordinaria si veda su tutti F. BONIFACIO, La giustizia costituzionale, Firenze, 1967, p. 54 ss. secondo cui “… il giudice costituzionale, pur non disconoscendo che dal testo legislativo sia possibile trarre una norma non conforme a Costituzione, accerta allo stesso modo che da esso sia ricavabile anche una norma costituzionalmente legittima e, anziché dichiararne l’illegittimità siccome idoneo a dar vita alla prima, lo salva come fonte della seconda […] nell’operare questa scelta la Corte non si ispira, come si usa credere, al favor legis, ma piuttosto fa retta applicazione di un fondamentale principio ermeneutico, il quale, in quanto Costituzione e leggi formano un’inscindibile ordinamento giuridico impone all’interprete – a qualunque livello e quale che sia il fine rispetto al quale l’interpretazione è strumento – di scegliere fra più norme detraibili dal sistema quella conforme alla norma di rango superiore …”

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l’incostituzionalità di una legge ordinaria, infatti, assai raramente il legislatore dava seguito con l’emanazione di nuove norme ispirate ai principi della Costituzione, cercando sempre più spesso di eludere i suggerimenti implicitamente contenuti nelle pronunce interpretative della Corte215. L’impressione che se ne ricava è che i due organi procedessero indipendentemente l’uno dall’altro, senza considerare adeguatamente le implicazioni connesse con la propria azione istituzionale216..

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