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La tardiva reazione del Parlamento, l’istituzione della Commissione bicamerale

dell’art. 111 Cost.

L’impressione è però che la Corte costituzionale si sia avvalsa del principale strumento escogitato per sindacare le scelte discrezionali degli organi legislativi, dissimulando, di fatto, dietro il canone della ragionevolezza una diversa impostazione dell’intero processo penale, in antitesi con quanto statuito dal legislatore. Oltretutto, la tecnica decisoria adottata dal giudice costituzionale per la declaratoria di illegittimità degli articoli 195, quarto comma, 500, terzo e quarto comma, e 513, secondo comma, del codice di procedura penale non lasciava, all’epoca, molti margini di manovra al Parlamento.

Afflitto da ben più pressanti contingenze606, il legislatore, lungi dal voler instaurare uno scontro istituzionale con la Corte, si affrettò quindi a varare un provvedimento emergenziale con il quale ratificava frettolosamente le statuizioni del giudice costituzionale607. In questa particolare temperie, nessuno poteva anche solo lontanamente ipotizzare modifiche costituzionali. Quanto all’adozione di una legge ordinaria che potesse astrattamente riaffermare le regole del contraddittorio e con

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Per un’analisi più approfondita delle prassi relative alle indagini condotte ad opera degli organi di polizia giudiziaria, che ne giustificherebbero il trattamento previsto dalla Corte costituzionale in tema di esclusione probatoria si consulti su tutti P. VIGNA – l.. D’AMBROSIO, La pratica di polizia giudiziaria, Padova, 2000, p. 51 ss.

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Si apriva in quel periodo l’ampia stagione dell’inchiesta “Mani pulite”, con la progressiva emersione di generalizzati episodi di corruttela a carico dei principali esponenti politici, che stava cominciando a minare alla base il consenso nei confronti dell’apparato partitico e istituzionale cui si associava un diffuso clima di allarme criminosa, poi culminato negli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, decisamente poco propenso ad aperture garantistiche.

607 Si tratta nella fattispecie del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, eloquentemente rubricato:

“Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa” convertito con modificazioni in legge 7 agosto 1992, n. 356, pubblicata in G.U. 7 agosto 1992, n. 185.

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esse la disciplina di esclusione probatoria definita in origine nel corpus del codice di procedura in risposta alle pronunce della Corte, mancava totalmente un clima di convergenza politica e di coesione tra le forze parlamentari che potesse favorire lo sviluppo di una strategia comune a tutela dei diritti individuali608.

La sensazione è che il potere legislativo versasse, all’epoca, in una situazione di endemica debolezza. La profonda crisi di legittimazione nei confronti dell’elettorato e della società civile aveva infatti prodotto nel legislatore un atteggiamento di permanente autotutela anche nei riguardi degli altri poteri dello Stato, con cui il Parlamento reagiva alle pressioni esterne di fatto unicamente difendendo le proprie prerogative. Per converso, il crescente prestigio della Magistratura nei confronti dell’opinione pubblica, aveva tramutato gli organi giudiziari nei referenti privilegiati per qualsiasi riforma in materia penale609.

Soltanto in questi termini è possibile spiegare la sostanziale acquiescenza del Parlamento alla progressiva demolizione del modello accusatorio operata dal giudice delle leggi. Tant’è che in un contesto politico-istituzionale sostanzialmente mutato610 si registra la prima, seppur tardiva, reazione del potere politico alle pronunce della Corte costituzionale. Non è affatto casuale oltretutto che un simile tentativo, teso al sostanziale ripristino del contraddittorio, si svolga a livello di legge ordinaria, in questo riaffermando una presunta preminenza dell’organo legislativo attraverso il suo principale strumento di azione.

La legge 267/1997 riformula dunque interamente l’art. 513 c.p.p.611

. Alla luce del nuovo impianto proposto in sede parlamentare, le dichiarazioni rese durante le indagini preliminari dall’imputato o dal coimputato in procedimenti separati, che si avvalgano in dibattimento della facoltà di non rispondere, non possono essere

608 Sulla possibilità di adottare una legge ordinaria in risposta alle sentenze della Corte costituzionale

si legga P. FERRUA, Commento alla legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2. Inserimento dei principi del giusto processo nell’articolo 111 della Costituzione, in G. BRANCA – A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario alla Costituzione, Bologna, 2002, p. 76 ss.

609 A suffragio di tale asserzione, è sufficiente rievocare l’intervento televisivo in cui i magistrati del

pool milanese affossarono pubblicamente le scelte operate dal Governo in materia di misure cautelari a seguito dell’emanazione del decreto-legge 14 luglio 1994, n. 440: “Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa”.

610 Ad un clima di soggezione parlamentare nei confronti del potere giudiziario era infatti subentrata

l’aperta stigmatizzazione dell’operato della Magistratura, cui si associava, da un lato, la volontà di ristabilire una sorta di primato della politica, e dall’altro, la sempre più frequente accusa ai Pubblici Ministeri di indirizzare la propria azione a fini politici.

611 Legge 7 agosto 1997, n. 267: “Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale in tema

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utilizzati nei confronti di soggetti terzi, a meno che non si riscontri il loro consenso o l’accordo tra le parti. Simmetricamente, al fine di evitare la perdita di un simile contributo probatorio in caso di silenzio dibattimentale, il legislatore procede all’ampliamento dell’incidente probatorio per l’esame dei coimputati, ammettendolo anche oltre i limiti stabiliti dall’art. 392 c.p.p., sostanzialmente riconducibili all’ipotesi in cui la persona in questione non possa essere esaminata durante il dibattimento per infermità o altro grave impedimento, oppure sia esposta a violenza, minaccia o subornazione affinché non deponga o deponga il falso.

Ciò nondimeno, seppure a fronte di iniziative meritorie, tutte improntate al ripristino delle garanzie minime connesse al pieno rispetto del principio del contraddittorio, nella nuova legislazione possono comunque ravvisarsi alcuni indici rivelatori di una sorta di garantismo selettivo612. Anzitutto, la novella legislativa si mostra inevitabilmente settoriale e, di riflesso, fondamentalmente incoerente nel riaffermare l’imprescindibile valore del contraddittorio solo in vista di un ipotetico silenzio del coimputato che avesse già reso dichiarazioni sul fatto altrui, disinteressandosi in questo modo del regime inquisitorio prevalso sul terreno della prova testimoniale con l’efficacia probatoria delle contestazioni e la testimonianza indiretta della polizia giudiziaria. In secondo luogo, la legge in esame, dettando un regime transitorio in deroga al principio generale del tempus regit actum, aveva destato più di un sospetto di interferenze mirate sui processi in corso613.

In ogni caso, dall’analisi letterale e sistematica del nuovo testo normativo traspare agevolmente la ratio della disciplina probatoria in esame, tutta tesa al recupero dei meccanismi del contraddittorio e dell’oralità. La nuova disposizione determina infatti la sussistenza di spazi strutturalmente e funzionalmente necessari a garanzia dell’operatività di speciali regole di acquisizione e di valutazione della

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In questa prospettiva si veda soprattutto V. GREVI, Sull’applicabilità del nuovo articolo 513 cod. proc. pen. nei processi in corso, in Diritto penale e processo, 1997, p. 1505 ss.

613 La complessa ed articolata disciplina transitoria stabilita dall’art. 6 della legge 267/1997, non

prevede tout court l’immediata operatività del nuovo regime di inutilizzabilità delle dichiarazioni precedentemente acquisite mediante lettura, in forza del previgente testo dell’art. 513 c.p.p. ma subordina la parziale applicabilità della nuova norma nei giudizi di merito in corso al duplice presupposto che vi sia la richiesta della parte interessata e che, sussistendo anche nel giudizio di appello e nel giudizio di rinvio, le ulteriori condizioni positive per un nuovo esame del dichiarante, questo venga disposto ed abbia successivamente luogo. Questo implicava che nei giudizi pendenti all’epoca della riforma, in assenza di un’apposita richiesta di parte che solleciti un nuovo esame del dichiarante, i verbali delle dichiarazioni già acquisite al fascicolo del dibattimento mediante lettura ben potrebbero essere utilizzati come prova e posti dal giudice a fondamento della decisione sulla responsabilità dell’imputato.

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prova dichiarativa, analiticamente modellate in riferimento alle scelte difensive delle parti e ai correlativi poteri del giudice nel dibattimento di merito, a tutela primaria non solo del libero convincimento del giudice, ma anche e soprattutto del diritto di difesa dei singoli614.

Come già accennato, però, l’elaborazione normativa del principio del “giusto processo” - formalmente inserito nell’art. 111 Cost. con l’approvazione della l. cost. 2/1999 - trova la sua prima compiuta espressione ad opera della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali615. In particolare, sul testo dell’art. 130 del relativo progetto recante proprio le specifiche disposizioni in tema di “equo processo” si verificò un ampia convergenza politica, tant’è che l’articolato venne approvato all’unanimità dalla Commissione, con l’accordo sia delle forze favorevoli alla separazione delle carriere tra giudice e pubblico ministero, sia degli esponenti propensi invece ad una più blanda distinzione delle funzioni616.

Una coesione così trasversale tra le singole forze partitiche si spiega soltanto alla luce della considerazione che la due process clause assume nella concezione dell’organo legislativo, il quale evidentemente la intendeva alla stregua di uno strumento indispensabile per riequilibrare i poteri delle parti nel processo617. In

614 Sulle implicazioni e sulle innumerevoli connessioni tra principio del contraddittorio, oralità, libero

convincimento del giudice e tutela del diritto di difesa si consulti specialmente A. TASSI, Commento all’art. 513 c.p.p., in G. CONSO – V. GREVI, Commentario breve al nuovo codice di procedura penale, Padova, 1997, p. 1427 ss.

615 Commissione bicamerale per le riforme costituzionali, istituita con legge costituzionale 24 gennaio

1997, n. 1: “Istituzione di una Commissione parlamentare per le riforme costituzionali”, pubblicata in G.U. 28 gennaio, 1997, n. 22.

616 Nello specifico, l’art. 130 del progetto di riforma costituzionale, varato dalla Commissione

bicamerale, disponeva che: “La giurisdizione si attua mediante giusti processi regolati dalla legge, ispirati ai principi dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità e davanti a un giudice terzo. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel procedimento penale la legge assicura che la persona accusata di un reato sia informata, nel più breve tempo possibile, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa; abbia la facoltà di interrogare e far interrogare dal suo difensore le persone da cui provengono le accuse a suo carico; abbia la facoltà di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a discarico nelle stesse condizioni di quelle di accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita gratuitamente da un interprete se non comprende e non parla la lingua impiegata. La legge assicura che la custodia cautelare in carcere venga eseguita in appositi istituti. La legge istituisce pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non abbienti il diritto di agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione”.

617 Così soprattutto si esprime O. ROSELLI, La costituzionalizzazione delle norme sul processo (artt.

129, 130, 131 e 133), in V. ATRIPALDI – R. BIFULCO (a cura di), La Commissione bicamerale per le riforme costituzionali nella XIII legislatura. Cronaca dei lavori e analisi dei risultati, Torino, 1998, p. 806 ss., ad ulteriore conferma si legga anche M. CECCHETTI, Il principio del giusto processo nel nuovo art. 111 della Costituzione. Origini e contenuti normativi generali, in P. TONINI (a cura di), Giusto processo. Nuove norme sulla formazione e valutazione della prova, Padova, 2001, p. 50.

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origine, oltretutto, il tema relativo alla “questione giustizia” non era neppure contemplato tra le competenze attribuite alla Bicamerale. Esso fu inserito soltanto a seguito delle pressanti richieste formulate da settori ben definiti dell’allora opposizione, e dunque essenzialmente sulla base di scelte politiche contingenti, condizionate dal timore di veder compromessi quegli equilibri ritenuti indispensabili per il buon esito dell’iniziativa riformatrice618

.

Dal dibattito in Commissione emergono chiaramente alcuni dati di contesto, rivelatori delle numerose opzioni di fondo che animavano il progetto di riforma e che non soltanto contribuiscono a definire i diversi scenari politici in cui si collocano le posizioni assunte dalle singole forze partitiche, ma che valgono ugualmente anche ad illuminare buona parte delle scelte successivamente fatte proprie dal legislatore costituzionale. Anticipando significativamente l’intento della riforma costituzionale, la Commissione riprende il nucleo essenziale delle garanzie processuali contenute nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)619, trasponendo pedissequamente nell’ambito del processo penale nazionale, il contenuto delle norme convenzionali relative alla condizione dell’imputato620

. A questa precisa affermazione si ricollega direttamente la proposta di introdurre nel testo costituzionale il riferimento esplicito allo stesso concetto di “giusto processo” e, soprattutto, la necessità di riferirsi letteralmente alle prerogative dell’accusato nel procedimento penale. Si appalesa qui il nesso inscindibile, esprimibile quasi in termini di stretta consequenzialità, tra il rafforzamento del

618 L PEPINO, La posta in gioco e un primo sguardo d’insieme, in Questione giustizia, 1997, p. 503

ss. Così il percorso attraverso cui gli argomenti concernenti la giustizia sono stati fatti rientrare nell’area dei compiti attribuiti dalla legge istitutiva alla Commissione bicamerale si è dipanato attraverso una notevole forzatura interpretativa della formula imperniata sul sistema delle garanzie, di cui all’art. 1, comma 4, l. cost. 24 gennaio 1997, n. 1, che di per sé si presenta come sufficientemente ampia, ma che di contro, diventa assai delicata fino a caricarsi di significati piuttosto ambigui, ove la si riferisca stricto sensu all’esercizio della giurisdizione, così come disciplinato dalla parte II della nostra Carta costituzionale.

619 Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata

a Roma il 4 novembre 1950, entrata in vigore il 3 settembre 1953, ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848, pubblicata in G.U. 24 settembre 1955, n. 221.

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Così dispone l’art. 6, par. 3, della Convenzione (Diritto a un equo processo): “… ogni accusato ha diritto di: a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico; b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza …”.

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principio di unicità della giurisdizione, inteso qui nel suo aspetto funzionale, e la radicale riconfigurazione delle giurisdizioni speciali, sulla base del quale il principio dell’ “equo processo” viene indistintamente riferito alla giurisdizione unitariamente intesa e conseguentemente ad ogni tipo di procedimento621.

Il disegno riformatore elaborato in sede parlamentare prevedeva altresì una riserva di legge in materia processuale, riferita non soltanto al “giusto processo” in quanto tale, ma, più in particolare, anche alla sua ragionevole durata e alle garanzie minime riconosciute in capo all’imputato nell’ambito del procedimento penale medesimo. Si tratta, peraltro, di un elemento ricavabile non soltanto dalla formulazione letterale dell’art. 130, quanto piuttosto dall’impianto complessivo della novella. La necessità che il cd. “giusto processo” ricevesse una regolamentazione di rango primario, riconducibile alla sola legge statale, rappresenta infatti una significativa addizione rispetto al proprio referente internazionale, frutto di una scelta ponderata, riassumibile nell’esigenza di assegnare in modo esplicito la produzione delle norme sul processo al livello più elevato del sistema delle fonti previste in Costituzione, sottraendole all’ingerenza del potere esecutivo622.

Per certi versi, con riferimento specifico alle singole garanzie processuali, il progetto della Bicamerale predispone una tutela rafforzata rispetto all’attuale testo dell’art. 111 Cost. Il testo licenziato dalla Commissione menziona infatti espressamente i principi dell’oralità, della concentrazione e dell’immediatezza cui si affianca l’istituzione di pubblici uffici di assistenza legale al fine di garantire ai non

621 In particolare, la Commissione aveva tentato di perseguire il suddetto scopo, da un lato, mediante

l’inserimento dei giudici amministrativi in un unico ordine, comune ai magistrati ordinari, dall’altro, attraverso una radicale riconfigurazione delle giurisdizioni speciali. In questo senso si confrontino gli articoli 113, 118 e 119 del progetto, soprattutto laddove contemplano una radicale riorganizzazione del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, con la separazione delle funzioni consultive e di controllo dall’esercizio dell’attività giurisdizionale e con l’assorbimento della giurisdizione contabile nella giurisdizione amministrativa, e un notevole ridimensionamento della giurisdizione militare. Per ulteriori approfondimenti sul tema si legga su tutti S. BARTOLE, La revisione della Costituzione: riflessioni in tema di magistratura, in Diritto pubblico, 1997, p. 823 ss.

622 Tale intento trova conferma tanto nell’art. 58, comma 1, del progetto, dove si stabilisce alla lett. p)

che “… spetta allo Stato la potestà legislativa in riferimento a: ordinamento civile e penale, ordinamenti giudiziari e relative giurisdizioni …”, quanto nell’art. 90, comma 1, laddove si prevede alla lett. f) la necessaria approvazione della legge da parte di entrambe le Camere quando questa riguardi “… norme penali, norme processuali, ordinamenti giudiziari e ordinamento delle giurisdizioni …”. A quest’ultima disposizione si collega appunto il divieto per il Governo di adottare decreti-legge nelle materie riservate alla competenza delle leggi che necessitano dell’approvazione delle due Camere (art. 99, comma 1), mentre resta comunque ferma la possibilità di adottare decreti legislativi, purché la legge di delegazione sia approvata da entrambi i rami del Parlamento (art. 90, comma 2).

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abbienti il diritto di agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione. Per altri aspetti esso riduce invece sensibilmente la protezione attualmente accordata dalla Carta costituzionale, giacché omette in toto qualsiasi accenno al principio del contraddittorio nella formazione della prova e, di conseguenza, alle più dettagliate previsioni legate all’interrogatorio dell’imputato623

.

Quanto alla collocazione topografica della revisione, il progetto stilato dalla Commissione bicamerale si situa nella Parte II della Costituzione. Una simile impostazione si giustifica essenzialmente in ragione delle limitazioni prescritte alla Commissione dalla stessa legge istitutiva624, ma produce ugualmente l’inconfutabile conseguenza giuridica che il “giusto processo” non si qualifichi primariamente come diritto soggettivo, ma assurga piuttosto a strumento di tutela oggettiva, delineando uno specifico modello di giurisdizione625.

Anche se appaiono inoppugnabili i limiti oggettivi propri del mandato affidato alla Commissione bicamerale, che di fatto impedivano anche solo di poter contemplare l’inserimento della clausola sul “giusto processo” e dei suoi diretti corollari nell’ambito dei diritti fondamentali contenuti nella prima parte della Costituzione, tale scelta sistematica assume, in ogni caso, una valenza intrinseca in grado di influire sensibilmente sulla decisione, questa volta formalmente libera, assunta dal legislatore costituzionale del 1999 a favore di una modifica dell’art. 111 Cost.626. Nella loro stessa formulazione normativa, i principi del “giusto processo” assumono quindi una spiccata caratterizzazione in senso oggettivo, che li svincola da una funzione concepita esclusivamente in chiave di tutela di situazioni soggettive, tramutandoli in elementi distintivi del processo giurisdizionale, capaci di qualificare

623

Altre varianti di dettaglio riguardano ancora, ad esempio, le deroghe al contraddittorio per consenso dell’imputato, per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita; la gratuità dell’assistenza dell’interprete ed infine la qualifica di imparziale accanto alla precedente locuzione “giudice terzo”.

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L’art. 1, comma 4, l. cost. 1/1997 così determina le competenze della Commissione bicamerale per le riforme costituzionali: “… La Commissione elabora progetti di revisione della parte II della Costituzione, in particolare in materia di forma di Stato, forma di governo e bicameralismo, sistema delle garanzie …”.

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In tema di classificazione delle regole sul c.d. “giusto processo” come particolare strumento di tutela dei diritti individuali in opposizione ad una sua tradizionale qualificazione come diritto soggettivo fondamentale si veda anche G. UBERTIS, La previsione del giusto processo, in Diritto penale e processo, 1998, p. 48 ss.

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la nozione di giurisdizione, attribuendo al giudice quei connotati di imparzialità e di indipendenza che, a loro volta, ne determinano la terzietà627.

Il “giusto processo” assume così i caratteri di un peculiare meccanismo in cui si compendiano tutti i principi dettati dalla Costituzione sia in ordine ai requisiti della giurisdizione, nel suo profilo oggettivo e soggettivo, sia con riguardo ai diritti di azione e difesa in giudizio. In altri termini, esso comprenderebbe in sé l’esigenza di imparzialità del giudice, quale aspetto particolare di quella terzietà, che, da una parte,

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