Durante un discorso tenutosi a Dakar nel marzo del 1954, l’allora ministro della Francia d’Oltremare Louis Jacquinot, spiegò quali sarebbero stati i progetti riguardo l’economia dei territori africani. Dakar, centro dell’Africa Occidentale Francese, era il luogo ideale per ribadire l’impegno francese e il fatto che la fedeltà del Senegal avesse permesso di sviluppare i precedenti piani economici. Il Soudan non soffrì la centralità di Dakar nelle strategie francesi, poiché se è vero che le intenzioni erano quelle di puntare sull’agricoltura, in questo il territorio sembrava fornire delle ottime potenzialità. Esistevano dunque le giuste premesse per poter dare il via ad un nuovo progetto riguardo l’economia dei territori coloniali. Secondo Jacquinot era importante limitare le importazioni agricole che provenivano da altri Paesi, in modo tale da tutelare il prodotto locale e favorire il miglioramento di quest’ultimo e l’aumento della produzione. Questo era ovviamente favorito dalla mancanza di misure doganali tra la Francia metropolitana e l’A.O.F., in un quadro di armonizzazione e competitività dei prezzi dei prodotti, soprattutto l’arachide per quanto riguarda il Senegal. Il punto fondamentale secondo il
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ministro era l’abbassamento del prezzo del prodotto che si poteva ottenere con un aumento della produzione agricola senza però peggiorarne la qualità. Ciò che nel passato aveva funzionato in Senegal, poteva essere riproposto anche in Mauritania in modo tale da permettere il raggiungimento di precisi obiettivi fissati dal governo francese. Durante questo discorso non mancò certo un riferimento alla gestione amministrativa dei territori, in particolar modo si spiegava come erano giunte richieste da parte dei rappresentanti del Senegal rispetto alla creazione di nuovi comuni. Jacquinot a tal proposito, riteneva che tutte le politiche di decentramento comportassero grandi rischi. Questo incontro fu anche l’occasione per il Ministro di ribadire il proprio impegno a far si che il miglioramento dell’economia del Senegal, così come di tutta l’Africa Occidentale, non venisse interrotto109. Sugli organi di stampa la notizia ebbe molto risalto, soprattutto riguardo ai richiami fatti dal Ministro nei confronti dello spirito di solidarietà economica che doveva essere rinforzato; inoltre era necessario incentivare delle politiche di integrazione economica tra territori d’oltre mare e madrepatria. In particolar modo riguardo al fatto che vi fosse una differenza sostanziale, causata dalle tariffe doganali, tra i prezzi dei prodotti agricoli in Africa e in Francia. Venne preso l’impegno per far si che venisse rivisto il sistema doganale e tutti i prodotti provenienti dall’Unione Francese non avessero dazi. Per quanto riguarda l’industrializzazione dell’Africa Occidentale, tema molto importante più sul piano politico che su quello economico, Jacquinot tranquillizzò i leader africani ribadendo l’intenzione di espandere la produzione industriale però avendo come primo obiettivo la redditività. Abbassando il costo della produzione, ciò è possibile e questa condizione non limitava gli investimenti, questo fu il pensiero del Ministro della Francia d’Oltremare. Secondo Poulon, il suo obiettivo primario non era quello di arricchire la popolazione africana, ma piuttosto quello di fondare un’economia capace di diventare la base di una civilizzazione nella quale i valori intellettuali e morali fossero la priorità110.
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Jacquinot, Discours de Saint Louis, in ANOM, AGEFOM/896
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J. Poulon, Industrialiser l’Afrique avec le souci de la rentabilité, Climats : Organe de l’Union des Peuples Associés, 13 Mars 1954
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Un altro aspetto importante sul quale gli esperti e politici francesi furono per lungo tempo divisi, riguardava l’industrializzazione dell’Africa occidentale Francese. Molte volte il discorso veniva affrontato in maniera ancor più generale, coinvolgendo quindi anche esperti inglesi, riguardo l’Africa sub-sahariana, partendo dal presupposto che gli stessi dubbi non vi erano per quanto riguardava il Nord Africa. È necessario sottolineare come fosse ampiamente riconosciuto il fatto che per puntare ad un’industrializzazione vera e propria doveva necessariamente esserci l’accordo tra investitore pubblico ed investitori privati. Una delle argomentazioni portate da chi in quel periodo si opponeva all’industrializzazione, riguardava l’aspetto demografico, cioè il rischio che l’industrializzazione avrebbe reso ancora più spopolate le campagna e sovrappopolato i centri urbani. In realtà, dati alla mano, questo fenomeno era già in atto ancor prima che si parlasse di questa evenienza, infatti la città di Bamako passò da 22mila abitanti nel 1936 ai 59mila nel 1948. Dunque, l’industrializzazione avrebbe potuto solamente accentuare un fenomeno che si stava già verificando, non generare qualcosa di nuovo. Chi sosteneva l’idea di industrializzare i territori d’oltre-mare africani, riteneva che l’unico settore che poteva rendere fruttiferi e economicamente sostenibili gli investimenti pubblici nelle infrastrutture, era quello industriale, poiché quello agricolo avrebbe potuto sostenere solo in minima parte questi costi. Sul tema, uno dei più grandi esperti era Erik Labonne, da sempre convinto della necessità di portare avanti un’industrializzazione su larga scala. Un altro tema sul quale politici ed esperti furono divisi fin da subito, aveva a che fare con la concorrenza che le industrie d’oltre-mare avrebbero creato a quelle della madrepatria. I sostenitori dell’industrializzazione erano certi che, nel momento in cui anche l’Africa occidentale avrebbe avuto le sue fabbriche, si sarebbe creato un mercato formato da un numero maggiore di consumatori. Inoltre, le aziende africane avrebbero potuto richiedere l’importazione di alcune materie dalla madrepatria, necessarie per la produzione in loco. Ciò che realmente preoccupava sia i sostenitori che i detrattori di questa politica economica, era l’interesse privato che si sarebbe generato. Infatti, in quel momento le attività delle aziende francesi al di fuori dell’area metropolitana erano quasi inesistenti, il rischio che lo sforzo dello Stato non si tramutasse in qualcosa di realmente concreto era
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alto. Soprattutto un interesse privato che avesse a che fare con l’industria, perché in realtà nei territori d’oltre-mare erano numerose le iniziative private, soprattutto nel settore delle costruzioni e del commercio, ma poche quelle a vocazione industriale111.