• Non ci sono risultati.

Le prime applicazioni della cittadinanza europea nella giurisprudenza comunitaria: verso una progressiva

PARTE SECONDA

4. Le prime applicazioni della cittadinanza europea nella giurisprudenza comunitaria: verso una progressiva

universalizzazione del principio della parità di trattamento

Benché, come si è visto, fosse ispirata ad un modello di solidarietà di tipo “occupazionale” o “categoriale”, la giurisprudenza analizzata nel paragrafo precedente ha, ad ogni modo, il pregio di aver contribuito, in modo determinante, alla diffusione di una prima forma embrionale di solidarietà orizzontale su scala transnazionale501. Difatti, se è vero che il

titolo di accesso transfrontaliero alle prestazioni di cittadinanza sociale rimaneva pur sempre legato alla funzione economica assolta dal migrante attivo all’interno del mercato, è altrettanto vero che il ventaglio di queste prestazioni sociali rispondeva comunque ad un’idea di solidarietà redistributiva e non esclusivamente commutativa.

500 Cfr. A. MORELLI, , Il carattere inclusivo dei diritti sociali e i

paradossi della solidarietà orizzontale, cit., 4 ss.

501 Cfr. J. HABERMAS,L’inclusione dell’altro.Studi di teoria politica,cit.,

192 In questo contesto si colloca, peraltro, l’entrata in vigore, nel 1992, con il Trattato di Maastricht, della cittadinanza europea. E, malgrado le reazioni non del tutto entusiastiche della dottrina502, essa ha contribuito in modo determinante alla

ridefinizione di un diverso background giuridico, che, come si avrà modo di vedere, sarà in grado di supportare un’evoluzione in senso vieppiù inclusivo della giurisprudenza della Corte di giustizia, fino alla creazione di un diritto di circolazione del cittadino europeo quasi incondizionato.

Per meglio comprendere gli effetti che a lungo termine l’entrata in vigore della cittadinanza europea ha portato con sé, occorre ricordare come, dopo Maastricht, le norme dei Trattati prevedessero ancora, per il cittadino appartenente ad uno Stato membro, un diritto di circolare e soggiornare solo apparentemente incondizionato, dal momento che esso veniva subordinato alle “condizioni e limiti” previste dai Trattati, la cui definizione in concreto, a ben vedere, finiva per consegnare al legislatore comunitario una discrezionalità di non poco conto503.

Tre direttive comunitarie del 1990, relative al diritto di soggiorno dei cittadini non economicamente attivi e dei rispetti familiari, subordinavano, peraltro, questo diritto alla condizione che ciascun migrante disponesse di risorse sufficienti, nonché di un’assicurazione di malattia che coprisse i rischi nello Stato ospitante, onde evitare che questi divenisse un onere eccessivo per

502 Cfr., per tutti, S. O’LEARY, The evolving concept of Community

Citizenship, The Hague-London-Boston, 1996. La critica più frequente era

quella secondo cui il neonato istituto non riusciva a spogliarsi del suo retaggio mercantile e ad affrancarsi dal modello del market citizen: cfr. S. GIUBBONI,

Diritti e solidarietà in Europa, cit., 178.

193 i sistemi di welfare504 dei diversi Stati membri. È evidente come

una simile normativa fosse ispirata ad un’idea “liberale”505

dell’integrazione, e, come è stato notato, anche l’espresso riferimento ai “doveri”, contenuto dalle norme dei Trattati506,

veniva sovente associato all’assolvimento degli oneri economici condizionanti l’esercizio della libera circolazione e soggiorno507.

Ciò nondimeno, non pare affatto casuale che i primi segni evidenti di un “cambio di paradigma”508 nel processo di

integrazione europea509, comincino ad intravedersi proprio

all’indomani dell’entrata in vigore della cittadinanza europea, e la sentenza Martinez Sala, del 12 maggio 1998, rappresenta, in effetti, la “prima rondine” di una simile trasformazione510.

504 Cfr. la direttiva 90/364/CEE, del Consiglio, 28 giugno 1990; la

direttiva 90/365/CEE, del Consiglio, del 28 giugno del 1990; la direttiva 90/366/CEE, del Consiglio, del 28 giugno del 1990.

505 L. APPICCIAFUOCO, Lo status sociale dei cittadini europei

economicamente non attivi: una “cittadinanza sociale di mercato europeo”?, cit.,

283.

506 Cfr. art. 20 TFUE.

507 Cfr. S. GIUBBONI, Diritti e solidarietà in Europa, cit.,184.

508 N. REICH, The Constitutional Relevance of Citizenship and Free

Movement in an Enlarged Union, in Common Market Law Review, 2000, 449.

509 Osserva L. APPICCIAFUOCO, Lo status sociale dei cittadini europei

economicamente non attivi: una cittadinanza sociale di mercato europeo?, cit.,

309 ss., come dalla direttiva n. 38/2004 emerga, soprattutto attraverso la previsione del diritto di soggiorno permanente, un nuovo approccio del legislatore comunitario, non più guidato unicamente dalla preoccupazione della realizzazione del mercato unico, ma proteso anche verso l’obiettivo del rafforzamento dell’integrazione sociale dei cittadini europei negli Stati membri ospitanti in vista, in definitiva, di sviluppare il senso di appartenenza all’Unione e dare forza al concetto di cittadinanza”. Sebbene il fatto che il permesso di soggiorno permanente testimonia come il cittadino comunitario si presuma ormai completamente integrato e, pertanto, non costituisca più un onere a carico dello Stato ospite.

510 La Corte di giustizia si trova a decidere sulla richiesta della signora

194 Il punctum pruriens della vicenda consisteva nel giudicare se il diritto comunitario e, in particolare, le norme sulla cittadinanza europea ammettessero il diniego, da parte di uno Stato membro, alla concessione di un’indennità di educazione per i figli in ragione della mancanza di un regolare documento di soggiorno. Occorre, peraltro, evidenziare che la controversa indennità di educazione familiare fosse a tutti gli effetti qualificabile come vantaggio sociale ai sensi dei regolamenti comunitari in materia, cosicché la stessa avrebbe dovuto avere, a stretto rigore, un ambito di applicazione limitato alle categorie dei

lavoratori migranti511.

La Corte di giustizia ritiene, nondimeno, violato il diritto comunitario e, segnatamente, il principio di parità di trattamento, osservando che un cittadino dell’Unione che risieda legalmente nel territorio dello Stato membro ospitante può avvalersi della parità di trattamento in tutte le situazioni rientranti nella sfera di applicazione ratione materiae del diritto comunitario512, e che,

pertanto, la richiesta, rivolta ad un cittadino di un altro Stato membro, di produrre una carta regolare di soggiorno rilasciata

ottenere un’indennità di educazione per il figlio, che le era stata negata dalle competenti autorità tedesche in ragione del fatto che la stessa non possedeva né la cittadinanza tedesca, né una carta di soggiorno. La ricorrente aveva, inoltre, cessato da tempo di svolgere un’occupazione stabile e, tuttavia, alla sua espulsione ostava l’adesione della Germania alla Convenzione europea sull’assistenza sociale e sanitaria, dell’11 dicembre 1953. In carenza di un valido titolo di soggiorno, le competenti autorità tedesche le avevano, pertanto, rilasciato un documento attestante la richiesta di proroga del permesso di soggiorno.

511 Cfr., in particolare, l’art. 4, n. 1, lett. h), del Regolamento Cee del

Consiglio n. 1408/71 e l’art. 7, n. 2 del Regolamento Cee del Consiglio n. 1612/68.

195 dall’amministrazione nazionale per poter beneficiare di un’indennità di educazione – mentre per i propri cittadini è sufficiente avere il domicilio o la residenza abituale –, costituisce una violazione del divieto di discriminazione in base alla nazionalità513.

Due profili su tutti emergono dalla sentenza Martinez Sala, sui quali ruoterà, poi, la successiva giurisprudenza comunitaria sulle prestazioni sociali dei cittadini economicamente inattivi. La Corte di giustizia, innanzitutto, approda ad una interpretazione a dir poco generosa del campo di applicazione ratione materiae del diritto comunitario: a stretto rigore, in effetti, l’applicazione del principio di pari trattamento si sarebbe dovuta escludere nella vicenda in esame, dal momento che la signora Martinez Sala aveva cessato di svolgere una stabile occupazione. Il che non preclude, ad ogni modo, alla Corte di mettere fuori gioco le norme contenute nei regolamenti comunitari per applicare direttamente, in luogo di queste, le norme dei Trattati e, segnatamente, quelle sulla cittadinanza europea, ossia quelle stesse norme di diritto derivato che erano state appena disapplicate in ordine all’ambito di estensione ratione personae. Queste norme, invece, rientrano in gioco, come criteri di collegamento, ai fini della determinazione del campo di applicazione ratione personae delle disposizioni del Trattato relative alla cittadinanza europea, ivi compreso il diritto alla parità di trattamento.

513 Cfr. punto 65. Ad avviso della Corte di Giustizia, pertanto, il Sig.

Baumbast, in quanto cittadino dell’Unione, che non benefici più della qualità di lavoratore migrante, può legittimamente invocare il diritto di soggiorno in virtù di una diretta applicazione dell’art. 18, n. 1, del Trattato Ce (punto 94).

196 Inoltre, e questo è il secondo profilo di interesse, la sentenza Martinez Sala realizza una importante inversione logica con riguardo al tradizionale rapporto intercorrente tra il principio della parità di trattamento e il diritto di circolazione e soggiorno dei cittadini inattivi. La Corte di giustizia, difatti, lascia intendere come il requisito della regolare residenza possa essere integrato alla luce del diritto nazionale – nella specie, di matrice internazionalistica – e non necessariamente di quello comunitario, con la conseguenza che la natura condizionata del diritto di soggiorno viene “neutralizzata” dal principio della parità di trattamento514.

Il reasoning della Martinez Sala viene in seguito ripreso ed approfondito nella sentenza Baumbast515, del 17 settembre

2002516. È, difatti, in questa sentenza che, per la prima volta, la

Corte di giustizia afferma, expressis verbis, la diretta applicabilità dell’art. 18, n. 1, del Trattato, relativo al diritto di soggiorno. Il che consente di completare il capovolgimento di prospettiva, già intravisto in filigrana in Martinez Sala, tra il diritto derivato e quello primario: il diritto di circolazione e soggiorno di ogni cittadino europeo trova, difatti, fondamento al livello primario e, al contrario, le sue limitazioni e condizioni devono essere operate nel rispetto dei limiti imposti dal diritto comunitario e in

514 Cfr. S. GIUBBONI,Diritti e solidarietà in Europa, cit.,187.

515 Avente ad oggetto la richiesta del Sig. Baumbast, per l’appunto,

volta ad ottenere un permesso di soggiorno nel Regno Unito, pur non possedendo più, questi, la qualità di lavoratore, né di soggetto titolare di altro diritto di soggiorno sulla base della normativa comunitaria

516 Nella successiva sentenza Trojani, la Corte di giustizia conferma

l’irrilevanza dalla natura comunitaria o nazionale del soggiorno per l’applicazione del principio di eguaglianza nel territorio dello Stati membro di residenza.

197 conformità ai principi generali del medesimo, con particolare riguardo al principio di proporzionalità517. Inoltre, tutti i diritti

soggettivi collegati al diritto di circolazione e soggiorno possono essere azionati direttamente dinanzi ai giudici nazionali, che hanno il compito di farli valere518.

Come si avrà modo di meglio mettere in evidenza a breve, una simile affermazione apre un importante varco in ordine agli sviluppi successivi della giurisprudenza comunitaria in tema di prestazioni sociali dei cittadini inattivi, dal momento che introduce un elemento di atipicità in tale contesto. Occorre, peraltro, rilevare come dalla sentenza Baumbast in poi la giurisprudenza comunitaria avrà modo di sottoporre ad un controllo più stringente di proporzionalità i presupposti per l’espulsione dei cittadini privi delle condizioni economiche imposte dalla normativa di diritto derivato.

Sulla più recente giurisprudenza europea in tema di diritto di soggiorno dei cittadini inattivi si tornerà a breve; basti qui solo ricordare come gli effetti della giurisprudenza Baumbast si siano cominciati a percepire, a ridosso di quest’ultima decisione, già

517 Con riguardo alla fattispecie concreta, la Corte di Giustizia osserva,

in primo luogo, come non sia contestato che il Sig. Baumbast disponga di risorse sufficienti e, in secondo luogo, come questi abbia svolto un’attività lavorativa tale da consentirgli di risiedere legittimamente per diversi anni sul territorio del Regno Unito. La sua famiglia ha, inoltre, risieduto nel corso di questo periodo nello Stato membro, ove è rimasta anche per il periodo successivo alla scadenza dell’attività lavorativa; e, infine, il Sig. Baumbast e la sua famiglia disponevano di una copertura assicurativa completa contro le malattie in un altro Stato membro dell’Unione (punto 92). Il che rende sproporzionato, per la Corte, il diniego dell’esercizio del diritto di soggiorno sulla base del rilievo per cui l’assicurazione contro le malattie non coprirebbe le cure di pronto soccorso prestate nello Stato membro ospitante (punto 93).

Outline

Documenti correlati