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Un tentativo di reinterpretazione evolutiva della Carta costituzionale: i diritti politici quali diritti di residenza

PARTE PRIMA

7. Un tentativo di reinterpretazione evolutiva della Carta costituzionale: i diritti politici quali diritti di residenza

Analizzando la riflessione teorica, si avverte la sensazione che la maggior parte delle tesi sostenute sia inficiata da una certa autoreferenzialità, in quanto, sostenere che la capacità elettorale attiva e passiva non possa essere estesa agli stranieri, poiché la sfera dei diritti politici caratterizza lo status activae civitatis, equivale ad obliterare il problema, con il rischio di incorrere in una “petizione di principio”245, essendo proprio questa presunta

peculiarità a costituire il “quod demonstrandum est”246, e non il

contrario.

Non si rinviene, difatti, al livello costituzionale una riserva di diritti politici in favore del cittadino: i riferimenti alla Nazione, pur presenti nella Carta – e comprensibili in una dimensione originalista, come si è detto –, convivono con disposizioni dal chiaro tenore inclusivo. La Carta, se la si interpreta

244 P. FALZEA, Evoluzione sociale ed evoluzione normativa nella società

complessa. Le riforme tra attuazione e cambiamenti della Costituzione, cit., 83-

84.

245 C. SALAZAR, Brevi note intorno all’«aspra contesa» tra governo ed

autonomie locali sull’estensione del diritto di voto e dell’elettorato passivo agli stranieri extracomunitari, cit., 154.

246 C. SALAZAR, Brevi note, cit., 154.; conf. M. CUNIBERTI, La

92 sistematicamente, presenta all’evidenza un’anima dichiaratamente inclusiva247, sicché si può escludere che questa

contenga autorotture rispetto all’eguaglianza nella dimensione dei diritti di partecipazione politica.

Troppo gracile appare, innanzitutto, l’argomento costituito dal dato letterale del testo, considerato che sovente la Corte lo ha superato ricorrendo ad operazioni interpretative di tipo estensivo248. Il che si è verificato, com’è noto, oltre che per il

principio d’eguaglianza in generale, con riguardo ad altri diritti di libertà politica, come quelli di associazione e di riunione; anche a voler tacere, poi, che l’art. 53 Cost. – dovere di solidarietà politica – presenta a sua volta una evidente aspirazione universalistica.

Una reinterpretazione degli artt. 48 e 51 Cost., alla luce del “diritto vivente costituzionale”249, può, pertanto, supportare una

interpretazione estensiva della lettera del testo, nella parte in cui si riferisce al cittadino. Sul punto si tornerà, e, tuttavia, giova anticipare che una simile lettura ha ricevuto l’avallo, oltre che di

247 Cfr. al riguardo A. RUGGERI, Note introduttive ad uno studio sui

diritti e i doveri costituzionali degli stranieri, cit., 16.

248 Insiste sull’esigenza di superare al riguardo il dato letterale del

testo, fra gli altri, R. ROMBOLI, Sulla legittimità costituzionale

dell’accompagnamento coattivo alla frontiera e del trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza e di assistenza, in R. BIN–G. BRUNELLI–A.

PUGIOTTO–P. VERONESI (a cura di), Stranieri tra i diritti. Trattenimento,

accompagnamento coattivo, riserva di giurisdizione, Torino 2001, 5 ss.; R.

ROMBOLI–A. RUGGERI, Garanzie costituzionali e espulsione dello straniero, in

Legisl. pen., 4/2002, 1012 ss.; tuttavia, ad avviso di A. PACE, Dai diritti

fondamentali del cittadino ai diritti dell’uomo, cit., 2, poiché la Costituzione

italiana possiede un significato più vincolante di quello, meramente di principio, contenuto in altre costituzioni, l’interprete non può “eludere il fatto che (…) la Parte prima della Costituzione recita «Diritti e doveri dei cittadini»”; ID.,Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in G. AZZARITI (a

cura di), Interpretazione costituzionale, Torino 2007, 83 ss.

93 una autorevole dottrina250, anche del Consiglio di Stato, che, in

sede consultiva – con i pareri resi sugli Statuti comunali di Genova e Forlì –, ha chiarito proprio che gli artt. 48 e 51 Cost. contengono un ambito di garanzia minimo per il cittadino, che non esclude affatto eventuali operazioni estensive.

Parimenti debole risulta il tentativo di ricercare nel diritto internazionale una riserva per il cittadino. Pur volendo tacere che l’indagine comparatistica e l’analisi di alcuni Trattati internazionali fanno emergere, a parere di chi scrive, l’esatto contrario251, la ricostruzione del sistema delle fonti restituita dalla

Corte dopo le arcinote sentenze gemelle nn. 348 e 349 del 2007 esclude, ad ogni modo, la prevalenza del diritto internazionale pattizio su tutte le fonti di rango costituzionale; il che vale tanto più allorché risulti implicato un principio supremo come l’eguaglianza252. Piuttosto, nel diritto eurounitario si riscontra

250 Cfr. M. LUCIANI, Cittadini e stranieri come titolari dei diritti

fondamentali. L’esperienza italiana, cit., 225 ss.; E. GROSSO,Straniero, cit., 175

ss.; B. CARAVITA DI TORITTO, I diritti politici dei “non cittadini”, cit., 14; C.

SALAZAR, Brevi note, cit., 161 ss.

251 Cfr. E. GROSSO, Cittadini per amore, cittadini per forza, cit., 505 ss. 252 È stato di recente rilevato da P. STANCATI, Lo statuto costituzionale

del non cittadino: le libertà civili. Relazione al convegno dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti “Lo statuto costituzionale del non cittadino”. Cagliari 16-17 ottobre 2009 (testo non definitivo), in www.astrid.it, 7-8, che

“l’art. 117, co. 1, Cost. “forza” (senza, ovviamente, scardinarlo) quel presupposto normativo che in Costituzione s’incentra sulla dicotomia “tutti”/”cittadino” (o, altrimenti detto, “uomo”/”cittadino”), nel senso che rappresenta una valida base formale al fine di consentire e legittimare una lettura che ben si potrebbe definire (…) di tipo ampliativo, la quale non sarebbe stato possibile esperire (…) anteriormente alla apparizione della disposizione (cioè in vigenza del solo art. 10, co. 2), (…) sicché si potrebbe affermare che la norma in parola può indurre una attenuazione significativa del conflitto tra l’assetto (…) cittadinocentrico della Costituzione e quello tendenzialmente universalista del diritto internazionale convenzionale.

94 una tendenza alla denazionalizzazione degli strumenti di partecipazione politica, dopo che le fonti derivate hanno esteso il diritto di voto in ambito locale e al Parlamento europeo ai cittadini comunitari nello Stato di residenza253. La qual cosa, se si

guarda al piano della teoria delle fonti, produce una serie di conseguenze assai importanti, dal momento che il diritto eurounitario è notoriamente destinato a produrre, a differenza delle norme di matrice internazionalista, una particolare efficacia conformativa delle norme costituzionali, stante la copertura dell’art. 11 Cost. E si tratta di un’efficacia che – come si avrà modo di chiarire nella seconda parte di questa ricerca – pare destinata ad incrementare la portata inclusiva delle norme costituzionali – anche nei confronti dei cittadini di paesi terzi –, soprattutto dopo Lisbona, stante la vocazione universalistica della Carta dei diritti dell’Unione europea, ora elevata al livello giuridico dei Trattati254.

Con particolare riguardo alla sfera di diritti politici, poi, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, le norme dei Trattati e il diritto derivato recidono formalmente il legame tra il diritto di voto e la cittadinanza nazionale, almeno con riguardo al livello locale; sicché, il criterio della residenza, come titolo fattuale,

253 Cfr. G. BERTI, Cittadinanza, cittadinanze e diritti fondamentali, cit.,

15.

254 Cfr. C. SALAZAR, A Lisbon Story: la Carta dei diritti fondamentali

dell’Unione europea da un tormentato passato… a un incerto presente? Relazione al Convegno su “I diritti sociali dopo Lisbona. Il ruolo delle Corti. Il caso italiano. Il diritto del lavoro fra riforme delle regole e vincoli di sistema”, in www.gruppodipisa.it, 2011, 19, la quale rileva come tutto ciò potrebbe

determinare, oltre che un accesso alle prestazioni di welfare a chi possiede la cittadinanza (europea) anche a prescindere dalla funzione economica assolta, che la Corte di giustizia possa “scollegare il riconoscimento dei diritti inviolabili dalla titolarità dello status di cittadino europeo”.

95 diverso e quasi autonomo dalla cittadinanza, si sovrappone alla cittadinanza legale nel campo della partecipazione politica255. La

cittadinanza europea non è, difatti, com’è noto, una cittadinanza nazionale, avendo essa carattere transnazionale e ruotando attorno all’elemento fattuale della residenza.

La Carta costituzionale, d’altra parte, sin dalle sue primissime disposizioni, presenta ambizioni inclusive proprio in tema di diritti di partecipazione politica. Come è stato autorevolmente osservato, il fondamento sul lavoro della democrazia, sancito dall’art. 1, comma 1, Cost. non vuole essere una espressione solamente riassuntiva e giustificatrice delle singole disposizioni contenute nella Carta sul lavoro, ma diviene un “criterio generale di interpretazione della Costituzione”256;

255 Cfr. G. BERTI, Cittadinanza, cit., 15, secondo il quale, tuttavia, al

contrario, l’idea tradizionale della cittadinanza riacquista un importante rilievo allorché si tratti della tutela del cittadino comunitario verso Paesi terzi, nei quali non sia rappresentato per via diplomatica lo Stato nel quale la persona ha la cittadinanza primaria; cfr., inoltre, E. GROSSO, Straniero, cit., 175, il quale

discorre al riguardo di un “contratto di residenza”. Come è stato rilevato, gli artt. 41 ss. della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, difatti, legano al presupposto della residenza tutti i diritti partecipazione politica: cfr. C. SALAZAR, I diritti sociali nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

europea: “un viaggio al termine della notte”?, in G. F. FERRARI (a cura di), I

diritti fondamentali dopo la Carta di Nizza. Il costituzionalismo dei diritti,

Milano 2001, 239 ss.; tuttavia, come rilevato da G. BASCHERINI,Immigrazione e

diritti fondamentali. L’esperienza italiana tra storia costituzionale e prospettive europee, Napoli 2007, 159-160, ad una frammentazione del contenuto della

cittadinanza si contrappone una “riconferma del problematico legame tra nazionalità e partecipazione: mentre infatti per i cittadini europei la cittadinanza “politica” si sgancia dalla nazionalità, per i cittadini dei paesi terzi tende invece a rafforzarsi in chiave escludente il vincolo tra appartenenza nazionale e partecipazione politica”.

256 Cfr. C. MORTATI, Art. 1, in G.BRANCA (a cura di) Commentario della

Costituzione, cit., 13; ID., Il lavoro nella Costituzione, in Dir. lav., 1954, 1/153

ss.; da ultimo, più in generale, cfr. anche M. OLIVETTI, Art, 1, in R. BIFULCO-A.

96 sicché, è alla luce di questa “super norma”257 che devono essere

interpretate tutte le altre disposizioni costituzionali, ivi comprese quelle sulla titolarità dell’elettorato. Vi è, in altri termini, un legame consustanziale fra il fondamento lavorista della democrazia e il principio d’eguaglianza, che si declina, quest’ultimo, nel concorso258 al progresso materiale e spirituale

della società259; tanto che lo stesso principio personalista, che

informa tutto l’ordinamento costituzionale, si completa proprio attraverso il riferimento al lavoro260.

Già nell’intento dei Costituenti, dunque, il lavoro caratterizza la democrazia e lo stesso concetto di cittadinanza: l’idea partorita dalla Costituzione è quella di una società dinamica, fatta di persone che concorrono al suo sviluppo, sicché, il cittadino italiano non è “solo un soggetto che iure sanguinis si vede attribuita tale qualità”, ma è innanzitutto una persona che partecipa alla vita pubblica, consapevole dei propri diritti e doveri politici261.

Il fine ultimo dell’eguaglianza sostanziale è, del resto, proprio quello di promuovere l’effettiva partecipazione di tutti i

257 C. MORTATI, Art. 1, cit., 2.

258 Cfr., da ultimo, C. PINELLI, “Lavoro” e “progresso” nella Costituzione,

in Giornale dir. lav. e relazioni ind., 3/2009, 417 ss.

259 Cfr. F. SORRENTINO, Eguaglianza, cit., 22, secondo il quale, peraltro,

non è necessario lo svolgimento di un lavoro fisico, essendo sufficiente anche quello di solidarietà.

260 Cfr. C. MORTATI, Art. 1, cit., 9.

261 Cfr. F. SORRENTINO, Eguaglianza, cit. 25, il quale richiama, inoltre,

un passaggio interessante della sent. 262 del 2009, “in cui lo svolgimento di un’attività o funzione volta a concorrere al progresso della società viene posta sullo stesso piano delle funzioni pubbliche di cui all’art. 54, anche di livello elevato come quella delle “alte cariche dello Stato”, considerate della legge Alfano le solo meritevoli di sospensione dei processi penali per assicurarne la serenità di svolgimento (22, nota 11).

97 “lavoratori” all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese; il lavoro è, pertanto, uno strumento di partecipazione politica, risolvendosi, non solo in un diritto sociale, ma anche in un mezzo di esercizio della sovranità e della partecipazione democratica262, caratterizzante la forma di Stato e la cittadinanza,

tanto che l’espressione lavoratore copre la medesima “escursione semantica”263 della parola “cittadino”264. Chi concorre al progresso

materiale e spirituale della società non può, in altri termini,

essere emarginato dalle decisioni politiche, poiché ogni affermazione contraria implicherebbe la negazione dell’essenza democratica della forma di Stato. Si noti, peraltro, d’inciso, come la stipula di un regolare contratto di lavoro costituisca, allo stato attuale della legislazione sull’immigrazione, la condizione principale per il rilascio del permesso di soggiorno; il che rende il lavoro, per lo straniero, un onere – più che un diritto – per acquisire la condizione di regolarità.

Il binomio popolo-sovranità, che emerge dal secondo comma dell’art. 1 Cost., ha, come si è potuto notare, per lungo tempo rappresentato uno degli argomenti più convincenti per escludere lo straniero dalla partecipazione politica265. La raffigurazione del

popolo quale insieme di cittadini uniti dall’idem sentire de

262 Cfr. L. VENTURA, Introduzione. Valori costituzionali ed unità

nazionale, in L. VENTURA-P.NICOSIA-A.MORELLI-R.CARIDÀ, Stato e sovranità,

cit., 7; ID., L'irriducibile crisi della democrazia repubblicana, cit., 570-571. 263 C. SALAZAR,Iprincipi in materia di libertà, cit., 20.

264 Cfr. F. SORRENTINO, Eguaglianza, cit., 26 secondo il quale

“l’espressione lavoratori diviene fungibile con quella di cittadini”; l’Autore, tuttavia, malgrado questa premessa, conclude di seguito nel senso che allo straniero sia precluso il diritto di voto (27-28).

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repubblica266 si è sovente tradotta, in modo pressoché automatico,

nell’affermazione secondo cui la sovranità spetta solo ai cittadini, che la esercitano mediante il voto. Sennonché, già la constatazione di una crisi nell’unità dei valori costituzionali che le moderne democrazie stanno vivendo267, basterebbe a dimostrare l’esigenza

di un ripensamento della categoria teorica del popolo – che oggi somiglia sempre più ad una “scatola vuota”268 –, che sia proiettata

verso il dato delle trasformazioni sociali. I concetti di popolo e di sovranità sono, in effetti, come si è già osservato, oggi categorie dogmatiche in crisi e, in ogni caso, affette ad una ambiguità palpabile269.

266 Cfr. T. MARTINES, Diritto costituzionale, cit., 142.

267 Cfr., per tutti, L. VENTURA, Introduzione. Valori costituzionali ed

unità nazionale, cit., 4 ss.

268 R. ROMBOLI, Problemi interpretativi della nozione giuridica di

popolo, in Riv. trim. dir. pubbl., 1/1984, 166 ss.

269 Come è stato da ultimo rilevato da A. ALGOSTINO, I diritti politici

dello straniero, cit., 173 ss., possono individuarsi al riguardo differenti posizioni

fondamentali. Alcune definizioni si fondano su un’assunzione “di principio” (173), e postulano o un legame con la cittadinanza (cfr. T. MARTINES, Diritto costituzionale, cit., 140; C. CERETI, Diritto costituzionale italiano, Torino 1971,

130; G. BALLADORE PALLIERI, Diritto costituzionale, Milano 1972, 11; U.

VILLANI,I diritti degli stranieri negli atti internazionali sui diritti dell’uomo, in

Studi senesi, 1/1987, 116; R. ROMBOLI, Problemi interpretativi della nozione giuridica di popolo, cit.,163) o, adottando un criterio più inclusivo, individuano

nella nozione di popolo “l’insieme degli individui che nel territorio dello Stato vivono stabilmente”. Altri, invece, muovono da un concetto di popolo “a posteriori”, come coloro i quali ritengono appartenere a questa categoria i titolari di diritti politici (H. KELSEN, Essenza e valore della democrazia, trad.

it., in La democrazia, Bologna 1981, 55), o come coloro che ritengono l’espressione popolo una formula aperta, che può essere soggetta ad una interpretazione evolutiva (G. ROLLA,Le prospettive dei diritti della persona alla

luce delle recenti tendenze costituzionali, in Quad. cost., 3/1997, 458. Altri

Autori, ancora, definiscono il popolo in relazione al concetto di sovranità, identificandolo con quell’entità che esercita la sovranità (C. MORTATI, Art. 1,

cit., 56 ss.; D. NOCILLA, Popolo (dir. cost.), in Enc. dir., XXXIV, Milano 1985,

99 Una interpretazione magis ut valeant delle disposizioni costituzionali sulla partecipazione politica può, peraltro, essere argomentata muovendo dalle tesi che definiscono la categoria del popolo in relazione all’esercizio della sovranità270. Come ha,

difatti, per primo magistralmente chiarito Vezio Crisafulli nella sua distinzione tra Stato-società e Stato-governo, la sovranità non è limitata alla sola funzione elettorale, essendo un concetto diffuso che si esplica nell’esercizio delle libertà politiche, quali l’associazione partitica, la riunione, la libera manifestazione del pensiero271. Se così è, la sovranità si frammenta in una pluralità

di canali di esercizio, “per riemergere concretamente nel momento dell’esercizio delle singole libertà costituzionali”272. Il corpo

elettorale si dissocia dal popolo, quale entità sovrana, e diviene una “proiezione soggettiva” della sovranità, assumendo i tratti di una figura “dai connotati fluidi”, mutevoli in relazione al mutare della nozione di sovranità273. La conseguenza di una simile

impostazione appare autoevidente: la dimostrazione che anche una sola delle libertà che costituiscono esercizio della sovranità popolare spetta allo straniero, equivale a superare l’assunto che vuole il cittadino il solo detentore della stessa274. E, se si considera

che gli stranieri sono ormai pacificamente implicati nell’esercizio

270 Cfr. A ALGOSTINO, I diritti politici dello straniero, cit., 176, nota 49. 271 Cfr. V. CRISAFULLI, La sovranità popolare nella Costituzione italiana

(Note preliminari) (1954), ora in ID., Stato, popolo, governo. Illusioni e delusioni costituzionali, Milano 1984, 436; per una posizione affine, cfr. T.

MARTINES, Diritto costituzionale, cit., 146 ss.; ID., Artt. 56-58, in G. BRANCA (a

cura di), Commentario della Costituzione. Le Camere, I, Bologna-Roma 1984, 72 ss.; L.VENTURA, La sovranità. Teorie giuridiche, cit., 35 ss.; contra C. MORTATI,

Art. 1, cit., 13 ss.; D. NOCILLA,Popolo, cit., 387. 272 M. CUNIBERTI, La cittadinanza, cit., 200. 273 M. CUNIBERTI, La cittadinanza, cit., 200. 274 M. CUNIBERTI, La cittadinanza, cit., 200.

100 delle libertà politiche lato sensu intese, si può inferire che lo straniero è già coinvolto nel discorso sulla sovranità275.

L’affermazione, supportata dall’art. 51, comma 2, Cost., per cui solo a favore degli italiani non appartenenti alla Repubblica è consentita una parificazione con il cittadino per l’ammissione alle cariche elettive, attribuisce, poi, un peso eccessivo all’original

intent, non tenendo conto del contesto storico-sociale in cui la

Carta è stata approvata.

L’interpretazione evolutiva della Carta, che occorre compiere stante la connaturale pretesa alla longevità che nutrono i testi costituzionali rigidi276, consente, tuttavia, di superare

questa obiezione. Difatti, era quasi normale che i Costituenti si ponessero solo il problema del voto degli italiani all’estero, trascurando quello degli immigrati, dal momento che, come si è già osservato, l’Italia era all’epoca un paese di sola emigrazione277.

L’argomento del voto dei cittadini all’estero, tradizionalmente utilizzato dalla dottrina come argomento a favore della revisione costituzionale, dimostra a sua volta l’inesistenza di limiti costituzionali all’estensione del voto agli stranieri. La revisione dell’art. 48, comma 3, Cost. e la previsione di meccanismi volti a garantire l’esercizio del voto ai cittadini all’estero avrebbe, per quella dottrina, suffragato l’idea del diritto

275 A conclusioni simili pare pervenire anche A. ALGOSTINO, I diritti

politici dello straniero, cit., 172 ss.

276 Ricorre all’uopo l’insegnamento di G. ZAGREBELSKY, La virtù del

dubbio, Bari 2007, 84,che ci ricorda come “le costituzioni si fanno nei momenti in cui i popoli sono sobri, a valere per i momenti seguenti, in cui possono essere ebbri (di potere, di passioni, di egoismi etc.)”.

277 Cfr. M. CUNIBERTI, La cittadinanza, cit., 384, secondo il quale,

peraltro, l’art. 51 Cost. si riferirebbe unicamente all’accesso alle cariche pubbliche e non alla totalità delle libertà politiche.

101 di voto come un “attributo della nazionalità”278. Nondimeno, una

simile affermazione appare – sia consentito – quanto meno miope, se si rimane coerenti con l’impostazione qui accolta, secondo cui il problema va affrontato alla luce del principio d’eguaglianza.

Una legge di revisione costituzionale – proprio perché tale – non sarebbe, difatti, legittimata ad introdurre una rottura (in senso peggiorativo) all’eguaglianza che non sia espressamente consentita dalla stessa Costituzione; che non sia, cioè, un’autorottura. Il che potrebbe in tesi suffragare un intervento della Corte costituzionale, volto a caducare una simile legge di revisione per contrasto con i principi supremi, se non fosse per la tradizionale ritrosia del giudice delle leggi alla caducazione di leggi di revisione costituzionale.

È più interessante rilevare, invece, come, per una strana eterogenesi dei fini, in realtà il novellato art. 48, comma 2, Cost. possa supportare proprio la tesi di uno scollamento del binomio cittadinanza legale-titolarità soggettiva dell’elettorato, se si considera che il legame tra la titolarità del voto e la residenza, che è in nuce allo stesso processo di integrazione europea, pare ulteriormente rinsaldato.

Come è stato, difatti, rilevato, la recente riforma costituzionale ha “scavato un solco profondo” tra i diritti di partecipazione politica dei cittadini residenti e quelli dei non residenti279, in quanto la riforma ha introdotto una

278 Cfr. T.E.FROSINI, Gli stranieri tra diritto di voto e cittadinanza, cit. 279 M. CUNIBERTI, Alcune osservazioni su stranieri, voto e cittadinanza,

102 “rappresentanza separata”280 per gli italiani all’estero rispetto a

quella dei residenti, come è emblematicamente dimostrato dal peso numerico di cui essi dispongono sotto il profilo del rapporto tra elettori ed eletti e, quindi, del grado di incidenza sul piano delle formazione della compagine parlamentare281. Il che

dimostra, in altri termini, come la creazione di un “autonomo circuito di rappresentanza, parallelo a quello previsto per i residenti”282, abbia determinato proprio il rigetto della concezione

nazionale della cittadinanza e, quindi, del voto, in favore di una

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