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3. La “svolta politica” della Corte costituzionale: interventi manipolativi e

3.1. La struttura delle sentenze additive

Già si è visto come la Corte, agendo su una certa disposizione legislativa espressiva di una pluralità di significati, possa dichiarare incostituzionale soltanto

285 A tal proposito, insiste con particolare enfasi sul ruolo concreto nella tutela dei diritti individuali

del giudizio di legittimità costituzionale soprattutto G. SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, 1998, p. 87 ss.

286 F. SORRENTINO, Lezioni di giustizia costituzionale, Torino, 1995, p. 25 ss. a giudizio del quale

questa necessità non può affatto considerarsi il frutto di una tendenza soggettivistica della giustizia costituzionale ad inserirsi nel circuito politico, ma è connaturata alla posizione stessa della Corte nell’ordinamento, la quale insieme al Parlamento si colloca al vertice del sistema di produzione e controllo delle norme.

287 La necessità per la Corte di formulare valutazioni di opportunità politica, indotta dalla

formulazione delle norme costituzionali si trova teorizzata compiutamente anche da A. GIOVANNELLI, Alcune considerazioni sul modello della Verfassungsgerichtsbarkeit kelseniana nel contesto del dibattito sulla funzione politica della Corte costituzionale, in AA. VV., Scritti in onore di Vezio Crisafulli, Padova, 1985, p. 425 ss.

288 La stessa considerazione può ritrovarsi anche in V. MARCENÒ, La Corte costituzionale e le

omissioni incostituzionali del legislatore: verso nuove tecniche decisorie, in Giurisprudenza costituzionale, 2000, p. 1994 ss

289 Sulla peculiare posizione ricoperta dall’organo di giustizia costituzionale all’interno del sistema,

cui si legga soprattutto F. MODUGNO, La Corte costituzionale oggi, in G. LIBRANDI (a cura di), Costituzione e giustizia costituzionale nel diritto comparato, Rimini, 1988, p. 289 ss.

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quella parte del testo impugnato da cui è possibile desumere la norma o le norme contrarie a Costituzione290. In talune circostanze, però, può accadere che una data disposizione venga censurata non tanto per ciò che prescrive, quanto piuttosto perché omette di disciplinare una data fattispecie. Nella prospettiva della Corte, però, non contemplare una determinata situazione equivale nella sostanza ad escludere intenzionalmente qualcosa: ed è proprio l’omissione intenzionale a essere sanzionata dal giudice delle leggi che, al fine di adeguare una determinata disposizione al contesto normativo vigente, decide autonomamente di operare la dovuta aggiunta al testo normativo291.

Generalmente, quindi, il fondamento logico-giuridico delle decisioni cd. additive292 viene individuato nella necessità di provvedere a un adeguamento del sistema, laddove il legislatore abbia omesso di disciplinare una certa situazione a discapito di altre293. In altre parole, ciò che caratterizza questo tipo di sentenze è la capacità di incidere su una norma implicita di contenuto negativo294. Le decisioni in esame vengono pertanto fraseggiate come sentenze di accoglimento parziale, il cui dispositivo dichiara l’illegittimità costituzionale di una data disposizione nella parte in cui non prevede una certa soluzione295. Pronunce di questo tipo presuppongono

290 Vedi supra cap. 2, par. II.

291 Così L. ELIA, La Corte nel quadro dei poteri costituzionali, in Rivista di diritto processuale, 1983,

p. 7 ss. ad avviso del quale un simile intervento normativo da parte del giudice costituzionale non si giustificherebbe soltanto sulla base dell’esigenza meramente pragmatica di supplire all’inerzia del Parlamento, ma troverebbe la sua precipua ragion d’essere nel tipo di valutazione compiuta dalla Corte, che rimane sempre diversa dal modus operandi tipico dei dipartimenti politici.

292

Con tutta probabilità, la paternità di tale espressione deve attribuirsi, a C. LAVAGNA, Decisioni di rigetto ed estinzione del processo a quo, in ID., Ricerche sul sistema normativo, Milano 1984, p. 74 ss. La medesima denominazione è stata poi recepita, oltre che in maniera pressoché unanime dalla dottrina, anche dal giudice costituzionale, per cui si rinvia a G. BRANCA, La giurisprudenza costituzionale nel 1969, in Giurisprudenza costituzionale, 1970, p. 2476

293 In una prospettiva assimilabile si veda anche A. CERRI, Problemi processuali e sostanziali,

relativi all’ammissibilità del conflitto di attribuzione tra Stato e Regione, in Giurisprudenza costituzionale, 1968, p. 2342 ss.

294

In effetti, un effetto additivo rispetto alla disposizione considerata potrebbe conseguire anche ad una pronuncia meramente demolitoria. D’altra parte, una decisione additiva può condurre anche ad effetti restrittivi, laddove la norma illegittimamente non contemplata abbia carattere derogatorio. Così A. VIGNUDELLI, La Corte delle leggi, Roma, 1988

295

Cfr. tra gli altri anche M. BIGNAMI, Brevi osservazioni sulla nozione di additività nelle decisioni della Corte costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1996, p. 116 ss. secondo cui la valenza additiva del dispositivo sarebbe espressa proprio dalla particella “non”. Sebbene la prima additiva possa identificarsi con C. cost. sent. 33/1966, nella giurisprudenza costituzionale relativa alla cd. “svolta politica” si vedano in particolare C. cost. sent. 69/1970, C. cost. sent. 76/1970, C. cost. sent. 141/1970, C. cost. sent. 63/1972, C. cost. sent. 110/1972, C. cost. sent. 122/1972, C. cost. sent. 168/1972, C. cost. sent. 74/1973, C. cost. sent. 17/1974, C. cost. sent. 82/1974, C. cost. sent. 85/1974, C. cost. sent. 212/1974, C. cost. sent. 27/1975, C. cost. sent. 113/1975, C. cost. sent. 5/1976, C. cost. sent. 97/1976, C. cost. sent. 202/1976, C. cost. sent. 10/1978, C. cost. sent. 95/1979, C. cost. sent.

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evidentemente la sussistenza di una lacuna che la Corte ricava dal complesso dell’ordinamento, arrivando a censurare non tanto la norma generale esclusiva296

o la norma generale negativa297, ma un particolare contesto normativo in cui il legislatore – attraverso la propria omissione – ha escluso indebitamente la disciplina di una certa situazione298.

Tuttavia, data la particolare delicatezza di questo intervento giurisdizionale – che dispiega effetti suppletivi nei confronti delle prerogative tradizionalmente assegnate al potere legislativo – la Corte ha sempre negato, almeno in astratto, l’ammissibilità di interventi additivi che non fossero per così dire “a rime obbligate”, ossia quando la soluzione richiesta non risultasse l’unica via praticabile per eliminare un’incostituzionalità effettiva secondo la logica imposta dal sistema legislativo e costituzionale, invocando in queste ipotesi il limite della discrezionalità legislativa, ritenendo cioè che il proprio intervento dovesse svolgersi299. In caso contrario, infatti, sembrerebbe quasi fin troppo chiara l’ingerenza da parte del giudice delle leggi nelle scelte riservate al Parlamento, con conseguenti intollerabili distorsioni dei sistemi su cui si basa la rappresentanza democratica. L’adozione di una pronuncia additiva rappresenta quindi una sorta di extrema ratio, cui ricorrere unicamente nell’ipotesi in cui non sia possibile pervenire al medesimo risultato attraverso censure strettamente dimensionate sul dato letterale300.

9/1980, C. cost. sent. 189/1980, C. cost. sent. 64/1982, C. cost. sent. 98/1982, C. cost. sent. 30/1983, C. cost. sent. 144/1983, C. cost. sent. 149/1983, C. cost. sent. 206/1983, C. cost. sent. 274/1983, C. cost. sent. 312/1985.

296 Al riguardo si legga su tutti F. DONATI, Sentenze della Corte costituzionale e vincolo di copertura

finanziaria ex art. 81 Cost., in Giurisprudenza costituzionale, 1989, p. 784 ss.

297 La teoria secondo cui attraverso pronunce di questo genere il giudice costituzionale arriverebbe a

censurare la norma generale negativa presente nel sistema si deve in larga parte alla giuspubblicistica tedesca. A tal proposito si vedano le speculazioni di H. KELSEN, La giustizia costituzionale, Milano, 1981, p. 263 ss.

298 F. MODUGNO, Appunti per una teoria generale del diritto, Torino, 2000, p. 143 ss. 299

Cfr. V. CRISAFULLI, La Corte costituzionale ha vent’anni, in N. OCCHIOCUPO (a cura di), La Corte costituzionale tra norma giuridica e realtà sociale. Bilancio di vent’anni di attività, Padova, 1978, p. 80 ss. La stessa Corte costituzionale, ad esempio nella sentenza 22 aprile 1986, n. 109, pubblicata in G.U. 30 aprile 1986, n. 117, parla delle proprie addizioni nei termini di “estensioni logicamente imposte”.

300 Allo scopo di circoscrivere il più possibile il proprio temporaneo sconfinamento nelle decisioni

destinate al legislatore, la stessa Corte chiede al giudice rimettente di delimitare con precisione il thema decidendum, da una parte, formulando la questione di legittimità costituzionale in modo tale da contenere un preciso ancoraggio testuale a una disposizione scritta, quale condizione necessaria per censurare la norma di esclusione, dall’altra, indicando nella stessa ordinanza il presunto “verso” dell’addizione, così da ottenere un appropriato riferimento alla materia specifica in cui si richiede l’intervento del giudice costituzionale In questo senso si veda anche A. PACE, Sul dovere della Corte costituzionale di adottare sentenze di accoglimento (se del caso interpretative e additive) quando

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