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L’elettorato dello straniero al livello locale, tra esigenze di estensione della dimensione partecipativa e rischi d

PARTE PRIMA

4. L’elettorato dello straniero al livello locale, tra esigenze di estensione della dimensione partecipativa e rischi d

una parcellizzazione della partecipazione.

Come si è pure osservato, la giurisprudenza costituzionale sul riparto di materie tra Stato e Regioni restringe gli spazi d’intervento riservati alla legislazione regionale, limitandoli alla disciplina della partecipazione in senso lato. La materia dell’elettorato attivo e passivo stricto sensu rimane, invece, attratta nell’ambito della competenza statale – esclusiva o concorrente, a seconda della legge elettorale – delle elezioni statali, regionali e locali. Il che può del pari affermarsi con riguardo alla fonte statutaria comunale.

La questione della partecipazione politica della popolazione immigrata ha, del resto, ricevuto un’impennata, fin dagli anni 80348, proprio in ambito regionale e locale, soprattutto grazie alla

diffusione di istituti a carattere inclusivo come le consulte di

347 Cfr. G.FALCON, Alcune questioni a valle delle decisioni della Corte,

in Le Regioni, 1-2/2005, 34; L. PEGORARO-S. RAGONE, I diritti negli statuti

regionali: norme o principi?, in Il diritto della Regione, 3-4/2009, 198; S.

RAGONE, Gli statuti regionali tra contenuti necessari e contenuti eventuali (con

particolare riguardo alle problematiche della definizione della forma di governo e delle norme programmatiche), in E. ROSSI (a cura di), Le fonti del diritto nei

nuovi statuti regionali, Padova 2007, 96.

348 Cfr., da ultimo, C. SALAZAR, Leggi regionali sui “diritti degli

immigrati”, Corte costituzionale e “vertigine della lista”: considerazioni su alcune recenti questioni di costituzionalità proposte dal Governo in via principale, cit., 392 ss.

133 immigrati, i consiglieri aggiunti, i referendum consultivi, il diritto di petizione e di interrogazione, rivolti, talvolta, in modo espresso alla popolazione immigrata residente, talaltra, in modo indiretto ai residenti senza ulteriori specificazioni349.

Questa esperienza – è stato rilevato – si è, tuttavia, rivelata poco soddisfacente in termini di integrazione della popolazione residente. Ciò, forse, a causa di alcuni limiti connaturali, attinenti sia alla struttura che alle funzioni350. Sovente, i meccanismi di

scelta dei componenti non assicurano, difatti, una reale rappresentatività della comunità immigrata stanziata sul territorio, e, d’altra parte, la possibilità di incidere sull’indirizzo politico locale rimane comunque marginale, dal momento che si tratta di strumenti a carattere prevalentemente consultivo o d’impulso e, in ogni caso, circoscritti ai problemi inerenti il fenomeno migratorio. Ad esempio, i pareri delle Consulte, ove previste, incidono in modo assai modesto sulle decisioni degli organi di governo, così come altrettanto modesto è l’effetto prodotto dagli istituti di partecipazione diretta a carattere consultivo o propositivo, in quanto gli stessi consiglieri aggiunti, ove direttamente eletti, nella totalità dei casi sono privi del diritto di voto nelle assemblee.

Rifuggendo qui da un esame dettagliato delle diverse forme partecipative congegniate al livello locale351, sta di fatto che il

349 Cfr., per riferimenti normativi più dettagliati, V. FERRAIUOLO, Le

nuove politiche regionali in materia di partecipazione degli stranieri, cit., 7-9,

note 21-31.

350 Cfr. V. FERRAIUOLO, Le nuove politiche regionali in materia di

partecipazione degli stranieri, cit., 9 ss.

351 Per una panoramica degli organi di integrazione della popolazione

134 giudizio espresso dalla dottrina è stato in prevalenza negativo, tanto che, ad avviso di alcuni Autori, gli effetti sarebbero addirittura controproducenti352. Ricerche empiriche hanno, per

esempio, riscontrato un basso grado di radicamento e una scarsa influenza da parte delle Consulte di immigrati sulle politiche locali; i Consiglieri aggiunti hanno, invece, avuto migliore fortuna nei territori più limitati353. Le ragioni di questo insuccesso

andrebbero per lo più ricondotte ad alcune “prassi distorsive” riguardanti la designazione degli organi di rappresentanza; la decisione sostanziale sulle candidature sarebbe, difatti, rimessa a “sedi improprie, non conoscibili, secondo modalità insondabili”, tali da far venire meno “l’obiettivo di legittimazione- rappresentatività-integrazione, cui la previsione di questi istituti tende”354.

Meno catastrofica è la posizione di chi ha apprezzato l’idea di un approccio “graduale”, osservando comunque che tali strumenti partecipativi soft potrebbero rappresentare un

stranieri a livello locale, (a cura di ASGI-FIERI), Torino 2005; G. ZINCONE (a

cura di), Primo rapporto sulle politiche di integrazione degli immigrati in Italia, Bologna 2000; G. ZINCONE (a cura di), Secondo rapporto sulle politiche di

integrazione degli immigrati in Italia, Bologna 2001; C. MANTOVAN,

Immigrazione e cittadinanza, Milano 2007.

352 Cfr. S. STAIANO, Migrazioni e paradigmi della cittadinanza: alcune

questioni di metodo, cit., 23 ss.

353 Cfr. S. STAIANO, Migrazioni e paradigmi della cittadinanza: alcune

questioni di metodo, cit., 24, nota 82, che richiama a supporto per i dati il

Progetto Satchel, CE, Programma Socrates, Immigrati e partecipazione

politica. Il caso italiano, giugno 2003.

354 S. STAIANO, Migrazioni e paradigmi della cittadinanza: alcune

135 passaggio intermedio per il raggiungimento del diritto di voto, quale meta ultima del processo di integrazione vero e proprio355.

Resta, ad ogni modo, il fatto che simili strumenti partecipativi hanno vieppiù contribuito a dimidiare il legame tra la cittadinanza (formale) e la partecipazione politica, trasfigurando in modo considerevole l’essenza stessa della democrazia partecipativa; la qual cosa potrebbe magari presagire in un più o meno prossimo futuro successivi interventi più incisivi.

Quale che sia l’etichetta in grado di attrarre la materia della titolarità dell’elettorato, occorre, ad ogni modo, riflettere sul fatto che l’esigenza di una disciplina uniforme in tema di diritti fondamentali sconsiglia quanto meno un intervento costitutivo a livello regionale o locale. Come è stato opportunamente messo in rilievo, l’autonomia non è, difatti, un fine ma uno strumento, asservito alla tutela più intensa dei diritti fondamentali356. E,

sebbene quanto si dirà potrebbe apparire avventato senza il

355 Cfr. S. CECCANTI, Intervento al Convegno «Da immigrati a cittadini:

migliorare la partecipazione e costruire la rappresentanza», consultabile

all’indirizzo web www.nessunluogoelontano.it.

356 Cfr. A. RUGGERI, Summum ius summa iniuria, ovverosia quando

l’autonomia regionale non riesce a convertirsi in servizio per i diritti fondamentali (a margine di corte cost. n. 325 del 2011), in www.giurcost.org,

2011, il quale rileva che “l’autonomia (…) ha senso se e in quanto si converta, nelle sue plurime manifestazioni (specie, appunto, in quelle al piano della normazione), in servizio per i diritti fondamentali, concorrendo per la sua parte al loro massimo appagamento possibile, alle condizioni oggettive di contesto. È stata pensata proprio per questo, pur se non in questo soltanto essa si risolve e riduce; ed è proprio per ciò, dunque, che fa tutt’uno con la salvaguardia dei diritti: simul stabunt vel simul cadent”; amplius, ID., Regioni e diritti

fondamentali, in Giur. it., 6/2011, 1461 ss.; ID., L’autonomia regionale (profili

136 supporto di un’analisi di impatto ambientale, non è difficile immaginare quali pericoli, per le ragioni dell’eguaglianza, potrebbe implicare un’estensione dell’elettorato a macchia di leopardo, dal momento che, con ogni probabilità, la stessa popolazione immigrata non se ne gioverebbe affatto, potendosi solo ipotizzare un esponenziale incremento di fenomeni di ghettizzazione degli immigrati, che potrebbero, ove portati all’esasperazione, addirittura rievocare la nota esperienza, esecrabile, delle banlieu parigine.

5. Dai diritti di cittadinanza ai diritti di comunità: il

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