Jézéquel, spiega in modo puntuale il ruolo avuto dagli insegnanti nella politica africana durante la decolonizzazione dell’Africa francese. Infatti, nelle file del RDA, gli insegnanti rappresentavano una componente molto importante e, sicuramente, una delle più attive; inoltre come abbiamo già accennato, questi politici hanno perseguito i loro studi nel medesimo ambiente scolastico, vale a dire l’istituto William Ponty di Dakar. Questo fattore, tutt’altro che trascurabile, ha fatto si che questi leader fossero portatori di tutta una serie di ideali e principi in qualche modo comuni, ovviamente con le dovute differenze. Infatti, sono numerosi gli indizi che comunque ci fanno capire come la visione politica e sociale dei componenti di quest’elite non fosse realmente così unitaria. Jézéquel spiega che, nonostante vi sia una certa tendenza in dottrina a ritenere che esponenti politici formatisi all’interno del medesimo ambiente scolastico possano avere una visione politica in qualche modo vicina, in questo caso le differenze possono anche essere maggiori dei punti in comune. Lui ritiene che ciò trovi una logica motivazione nel fatto che, se è vero che questi abbiano studiato nell’ Istituto William Ponty, è allo stesso tempo noto che la loro provenienza sociale, e anche geografica, era fortemente variegata. Per quanto riguarda la provenienza sociale, tale discorso non vale per tutti i territori dell’Africa Occidentale, tranne per Senegal e Dahomey dove invece si riscontra una certa predominanza di una determinata provenienza sociale, nella fattispecie legata al commercio. Per quanto riguarda il Soudan, vi è una certa diversità di ambienti sociali, seppur si può notare una leggera predominanza del settore agricolo, come vedremo il Soudan era un territorio nel quale l’agricoltura ha avuto da sempre una particolare rilevanza. La vita all’interno dell’Istituto, che Jézéquel definisce come semimonacale, ha
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Schachter-Morgenthau R., Political Parties in French Speaking West Africa, 1964, London, Oxford University Press
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sicuramente comportato la creazione di un forte senso di appartenenza, oltre ovviamente alla comunanza degli insegnamenti impartiti. Dunque gli studenti dell’istituto Ponty, rappresentano di per sé un’elite, formatasi con l’obiettivo ben preciso di affiancare gli europei nella gestione amministrativa, e non solo. È al tempo stesso vero che, una volta che gli studenti ottenevano il titolo, trovavano occupazione nelle parti più disparate dell’AOF, quindi spesso non rimanevano a Dakar o in qualche altro centro. Dunque, se è vero che questo gruppo poteva anche ricevere una formazione comune e vivere a lungo a stretto contatto gli uni con gli altri, puntualmente si disgregava una volta che gli studi fossero conclusi. Questo accadeva soprattutto poiché molti, ai quali non veniva offerta la possibilità di lavorare nel settore amministrativo, erano costretti ad intraprendere la carriera di insegnanti e dovevano quindi raggiungere aree isolate, soprattutto agli inizi della loro carriere, come ad esempio il caso di Djime Diallo che prestò servizio come docente nel villaggio di Kita, nella parte meridionale dell’attuale Mali. In alcuni casi l’impiego che trovavano generava dunque del malcontento, poiché erano consci del fatto di appartenere ad un gruppo ristretto di privilegiati che avevano avuto l’opportunità di formarsi nella più prestigiosa scuola dell’Africa Occidentale. Le loro aspirazioni non venivano minimamente soddisfatte, soprattutto perché non riuscivano ad entrare a far parte dell’amministrazione coloniale, uno degli sbocchi lavorativi per cui le famiglie avevano avviati i loro figli a completare i loro studi. Inoltre, gli insegnanti si trovavano a contatto con un ambiente che non pensavano di dover più incontrare, cioè quello rurale, ancora incapace di riconoscere loro la posizione ed il ruolo a cui loro aspiravano e che volevano gli venisse riconosciuto55. Nonostante appartengano ad una cerchia ristretta, ciò che realmente erano gli insegnanti in quel periodo, si trovavano distanti dal vertice dell’amministrazione coloniale ed agli occhi delle popolazioni africane, soprattutto quelle che abitavano nelle aree più isolate, questi venivano visti come un’emanazione del potere coloniale e quindi non sempre venivano accolti positivamente. Molti avevano scelto questo percorso lavorativo, seguendo l’esempio di Lamine Gueye, che era diventato
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Jézéquel, J., Teachers as a political elite in French West Africa, Cahiers d’Etudes Africaines,pp. 519-543 EHESS, 2005
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professore, poi avvocato ed infine deputato del Senegal. Questo sembrava essere un cursus honorum che permetteva di scalare la piramide sociale, in realtà per molti di questi fu proprio così. Per quanto riguardo il Soudan, un percorso simile fu quello di Simbo Keita e Djigui Diallo, che se è vero non erano diventati deputati, erano comunque riusciti a diventare amministratori locali, a scalare dunque i vari gradini di cui era composta l’amministrazione coloniale. Nonostante ciò, Jézéquel, in fin dei conti, ritiene che gli insegnanti non rappresentavano, almeno nel periodo precedente alla fine della seconda guerra mondiale, un vero e proprio gruppo unico. Questo è comprovato dal fatto che questi creeranno più gruppi politici e solamente in un secondo momento, con la creazione del RDA e dell’Union Soudanaise, ci sarà finalmente un certo avvicinamento politico, che riavvicinò ex compagni di studi che avevano percorso strade diverse per poi ritrovarsi. Dal suo punto di vista questo è uno dei motivi per il quale, l’elite politica africana nel 1945 non era ancora pronta a portare avanti una vera lotta per l’indipendenza, solamente in un secondo momento si sarebbero create le condizioni necessarie per far si che ciò accadesse56.
Oltre al ruolo svolto dagli istituti scolastici e dagli insegnanti, anche le organizzazioni sindacali hanno ricoperto un ruolo di incubatore di idee ed una scuola per molti aspiranti politici. Philippe Dewitte57 analizza l’importanza dei sindacati in Africa occidentale francese nel secondo dopo guerra, in particolar modo l’influenza di questi sulle decisioni dei partiti africani. In primo luogo, bisogna dire che a lungo tempo i partiti, soprattutto quelli francesi, non si sono fatti promotori di alcuna reale istanza di decolonizzazione, infatti lo stesso PCF, dunque uno dei partiti più radicali, chiedeva semplicemente che venissero portate avanti delle riforme in materia di autonomia. D’altro canto, per andare a rintracciare delle posizioni ancora più radicali, ed al tempo stesso più coraggiose, rispetto a quelle del partito comunista francese, bisogna volgere lo sguardo verso la CGT, il sindacato dei lavoratori, anche questo basava i propri principi sulle idee del pensiero comunista. Nonostante ciò, ancora negli anni ’40, l’atteggiamento di alcuni segretari
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sindacali francesi erano ancora legate a principi razzisti e di superiorità, Dewitte cita la risposta di Léon Jouhaux a Sékou Touré, nella quale si può rintracciare proprio questo spirito di superiorità dissimulato da orgoglio nazionale. Quello di Jouhaux non era di certo un caso isolato, poiché non era ancora comune l’idea di presenza coloniale come oppressione, concetto che invece sarà largamente diffuso nel corso degli anni ’50. Infatti, le timide posizioni del primo dopoguerra presto mutarono, anche a causa dei primi scontri e dei disordini che provenivano proprio dai territori sotto il dominio coloniale. In AOF, così come in altre parti del mondo, l’attività sindacale e quella dei partiti iniziarono il loro percorso quasi contemporaneamente, quando iniziava la vita ‘democratica’ di questi territori. Inizialmente, i sindacati si svilupparono su basi razziali, l’elite di bianchi che lavoravano nei territori d’oltre-mare si organizzava per mantenere ed aumentare i propri privilegi, solamente in un secondo momento i lavoratori africani ebbero modo di lottare per il riconoscimenti dei propri diritti legati all’attività lavorativa che svolgevano. Infatti, i primi sindacati in AOF non furono altro che delle semplici sedi staccate delle grandi unioni francesi, radicate ormai anche in Africa per proteggere i diritti dei lavoratori francesi impegnati nell’amministrazione coloniale. Per questo motivo, la struttura organizzativa appariva centralizzata e fortemente gerarchica, la causa di ciò erano le scarse disponibilità finanziarie e di personale. In ogni caso, i sindacati africani, come già anticipato, saranno un’ottima scuola politica per molti politici africani, tra i quali spunta sicuramente la figura di Modibo Keita. La realtà dove si trovano ad operare questi sindacati era totalmente diversa rispetto a quella francese, di fatti il numero delle industrie era ancora sparuto, di conseguenza lo era anche il numero degli operai. Quello che permise la crescita dei sindacati fu la volontà di eliminare la disparità di trattamento salariale e previdenziale tra lavoratori francesi ed africani, motivazione che spinse i lavoratori a rafforzare la propria partecipazione sindacale. Proprio da questo presupposto, secondo Dewitte, si cominciò a sviluppare un pensiero critico nei confronti del potere coloniale, reo di permettere e di creare condizioni di iniquità ed ingiustizia sociale. D’altro canto, al CGT si offrì l’opportunità di essere una forza autonoma, distante dalle
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divisioni che rallentavano il cammino del RDA, perché poteva essere sia anticapitalista che anticoloniale, cosa che come vedremo alla fine di questo capitolo non poteva accadere nel Rassemblement. Questa opportunità non fu mai realmente colta, poiché anche il sindacato non era immune da questo tipo di divisioni, a differenza del RDA, che in un modo o in un altro riuscì a mantenere la propria unità, per il sindacato ciò non fu possibile. Questo avvenne poiché, una volta che la guerra fredda entrava nel suo periodo più caldo, si era costretti a scegliere in quale parte del campo giocare, l’ora delle scelte comportava grandi sacrifici. Nel medesimo periodo, la CGT chiedeva di evitare la costituzione di sindacati africani ed europei, facendo appello proprio all’unità e alla possibilità di raggiungere in maniera più rapida gli obiettivi prefissati. Tra questi obiettivi, uno dei primi fu sicuramente l’eliminazione del lavoro forzato, che aveva delle pesanti ripercussioni sia sul piano economico che su quello sociale. Prima del 1950, la CGT era il sindacato che contava il maggior numero degli iscritti, la maggior parte erano lavoratori del settore ferroviario, anche perché gli impiegati nel settore agricolo non si erano ancora organizzati dal punto di vista sindacale. In quell’anno in Soudan, la percentuale di lavoratori iscritti tra le file del sindacato si aggirava attorno al 28%, una percentuale leggermente maggiore rispetto alla media dei territori dell’AOF che si attestava al 26%. La campagna di scioperi che interessò tutta la regione negli ultimi mesi degli anni ’40 servì anche a diffondere in maniera più rapida quelle che erano le idee della lotta sindacale58. I sindacati, dunque, furono i primi ad opporsi al potere coloniale, dato che le condizioni di lavoro e la disparità di trattamento generarono un grande malcontento tra la popolazione. Il lavoro forzato, così come altre questioni, rappresentarono i primi obiettivi da eliminare e per far si che ciò potesse accadere, fu evidente che era necessario creare un’organizzazione ad hoc. I sindacati non furono solamente una scuola per i nuovi uomini politici africani, bensì un esempio di come agire per cercare di migliorare le condizioni di vita e di lavoro della popolazione. Le organizzazioni sindacali furono, per lungo tempo, una voce critica nei confronti del potere coloniale, ma non l’unica. Gli studenti, soprattutto quelli che per completare i
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propri studi si recavano nella madrepatria, iniziarono ad organizzarsi in associazioni, capaci di farsi veicolo di proteste.