• Non ci sono risultati.

La legge costituzionale come legittimo strumento di risposta a disposizione del

Come si è già avuto modo di constatare attraverso l’interpretazione dell’art. 136 Cost.480, sembra largamente condivisibile l’ipotesi secondo cui il Costituente abbia inteso riconoscere espressamente alla legge costituzionale la facoltà di riprodurre ad un rango superiore del sistema delle fonti norme legislative ordinarie precedentemente invalidate dalla Corte, senza per questo incidere sul giudicato costituzionale481. Allo stesso modo, deve pure ammettersi che il Parlamento possa decidere, di operare direttamente sull’originario parametro di riferimento, determinando, per questa via, il fondamento positivo per una valida riproduzione in forma ordinaria della norma a suo tempo espunta dall’ordinamento dal giudice

479

Sul punto si vedano R. BIN, Il principio di leale cooperazione nei rapporti tra poteri, in Rivista di diritto costituzionale, 2001, p. 6 ss. e da ultimo P. VERONESI, Il “caso Cito” funzione parlamentare e giurisdizione (ancora) in conflitto, in Giurisprudenza costituzionale, 2002, p. 990 ss. Ciò nondimeno, riconoscere che la questione del seguito legislativo, per poter pienamente operare, debba valicare i limiti, spesso angusti, della disciplina positiva, avventurandosi sul terreno più incerto del compromesso politico, comporta il rischio che la lealtà del Parlamento nei confronti del giudice delle leggi, in assenza di adeguati strumenti prescrittivi, resti ancora largamente affidata ad occasionali convenienze politiche, lasciando ancora inattuato quel modello di leale cooperazione che sembrerebbe doversi logicamente imporre nella prassi.

480 Per un più completo sviluppo della succitata interpretazione del disposto costituzionale si veda più

approfonditamente supra cap. III, par. 1 e 2. Al riguardo, si confronti pure quanto autorevolmente sostenuto da A. RUGGERI, Le attività consequenziali nei rapporti fra la Corte costituzionale e il legislatore, Milano, 1988, p. 18 ss.

481 Per una ricostruzione storica delle vicende relative alla formulazione dell’art. 136 Cost. da parte

dell’Assemblea Costituente da cui discende la lettura proposta, si legga su tutti il contributo di G.. PARODI, Commento all’art. 136 Cost., in R. BIFULCO – A. CELOTTO – M. OLIVETTI (a cura di), Commentario alla Costituzione, Torino, 2010, p. 2649 ss.

148

costituzionale482. In entrambi i casi, infatti, sotto il profilo giuridico effettuale, si registra una modifica formale della Costituzione, esplicita nell’ipotesi in cui la legge di revisione assuma a proprio oggetto la norma di legge ordinaria precedentemente dichiarata contraria alla Costituzione, implicita, qualora il legislatore modifichi il parametro costituzionale per reintrodurre nel sistema la norma invalidata in via ordinaria483.

Tecnicamente diverso risulta il grado di incidenza dell’operazione condotta nei due casi dal legislatore Nel caso di modifica del parametro costituzionale di riferimento, infatti, il Parlamento opera in Costituzione una nuova regolamentazione della materia, aprendo di fatto la strada a successivi interventi sistematici da parte del legislatore ordinario, come concreta attuazione della nuova disciplina. Riproducendo a livello costituzionale la norma precedente dichiarata illegittima, le Camere compiono invece una vera e propria deroga nei confronti di un disposto costituzionale che rimane inalterato nel suo senso complessivo e che viene sostituito da una norma che, a livello ordinario, non sarebbe ammissibile tollerabile484.

In ogni caso, resta ferma la legittimità di una simile operazione, purché questa venga effettuata mediante il procedimento di cui all’art. 138 Cost.485 Sebbene, infatti, la presenza di leggi costituzionali e di revisione costituzionale concordate contro decisioni contrarie all’indirizzo politico perseguito dal legislatore, rappresenti uno dei principali indicatori dello stato di tensione nei rapporti tra Parlamento e giudice delle leggi, una simile previsione risolve in via definitiva ogni possibile contrasto tra

482 Sulle diverse possibilità operative a disposizione del legislatore costituzionale al fine di introdurre

modifiche alla Carta fondamentale, che possano al limite condurre anche alla riproposizione di norme ordinarie precedentemente dichiarate illegittime, si confronti ex multis G. CONTINI, La revisione costituzionale in Italia, Milano, 1971, p. 59 ss.

483 Così anche S. M. CICCONETTI, Revisione costituzionale, in Enciclopedia del diritto, vol. XXIII,

Milano, 1972, p. 930 ss., ripreso altresì da M. DOGLIANI, La legislazione costituzionale, in Rivista trimestrale di diritto pubblico, 2001, p. 1017 ss. Sulla distinzione concettuale tra legge costituzionale e legge di revisione costituzionale si veda anche R. TARCHI, Leggi costituzionali e di revisione costituzionale (1948-1993), in G. BRANCA – A. PIZZORUSSO (a cura di), Commentario alla Costituzione (disposizioni transitorie e finali – leggi costituzionali e di revisione costituzionale), Bologna-Roma, 1995, p. 271 ss.

484 Circa i possibili effetti prodotti sul testo costituzionale dai diversi interventi di revisione operati dal

legislatore, si consulti in particolar modo la riflessione proposta da C. MORTATI, Concetto, limiti, procedimento della revisione costituzionale, in Studi di diritto costituzionale in memoria di Luigi Rossi, Milano, 1952, p. 377 ss

485 Sempre che, naturalmente, non si ravvisino, nei confronti del parametro così modificato, motivi di

incostituzionalità ulteriori e diversi rispetto alla violazione del giudicato costituzionale, la qual cosa condurrebbe ad instaurare un autonomo giudizio di costituzionalità, che provveda a censurare gli ulteriori eventuali vizi della disposizione impugnata.

149

Corte e legislatore, assegnando a quest’ultimo il diritto “all’ultima parola” e attribuendo alla legge costituzionale il carattere di ultima risorsa nelle mani delle Assemblee elettive nei casi di contrasto con gli organi di giustizia costituzionale486.

Resta tuttavia da comprendere i motivi per cui assegnare al potere legislativo il diritto all’ultima parola, tramite lo strumento della legge costituzionale, rappresenti la scelta più consona per dirimere quei contrasti, che nell’ambito degli ordinamenti democratici, quasi inevitabilmente, si producono tra giustizia costituzionale e Parlamento487.

Innanzitutto, una soluzione di questo tipo risponde pienamente alle esigenze di legittimazione costantemente presenti in tutti gli Stati democratico- costituzionali488. Potere di revisione costituzionale e controllo di costituzionalità, infatti, si autorizzano e si giustificano reciprocamente. Affinché si possa sindacare la legittimità costituzionale di una legge è necessario presupporre, almeno in astratto, l’assoluta libertà degli organi rappresentativi di riaffermare, attraverso la revisione costituzionale, il contenuto delle norme dichiarate illegittime489. La pienezza del potere di revisione costituzionale rappresenta cioè la principale garanzia contro

486 In tema di “diritto all’ultima parola” si legga L. FAVOREAU, La légitimité du juge

constitutionnel, in Revue internationnelle de droit comparé, 1994, p. 557 ss. il quale istituisce una stretta correlazione tra controllo di costituzionalità e potere di revisione, spettante al Parlamento, ricavandone un rapporto di reciproca legittimazione, capace di giustificare la presenza stessa della giustizia costituzionale nel sistema, assegnando a quest’ultima l’esatta dimensione.

487

Sul punto si leggano soprattutto le notazioni di M. CAPPELLETTI, Giudici legislatori?, Milano, 1984, riprese tra gli altri da D. ROUSSEAU, La justice constitutionnelle en Europe, Parigi 1992, p. 9 ss. e di G. ZAGREBELSKY, Principi e voti: la Corte costituzionale e la politica, Torino, 2005, le quali si saldano inscindibilmente con le esigenze di legittimazione del giudice costituzionale. Secondo la dottrina più accreditata sarebbero in particolare tre gli elementi che renderebbero problematica la convivenza tra giustizia costituzionale e istituzioni democratiche: anzitutto, le minore legittimazione democratica del giudice costituzionale rispetto alle Assemblee parlamentari e al prodotto della loro attività, ovvero la legge; in secondo luogo, la rigidità della Costituzione, per cui il Parlamento si trova appunto impossibilitato a neutralizzare agevolmente le decisioni di incostituzionalità, dovendo invece ricorrere allo strumento della legge costituzionale; infine, l’ampia discrezionalità usualmente lasciata alle Corti costituzionali nell’interpretazione dei principi contenuti nella legge fondamentale. In questo senso si veda in special modo V. FERRERES-COMELLA, Justicia constitucional y democracia, Madrid, 1997, p. 42 ss.

488 Per una ripresa di tale dottrina da parte della giuspubblcistica italiana si veda in particolare quanto

sostenuto tra gli altri anche da M. DOGLIANI, Potere costituente e revisione costituzionale, in Quaderni costituzionali, 1994, p. 9 ss.

489

Per una ripresa di tali tesi nella dottrina italiana si confronti specialmente M. DOGLIANI, Potere costituente e revisione costituzionale, in Quaderni costituzionali, 1995, p. 9 ss. a giudizio del quale potere costituente e potere di revisione costituzionale verrebbero in questo modo completamente assimilati, negando ogni limite al secondo rispetto al primo, che invece dovrebbe contenere ogni possibile tentativo di violazione dei principi supremi dell’ordinamento.

150

eventuali sconfinamenti da parte della Corte, che scongiurino un ipotetico “governo dei giudici”490

.

Le sentenze del giudice costituzionale che dichiarano l’incostituzionalità di una norma legislativa non sono dunque atti del tutto definitivi, perché il Parlamento, in quanto rappresentante della sovranità popolare e titolare del potere di revisione costituzionale, può sempre e comunque riproporre il contenuto di quella norma, riapprovandola sotto forma di legge costituzionale, rendendola intangibile di fronte a qualsiasi altro intervento da parte della Corte. Il giudice costituzionale, infatti, costituisce esso stesso espressione del potere costituito e soggiace all’obbligo di giudicare della legittimità costituzionale degli atti legislativi sulla base della Costituzione vigente, ne consegue che un suo pronunciamento non potrebbe utilmente resistere a una legge di revisione costituzionale che, seguendo la volontà parlamentare, elimini l’ostacolo testuale opposto alle disposizioni di rango ordinario. In questo senso la legge costituzionale potrebbe vanificare le decisioni della Corte, impedendo così a quest’ultima di neutralizzare definitivamente l’affermazione della volontà politica491.

Lungo questa direttrice il legislatore si riserva sempre il “diritto all’ultima parola”, cosicché, se il giudice costituzionale – che è tradizionalmente privo di una legittimazione diretta – pretende di annullare in via risolutiva un atto liberamente votato dai rappresentati del popolo, costoro detengono pur sempre il potere di

490

Cfr. passim R. HIRSCHL, Towards Juristocracy: The Origins and Consequences of the New Constitutionalism, Harvard, 2004.

491 Così G. VEDEL, Le Conseil consitutionnel, gardien du droit positif ou défenseur de la

transcendance des droits de l’homme?, in Pouvoirs, 1988, p. 150 ss. il quale si esprime ancor più radicalmente sostenendo che: “… Tale interveto da parte del legislatore deve considerarsi a tutti gli effetti un atto del potere costituente. L’equilibrio democratico, infatti, si fonda su una ripartizione di competenze che si limitano a vicenda e il cui funzionamento è assicurato da giurisdizioni di diversa natura. Ma è necessario che al di là di questa distribuzione di competenze venga mantenuto uno spazio giuridico in cui la sovranità democratica si eserciti senza divisioni. Questo spazio è appunto quello riservato al potere costituente. Il potere costituente derivato non è un potere di natura diversa rispetto al potere costituente originario […] È questa pienezza del potere che costituente che legittima il controllo di costituzionalità delle leggi. A chi si lamenta che la legge votata dai rappresentanti della Nazione non sia sovrana come la Nazione stessa, si risponde che la legge esprime la volontà generale nel rispetto della Costituzione. Tale formula giustifica il controllo di costituzionalità, ma soltanto a patto di sottintendere che l’ostacolo che la legge incontra nella Costituzione possa essere rimosso dal popolo sovrano o dai suoi rappresentanti attraverso il ricorso al mezzo supremo di espressione: la revisione costituzionale. Se si può dire che i giudici non governano, è perché in ogni momento il sovrano, a condizione di esprimersi nella maestà del Costituente può annullare le loro sentenze. Guai se la creatura – la Costituzione – sfuggisse al suo creatore – il potere costituente – e se l’esaltazione dell’una non si accompagnasse alla valorizzazione dell’altro …”.

151

riproporre la norma annullata con legge costituzionale, sottraendola così al giudizio di costituzionalità. Soltanto in questi termini, il sindacato sulla conformità a Costituzione delle leggi e degli atti aventi forza di legge, inteso come verifica politica condotta in termini giurisdizionale sul corretto esercizio della sovranità parlamentare, può risultare ammissibile492. La possibilità legittima di replicare ad una pronuncia di accoglimento del giudice delle leggi, modificando attraverso la procedura di cui all’art. 138 Cost. il rapporto stesso tra norme oggetto e norme parametro, al solo fine di far prevalere la volontà presente nella maggioranza dell’elettorato riassegna dunque al Parlamento il proprio ruolo di interprete dinamico della volontà prevalente nel corpo elettorale493.

In secondo luogo, l’attribuzione di una sorta di “diritto all’ultima parola” al Parlamento attraverso il potere di revisione costituzionale risponde anche ad esigenze logiche di riequilibrio del sistema. A questa stregua, infatti, appare del tutto legittimo che anche l’organo politico fornisca una propria interpretazione vincolante della Costituzione, riappropriandosi delle proprie prerogative, a seguito di un intervento caducatorio del giudice delle leggi. Tuttavia, lo strumento giuridico impiegato per riaffermare la propria esegesi delle disposizioni costituzionali dovrà necessariamente tradursi in una legge di revisione costituzionale, con la procedura aggravata che essa comporta, poiché in questi casi si tratta di superare definitivamente l’interpretazione contraria fornita dalla Corte, resasi ormai insuperabile al legislatore ordinario. In altre parole, il giudice costituzionale corregge le decisioni assunte dal Parlamento, ma ciò non comporta che il legislatore non possa nuovamente esprimere la volontà della maggioranza, ricorrendo a una procedura aggravata, che tenga conto del precedente pronunciamento della Corte494.

La facoltà del Parlamento di intervenire, in via risolutiva, attraverso lo strumento della legge costituzionale, intesa come ultima risposta alle decisioni del giudice costituzionale, sembra ricondurre il nostro sistema di giustizia costituzionale nell’alveo delle cosiddette “strong forms of judicial review”495, storicamente

492 Ibidem.

493 Cfr. E. GROSSO, L’ultima querelle sulla giustizia costituzionale in Francia, Torino, 1995 494

Assai efficacemente L. FAVOREAU, op. cit. ritiene che: “… quando un giudice costituzionale censura il legislatore, può allora essere approvata una legge costituzionale …”

495 La distinzione teorica tra strong forms e weak forms of judicial review, quale particolare schema di

classificazione dei sistemi di giustizia costituzionale, si deve principalmente alla scuola statunitense. In questa prospettiva, si rinvia su tutti alla distinzione e alle precisazioni fornite sul punto da M.

152

contrapposte alle tradizionali “weak forms” di matrice anglosassone in cui le sentenze dichiarative dell’incostituzionalità di una legge non sono mai totalmente vincolanti per il potere politico, il quale ben potrebbe riformare le pronunce giudiziali di illegittimità attraverso una semplice legge ordinaria496. In definitiva, il cosiddetto “diritto all’ultima parola”, consente al potere politico di riappropriarsi della supremazia all’interno del sistema – contrapponendosi a un’interpretazione giudiziaria della Costituzione, altrimenti irrivedibile da parte delle maggioranze parlamentari – ma lo permette soltanto a patto che si ricorra ad una procedura rinforzata che tenga conto del ruolo e della funzione costituzionalmente affidata al giudice delle leggi497.

Un modello accentrato congegnato in questi termini soddisfa in maniera piuttosto fluida le due principali finalità poste alla base dei diversi sistemi di giustizia costituzionale. Da una parte, infatti, esso offre un’adeguata garanzia dei diritti individuali, i quali, a prescindere dal soggetto che di volta in volta se ne faccia carico (sia esso la Corte costituzionale con sentenza o il Parlamento con legge costituzionale) ottengono comunque soddisfazione e tutela498; dall’altra, garantisce un equilibrato rapporto tra organi dello Stato, riconsegnando alla sovranità popolare la decisione definitiva, in modo tale da attutire l’impatto politico delle decisioni di

TUSHNET, Weak Courts, strong rights. Judicial review and social welfare rights in comparative constitutional law, Princeton, 2008, p. 25

496 Cfr. S. GARDBAUM, The new Commonwealth model of constitutionalism, in American journal of

comparative law, 2001, p. 707 ss. il quale si concentra però in prevalenza sulle soluzioni normative adottate nei sistemi intermedi di giustizia costituzionale al fine di ricomporre i contrasti eventualmente insorti tra potere politico e giudice delle leggi. In questa stessa prospettiva, le soluzioni legislative adottate a questo proposito contribuirebbero a rafforzare il modello di riferimento, fornendo alle pronunce giudiziali un’efficacia del tutto peculiare superabile soltanto attraverso lo strumento della revisione costituzionale.

497 Così A.A. CERVATI, La revisione costituzionale ed il ricorso a procedure straordinarie di

riforma delle istituzioni, in A.A. CERVATI – S. PANUNZIO – P. RIDOLA (a cura di), Studi sulla riforma costituzionale. Itinerari e temi per l’innovazione costituzionale in Italia, Torino, 2001, p 1 ss.

498 Critico nei confronti di tale impostazione L. TREMBLAY, The legitimacy of sudicia review: the

limits of dialogue between Courts and legislature, in International journal of constitutional law, 4/2005, p. 617 ss. secondo cui un sistema così articolato, non sarebbe di per sé stesso sufficiente, lasciando comunque aperto l’interrogativo circa una propria completa effettività, soprattutto in termini di garanzia dei diritti delle minoranze nei confronti delle maggioranze politiche contingenti. Soltanto la presenza di un’opinione pubblica attenta e vigile e di un legislatore dotato di un’elevata sensibilità costituzionale, infatti, potrebbe evitare che si determini il progressivo svuotamento di una delle conquiste centrali del costituzionalismo.

153

costituzionalità, facilitandone l’accettazione non solo da parte dei poteri pubblici, ma e soprattutto della società civile499.

Infine, la possibilità eccezionale che al Parlamento appartenga la decisione definitiva al cospetto delle pronunce della Corte contribuisce anche alla piena accettazione della giustizia costituzionale in seno all’ordinamento democratico, riassegnando alla politica la propria reale funzione di mediazione e di regolamentazione del sistema500. La tesi che reputasse sostanzialmente fraudolento l’impiego del potere di revisione come strumento di risposta nei confronti delle sentenze del giudice costituzionale che sovvertano un determinato indirizzo parlamentare rischierebbe, infatti, di sfociare in una concezione paternalistica della giustizia costituzionale501, in cui la pretesa superiorità delle decisioni della Corte si basa sulla presunta estraneità del giudice delle leggi alle dinamiche politiche, generalmente mal considerate502. Una concezione basata, in ultima analisi, su una profonda diffidenza nei confronti del potere legislativo, a cui farebbe difetto una sufficiente consapevolezza tecnica, e che si troverebbe in costante balia di

499 Si tratta invero di un’impostazione piuttosto risalente che tuttavia sembra poter ancora dispiegare

una convincente valenza teorica. Cfr. C. EISENMAN, La justice constitutionnelle et la haute court constitutionnelle d’Autriche, Parigi, 1986, p. 82 ss.

500

Concordemente con tale prospettiva si vedano anzitutto le osservazioni di C. MEZZANOTTE, Corte costituzionale e legittimazione politica, Roma, 1984. Peraltro, una simile prospettiva teorica sembrerebbe essere criticata da una parte della dottrina statunitense, in particolare da R. HIRSCHL, The political origin of judicial empowerment through constitutionalization. Lessons from four constitutional revolutions, in Law and social inquiry, 2000, p. 91 ss., secondo cui la riproposizione ad un livello più elevato dell’ordinamento di norme dichiarate incostituzionali nasconderebbe il tentativo da parte delle élites politiche, nel momento stesso in cui temano di essere scalzate dal potere, di porre al sicuro i propri principi e valori rispetto alle future maggioranze, affidandole ad un corpo di giudici, così da sortire, sul lungo periodo, l effetto contrario rispetto alle proprie originarie aspettative, dal momento che un simile atteggiamento da parte degli organi politici finisce inevitabilmente per rafforzare anche il potere giudiziario e la giustizia costituzionale. In questo senso dello stesso autore si legga altresì R. HIRSCHL, Towards juristocracy. Origins and consequences of new constitutionalism, Harvard, 2004

501 La dizione citata nel testo si deve principalmente allo studio condotto da J. H. ELY, Democracy

and distrust. A theory of judicial review, Cambridge, 1980, ma la tesi si è ben presto diffusa con un certo successo pressoché in tutta la dottrina anglo-americana. Tra i numerosi contributi sul punto si segnalano A. BICKEL, The least dangerous branch, The Supreme Court at the bar of politics, New Haven, 1962, R. DWORKIN, A matter of principle, Harvard, 1985 e R. BORK, Coercing virtue. The worldwide rule of judges, Washington, 2003.

502 Oltretutto, la concezione paternalistica della giustizia costituzionale potrebbe apparire tanto più

discutibile quanto più si verifichi il ricorso, da parte delle rispettive Corti, a categorie di ordine morale che costituiscano diretta applicazione di una sorta di teoria dei valori, secondo un orientamento in qualche caso seguito anche da parte della Corte costituzionale italiana. Così N. ZANON, Premesse introduttive a uno studio sui principi supremi di organizzazione come limiti alla revisione costituzionale, in Giurisprudenza costituzionale, 1998, p. 1891 ss.

154

maggioranze irrazionalmente mutevoli, interessate solamente al perseguimento di scopi corporativi.

La decisione di assegnare alla legge costituzionale la facoltà di intervenire definitivamente rispetto alle pronunce della Corte rivela, dunque, una concezione certamente più ottimistica delle potenzialità e degli strumenti di concertazione politica, secondo cui la politica rappresenta un imprescindibile meccanismo di garanzia dei diritti, soprattutto laddove i contrasti tra opinioni divergenti si acuiscano o addirittura sussista un particolare disaccordo sulla qualificazione stessa dei diritti che si intende, o non si intende, tutelare503. La sussistenza di un potere di revisione a disposizione del Parlamento si accompagna, quindi, a una teoria della giustizia costituzionale e a un corrispondente impiego dei relativi poteri creativi, sicuramente meno incline ad ammettere interventi manipolativi in ordine alle scelte di merito del

Outline

Documenti correlati