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Terzo Capitolo

R EGNO U NITO

L’ambasciatore britannico Jebb compì un importante tour dell’AOF insieme al Ministro francese Max Le Jeune, che prevedeva una lunga visita del Soudan ma che venne ridimensionata a causa di problemi tecnici che come abbiamo visto non erano infrequenti in quel periodo in Africa. In particolar modo, il governatore del Soudan, Gipoulon, accolse in modo piuttosto negativo questa notizia, poiché riteneva che questo tipo di incontri potevano essere interessanti per lo sviluppo economico del territorio che governava. Nonostante ciò, l’ambasciatore ebbe modo di incontrare le personalità francesi politiche più importanti, soprattutto l’Alto Commissario Gaston Cusin226. Queste visite e incontri al riguardo del futuro dei territori coloniali sul finire degli anni ’50 si intensificarono, coinvolgendo sempre maggiori interlocutori per cercare finalmente di scrivere una road map comune sul futuro dell’Africa. Nel febbraio del 1957 si cercò di organizzare un incontro a quattro tra Francia, Gran Bretagna, Portogallo e Belgio. La principale novità riguardava il coinvolgimento dei portoghesi a questi tavoli istituzionali, poiché per quanto riguardava gli altri tre Stati vi erano già state in passato delle iniziative simili. L’obiettivo era quello di creare delle occasioni periodiche nelle quali scambiarsi informazioni e pareri, in modo più informale rispetto a quanto accadeva già in sede ONU. Si decise dunque di prevedere un programma di incontri che avrebbero preso il via già in quell’anno, con l’incontro tra francesi e britannici ed in seguito sarebbero stati coinvolti anche Belgio e Portogallo. L’inserimento di quest’ultimo Paese nelle discussioni, doveva prima prevedere che gli altri tre attori fossero d’accordo, per evitare di inficiare il lavoro

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Alcuni di questi sostenitori arrivarono ad inneggiare ad azioni di violenza nei confronti di alcune minoranze presenti in Africa occidentale, tra cui una comunità di libano-siriani. Il rischio era quello che si scatenasse un vero e proprio sentimento xenofobo nei confronti dei bianchi presenti in tutti i territori, la serietà dei delegati non venne minimamente intaccata da questi atteggiamenti.

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svolto fino ad allora. In realtà i britannici, nonostante avessero informato i francesi ed i belgi solamente in quel periodo, avevano in realtà intavolato dei rapporti diplomatici con Lisbona già da tempo, nel tentativo di coinvolgerli maggiormente sulle questioni coloniali. La positività sia del dialogo con il Portogallo, sia la benevola accettazione da parte di Parigi e di Bruxelles, aveva fatto si che i britannici aprissero a delle discussioni quadripartite. Il dialogo doveva avere come obiettivo principale lo scambio di informazioni riguardo ai territori dipendenti in Africa. Dietro questo fine che potremmo definire prudente, si nascondeva la volontà di discutere su temi molto importanti, che andavano dall’indipendenza alla questione dei costi legati alla gestione amministrativa dei territori. Gli incontri sarebbero avvenuti solamente alla fine di quell’anno, ma era necessario che prima di quel periodo venissero affrontate tutta una serie di questioni che prevedevano incontri diplomatici molto frequenti. Quello che bisognava preservare, a detta dei britannici, era la speciale relazione che intercorreva tra Parigi e Londra che non poteva in alcun modo essere depauperata da quella quadripartitica, così come non lo era stato da quella tripartitica in passato. L’interesse britannico era quello di far si che l’agenda potesse spaziare su temi più vasti rispetto al mero scambio di informazioni, seppur fossero al corrente del fatto che in via ufficiale i francesi, così come anche i belgi ed i portoghesi, non erano disposti a mostrare le loro vere intenzioni, almeno non nella sua completezza. Proprio per questo motivo, si dava grande importanza all’opportunità di discutere dell’agenda negli incontri informali che precedevano le conferenze ufficiali227

. La posizione francese apparve fin da subito positiva, l’approccio diplomatico britannico aveva fatto si che la questione si sviluppasse in modo consapevole e le attese al riguardo di questa nuova alleanza quadripartita fossero notevoli228. Nonostante ciò, i francesi volevano che le cose venissero portate avanti in modo prudente per evitare che portoghesi e belgi potessero in qualche modo far naufragare il dialogo a causa della mancanza di accuratezza durante la scrittura dell’agenda. In realtà erano due i punti che vennero

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Oldham A.T., Despatch N°62, 29 novembre 1957, in British National Archives London, FO371/125642

227 Marnham J. E., 12 febbraio 1957, IRD 154, in British National Archives London, FO371/125312 228

Maxwell W.N.R., 15 marzo 1957, British Embassy, in British National Archives London, FO371/125312

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sollevati subito dai francesi e dai quali essi attendevano una risposta da parte di Londra. Il primo, riguardava la possibilità, che secondo i francesi era una vera e propria necessità, di affrontare qualsiasi tema inserito in agenda prima in un colloquio bilaterale e solo in seguito affrontarli con gli altri due alleati. Su questo punto, come abbiamo visto in precedenza, Londra accettò senza problemi dato che vi era la forte volontà di preservare il dialogo con un partner così strategico. Il secondo punto aveva a che fare con il livello della rappresentanza da parte dei britannici, in altre parole Parigi si aspettava che in questi incontri i Paesi venissero rappresentanti da alte cariche dello Stato, sia per dare un valore più importante a questi incontri e sia per far si che le persone presenti avessero un vero e proprio potere decisionale229. Su questo secondo punto, emersero delle minime difficoltà, poiché Londra era fortemente interessata a questo dialogo, fermo restando il fatto che, prima di assumere qualsiasi decisione riguardo temi così delicati, sarebbe servito del tempo.

La questione del dialogo a quattro sull’Africa era stata affrontata già nel 1955, grazie alla volontà di Lord Reading che aveva accolto l’invito presentatogli da Paolo Cunha, ministro portoghese degli Affari Esteri. L’idea di partenza era quella di sviluppare un discorso che andava nella direzione di una mutua collaborazione e consultazione al riguardo dei temi e dei problemi che interessavano l’Africa. I portoghesi erano principalmente interessati a discutere su temi di strategia geopolitica, in particolar modo di come affrontare il problema della crescente influenza dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti sui territori africani. Gli ideatori di questa iniziativa credevano che questo tipo di incontri fosse più che mai necessario, dato che in sede ONU era difficile affrontare questi temi poiché il quadro era eccessivamente complesso e la maggior parte degli incontri avevano un mero valore consultativo. Su questo tema, come abbiamo visto, anche gli altri interlocutori si trovarono subito d’accordo. Inoltre, in una sede di questo tipo era difficile affrontare alcuni temi senza che questi diventassero di pubblico dominio, fatto che determinava una certa prudenza e l’impossibilità di affrontarli

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approfonditamente230. Uno dei temi che era difficile inserire nelle agende ONU era l’atteggiamento nei confronti della stampa locale, un discorso che riguardava in modo particolare i francesi e soprattutto un periodico chiamato ‘Les Echos de l’Afrique Noire’. Questo giornale, la cui diffusione era vietata dalle autorità francesi, era comunque reperibile nei più grandi centri ed in qualche modo quindi tollerata. Il divieto di stampa, venne presto superato dagli editori grazie ad un piccolo e banale espediente, in altre parole il periodico non veniva stampato all’interno dell’AOF ma bensì a Casablanca e poi da lì distribuito. In linea teorica, il divieto di pubblicazione nasceva dal fatto che l’amministrazione francese ritenesse che questo periodico incitasse all’antagonismo razziale231. In realtà il periodico non incitava all’antagonismo razziale, bensì lasciava spazio a delle voci critiche rispetto a quanto veniva posto in essere dall’amministrazione francese, seppur mantenendo sempre un taglio giornalistico che non era mai di aperta critica e vero proprio antagonismo contro la madrepatria, tantomeno contro la popolazione europea232. D’altronde era evidente come una limitazione della libertà di stampa di questo tipo fosse un gesto politico spropositato rispetto a quanto realmente il periodico ledesse l’autorità francese233. Dal punto di vista dell’informazione giornalistica, in quel periodo cresceva l’interesse dell’opinione pubblica mondiale rispetto alle questioni africane, se è vero che fino al 1957 a Dakar era presente un solo corrispondente per l’agenzia France-Press che si occupasse di tutta la regione, la situazione stava decisamente cambiando234. Proprio nel 1957, l’agenzia internazionale Reuters decise di inviare un suo giornalista, Michel Lambinet, in Africa Occidentale per occuparsi della

FO371/125312

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Aide Memoire, Confidential – British Embassy, Ottobre 1957, in British National Archives London, FO371/125312

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La tiratura media di un numero de ‘Les Echos de l’Afrique Noire’ si aggirava intorno alle diecimila copie, distribuite in modo piuttosto capillare.

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Oldham A.T., Despatch N°48, Dakar, 9 febbraio 1957, in British National Archives London, FO371/125668

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Erano molti quelli convinti che non fosse necessario applicare la censura verso un periodico come ‘Les Echos’, tra i quali possiamo citare Virginia Vernon, corrispondente francese per il periodico britannico ‘West Africa’, convinta del fatto che non ci fosse alcun reale rischio legato alla diffusione di quotidiani di questo tipo in Africa Occidentale.

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Non si trattava di casi isolati, infatti nell’ottobre del 1957 venne vietata la vendita e la distribuzione del libro belga ‘Routes de Paix’.

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cronaca di un’area che stava diventando sempre più interessante, soprattutto dal punto di vista politico. Colpisce il fatto che in questo frangente, l’invio di Lambinet nel continente africano fosse stato non solo accettato ma bensì voluto sia dal Gran Consiglio dell’AOF ma anche dai ministri dell’informazione dei vari territori235. D’altro canto, Houphouet-

Boigny, in veste di presidente del Gran Consiglio dell’AOF, nonché parte del governo francese, volle espressamente incontrare il direttore dell’agenzia di stampa, al fine di conoscere le intenzioni del giornalista e le sue posizioni al riguardo della politica africana236. Dunque, se per quanto riguardava la stampa africana vi era un’opposizione da parte francese, per la stampa francese vi era una conseguente resistenza da parte africana. Da parte britannica, vi era il forte auspicio che questa eventualità si concretizzasse poiché sarebbe stato possibile sfruttare, a loro vantaggio, la presenza di un giornalista che faceva parte di un’agenzia indipendente e soprattutto non francese. Seppur era evidente che ogni eventuale incontro di questo tipo andava sempre prima valutato dal punto di vista diplomatico, in modo tale da preservare sempre i rapporti con Parigi237. Un ulteriore elemento di interesse, fu il fatto che la collaborazione tra Lambinet e l’agenzia giornalistica Reuters non andò in porto, non già a causa della diffidenza mostrata dai politici africani, ma bensì a causa della ritrosia mostrata dallo stesso giornalista. Non bastò dunque il favore del Foreign Office britannico e delle istituzioni franco-africane per far si che questo progetto si concretizzasse; la stessa agenzia in realtà sollevò dei dubbi sulla preparazione e conoscenza della realtà africana da parte di Lambinet238. Dunque il naufragio di questo progetto che stimolò così tanto le attività dei funzionari britannici e francesi, lo si deve principalmente al passo indietro dell’agenzia e alla riluttanza dello

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Consulate General, Despatch 323, Dakar, 26 luglio 1957, in British National Archives London, FO371/125668

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Lambinet aveva già lavorato come corrispondente in Africa, precisamente in Marocco, prima di accettare l’incarico per la Reuters, seppur il suo precedente incarico non era in veste di cronista per un quotidiano, bensì come free-lance.

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Consulate General, Letter 323/57, Dakar, 31 luglio 1957, in British National Archives London, FO371/125668

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Press Section, Despatch 1671, 29 agosto 1957, Paris, in British National Archives London, FO371/125668

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stesso giornalista239. Il fatto più curioso fu che, poche settimane dopo, Lambinet divenne parte del team dell’ufficio stampa del Gran Consiglio, questo fatto scatenò importanti reazioni. L’agenzia cercò di diffidare di un giornalista che sarebbe stato effettivamente troppo vicino al potere francese, quindi poco indipendente e inadatto a ricoprire questo ruolo in un’agenzia che doveva essere indipendente. D’altro canto i politici africani furono sorpresi del fatto che le amministrazioni francesi e britanniche fossero in così buoni rapporti, nonostante le differenze legate alla gestione dei reciproci territori d’oltremare. Insomma, i politici africani diventavano sempre più sospettosi al riguardo di questa crescente relazione tra Londra e Parigi, forse perché non pensavano che i due Paesi potessero scambiarsi informazioni riguardo la gestione dei territori d’oltre-mare240. In particolar modo poiché i politici africani nei territori francesi guardavano sempre ai territori britannici come all’emblema del buon governo, in altre parole il self-government inglese era un obiettivo da perseguire anche nei territori francesi. Dopo l’affare Lambinet, il Foreign Office britannico decise di muoversi con maggiore cautela riguardo la gestione di questo tipo di questioni, soprattutto dal momento in cui queste potevano presto divenire di pubblico dominio.

Nell’aprile del 1957, una delegazione di parlamentari europei, tra cui anche alcuni onorevoli italiani, compirono un viaggio in veste di membri del Comitato Europeo dell’Informazione che interessò numero territori dell’AOF. A Dakar vennero accolti dal sindaco della città, Lamine Gueye, membro del SFIO. Questo incontro, che venne affiancato con quello del Alto Commissario, servì per rilanciare con maggiore forza la volontà dei politici africani di unire il proprio destino a quello dei Paesi della nascente comunità economica europea. Il dibattito politico riguardava principalmente tre ostacoli: il primo, riguardava la stabilità dei prezzi dei prodotti agricoli; il secondo, la garanzia di mantenere un certo standard quantitativo di produzione; il terzo ed ultimo punto, la volontà di tutelare le aziende locali già esistenti nei territori d’oltremare. Erano molti

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King Harold, Letter all’ambasciata Britannica a Parigi, 21 agosto 1957, Londra, in British National Archives London, FO371/125668

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quelli che pensavano che le resistenze africane, una minoranza, sarebbero state superate vista la forte volontà francese di portare avanti questo progetto241. L’Alto Commissario, Cusin, fece un importante discorso riguardo le capacità dei territori africani di contribuire alla crescita economica dell’Europa, grazie al fatto che questa iniziativa avrebbe contribuito ad un importante miglioramento tecnologico nei principali settori produttivi. La delegazione mise subito in chiaro il fatto che da parte europea vi era la completa fiducia rispetto al fatto che questa idea si tramutasse presto in qualcosa di concreto242. Il porto di Dakar sarebbe stato il punto nodale degli scambi commerciali con il mercato europeo, ma la produzione avrebbe riguardato tutti i territori, compreso il Soudan, noto alla delegazione di parlamentari europei per le sue capacità di produzione agricola. Fu interessante capire quali fossero le posizioni dei politici africani rispetto a questo tipo di cooperazione, Senghor fu sicuramente uno di quelli che si oppose con maggiore fermezza, interpretando l’ostilità di tutto il suo partito, il BPS. Il leader senegalese auspicava che gli altri leader africani si sarebbero uniformati alla sua posizione, contando sul fatto che lui poteva fare affidamento su almeno 47 voti dei 60 a disposizione della delegazione senegalese. Il suo unico oppositore, sulla scena politica senegalese era Lamine Gueye, che infatti aveva accolto la delegazione dei parlamentari europei, ma che poteva contare su soli 12 voti. La posizione degli altri leader, compresi quelli del Soudan non fu mai chiara, spesso era mutabile e dunque lo stesso Alto Commissario Cusin era dubbioso al riguardo di portare avanti un progetto che scatenava una tale ostilità. Si convinse dunque del fatto che fosse possibile fare dei passi avanti in tal senso solamente

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Consulate General, 19 settembre 1957, Dakar-Press Section, in British National Archives London, FO371/125668

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Tra cui possiamo citare il diplomatico olandese Van Der Goes Van Naters, deputato olandese, nonché leader della delegazione, primo sostenitore di questo progetto. Era convinto che le posizioni francesi erano tali da non poter essere influenzate dal parere di una parte minoritaria della classe politica africana.

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Dal punto di vista economico, la comprovata presenza di metalli necessari per la produzione di acciaio, rendeva questo tipo di alleanza particolarmente importante, vista la crescente richiesta di questo tipo di materie prime da parte del mercato europeo. La Mauritania era il territorio dove vi era la maggior concentrazione di questo tipo di giacimenti, ma era diffusa la convinzione che anche gli altri territori presentassero le stesse possibilità. Dei paesi Europei, la Germania sembrava quello più interessato a questo tipo di potenzialità, compiendo studi di fattibilità.

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se ci fosse stato un palese e forte supporto da parte della popolazione243. Acquisiva una particolare rilevanza la ricerca di giacimenti di materiali preziosi in alcuni territori, tra cui il Soudan. La ricerca della bauxite scatenava una serie di interessi e una sorta di braccio di ferro tra amministrazione francese e politici africani riguardo chi dovesse assumersi l’impegno di mediare con le aziende private244

. Visti alcuni elementi incoraggianti, una società privata tedesca, era interessata a passare il prima possibile alla seconda fase, dove si sarebbe potuto capire quale fosse l’entità di questi giacimenti245, dunque l’amministrazione francese era concentrata a facilitare questo tipo di attività. D’altro canto, la classe politica africana voleva cercare di capire chi avrebbe tratto il maggior giovamento da questa situazione, soprattutto sul piano finanziario.

Questo era il clima che avrebbe portato ai fatti del 1958, in particolar modo al referendum che sancì una netta cesura nella storia dei rapporti tra Francia e territori d’Oltremare. Per la prima volta, Parigi sembrava disposta ad accettare il fatto che il suo legame con l’Africa potesse cambiare, arrivando addirittura alla possibilità, ancora in un certo senso remota, di essere definitivamente spezzato. Come abbiamo visto, i leader africani, almeno quelli che agivano sulla scena politica del Soudan e più in generale quelli che afferivano all’RDA, non ritenevano che questa fosse la strada giusta da percorrere. Nonostante ciò, il sentimento di quasi completa insoddisfazione da parte dei politici africani nei confronti delle modifiche introdotte dalla loi-cadre avrebbe avuto delle importanti ripercussioni. Il

Rassemblement, come abbiamo visto, attraversava uno dei momenti più importanti dalla

sua fondazione, soprattutto dopo i successi alle urne del 1957 ed il congresso che si era tenuto a Bamako nello stesso anno. Nonostante ciò, l’Union Soudanaise ed il suo nuovo leader, Modibo Keita, si allontanavano lentamente dalle posizioni e dalle idee di Houphouet-Boigny per trovarsi sempre più vicini a Senghor e ai politici senegalesi.

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Consulate General, 19 aprile 1957, African Department, Foreign Office, London, in British National Archives London, FO371/125665

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In questo caso la società che si prese carico di questo tipo di ricerche, era la francese Péchiney, che già nel marzo del 1957 aveva portato avanti delle ricerche geologiche sul campo.

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Fayat H., Recherche de bauxite au Soudan, 29 ottobre 1957, in Archives du Ministère des Affaires étrangères du Royaume de Belgique Bruxelles, AF-71956/1957

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Questa tendenza si rafforzerà nel periodo storico immediatamente precedente all’ottenimento dell’indipendenza. Una delle questioni che divise maggiormente i politici del movimento fu proprio la dicotomia tra esecutivo federale e comunità franco-africana, con due visioni diametralmente opposte sul futuro dell’AOF. Come abbiamo ripetuto più volte, l’RDA aveva fatto convivere a lungo visioni politiche diverse, nonostante ciò su un tema così delicato il rischio di scissioni si faceva sempre più elevato. Di fatti, il congresso del 1957 sancisce la fine del periodo di grande unità del movimento politico africano e l’inizio di una fase dove le sezioni locali assunsero un valore sempre maggiore, spesso discostandosi dalla linea tracciata da Houphouet-Boigny. L’influenza dei sindacati e delle associazioni studentesche cominciava a fare breccia nel pensiero politico dei leader meno moderati e le difficoltà di stabilità politica interna che incontravano i governi francesi, non faceva che esacerbare una situazione sempre più difficile da districare. Il referendum

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