3. Il ‘confronto con la scienza’
3.2.4 L’epistemologia complessa di Morin
Il pensiero complesso proposto da Morin (in parte richiamato in precedenza) si fonda sulla possibilità di riconoscere e tenere insieme gli opposti: non una giustapposizione, né una separazione, bensì una possibilità che contempla antagonismi e complementarietà, separazione e unione, ordine e disordine. La riorganizzazione permanente di Morin presuppone un costante movimento tra ordine-disordine-organizzazione che caratterizza la realtà, la possibilità di conoscenza della realtà e la conoscenza della conoscenza. “Unità/diversità e ordine/disordine/organizzazione, che sono le condizioni stesse del nostro mondo e delle nostre esistenze, sono nello stesso tempo le condizioni della nostra conoscenza”.449 Una conoscenza, che per Morin, è traduzione (di segni/simboli in sistemi di segni/simboli e, quindi, idee, teorie), ricostruzione (ossia traduzione costruttrice a partire da principi/regole che permettono di costituire dei sistemi cognitivi), soluzione di problemi (a partire dalla soluzione del problema cognitivo dell’adeguazione della costruzione traduttrice alla realtà che si vuole conoscere).450 Tale conoscenza non può riflettere, quindi, direttamente il reale, ma solo “tradurlo e ricostruirlo in un’altra realtà.”451 Essa non riesce mai a esaurire il fenomeno che vuole conoscere e ogni pretesa di verità assoluta è impossibile: ogni impresa conoscitiva assume, pertanto, caratteristiche di parzialità rispetto al mondo e porta in sé possibilità di verità e insieme di errore.452
445 Idem.
446 R. Bhaskar, cit., pag. 88.
447 A. Sayer, cit., pag. 11.
448 R.Bhaskar, cit., pag. 89.
449 E. Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, cit., pag. 246.
450 Idem, pag. 50.
451 Idem.
Connessa a questa concezione è l’idea di un soggetto conoscitivo che fa parte di un mondo fenomenico che, a sua volta, fa parte del soggetto conoscitivo: ne deriva che il soggetto conoscitivo non è in grado di percepire un mondo fenomenico come indipendente da sé, il che non implica, secondo Morin, che tale mondo non abbia consistenza e indipendenza.453 Il mondo fenomenico è reale, ma “relativamente reale” e la stessa nozione di realtà richiede di essere relativizzata riconoscendo “l’esistenza di un’irrealtà interna”. In questo modo Morin prende le distanze tanto dal realismo ingenuo, quanto dal realismo critico e propone un “realismo relazionale, relativo e multiplo”454, che riconosce i limiti del conoscibile e le potenzialità conoscitive insite in questo limite.455
Ricorrono in quest’accezione della conoscenza i principi della complessità: il principio dialogico, che riprende la dialogica generale ordine/disordine/organizzazione, il principio ricorsivo (anello ricorsivo), secondo il quale “effetti o prodotti sono contemporaneamente cause o produttori del processo”e gli “stati finali sono necessari alla generazione degli stati iniziali”, il principio ologrammatico, che fa riferimento a un’“organizzazione in cui il tutto è nella parte che è nel tutto e in cui la parte potrebbe essere più o meno in grado di rigenerare il tutto”.456 “Se la conoscenza esiste, ciò dipende dal fatto che essa è, da un punto di vista organizzazionale, complessa”: è contemporaneamente aperta e chiusa, autonoma e dipendente ed esige “un pensiero complesso che “possa trattare l’interdipendenza, la multidimensionalità e il paradosso”.457
La complessità, pertanto, non si riferisce solamente agli oggetti di conoscenza, ma anche al metodo impiegato per conoscerli. E il pensiero proprio della conoscenza è, per Morin, un pensiero complesso, un pensiero che interconnette, che sostituisce alla causalità lineare una “causalità circolare e multireferenziale”, che alle rigidità della logica affianca la dialogica, capace di concepire complementarietà e antagonismo, che
453 Idem, pag. 240. In questa prospettiva oggettività e soggettività non possono esser concepite come derivanti da “due compartimenti distinti o da due fonti differenti”, poiché esse fanno parte di un “circuito unico”, un “anello generativo” cui possono essere ricondotti tanto il pensiero “empirico-razionale”, quanto quello “simbolico-mitico”. E. Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, cit., pagg. 190 e seg.
454 La relazionalità deriva, per Morin, “dall’indissolubile relazione soggetto/oggetto, mente/mondo”, la relatività è data “dalla relatività dei mezzi di conoscenza e della realtà conoscibile”; la molteplicità è determinata “dalla molteplicità dei livelli di realtà e, forse, dalla molteplicità delle realtà”. Idem, pag. 248.
455 Idem, pag. 248-9. Secondo Morin la conoscenza dei limiti della conoscenza “fa parte delle possibilità
della conoscenza“: ciò che permette la conoscenza, la limita e ciò che limita la conoscenza, la permette. (corsivo nel testo)
456 Idem, pagg. 108 e seg.
comprende la conoscenza dell’integrazione delle parti in un tutto e del tutto nelle parti, che “unisce, per tutti i fenomeni umani, comprensione e spiegazione”.458 È alla luce di questa idea di conoscenza che Morin mette in discussione l’idea di fondamento e la stessa idea di sapere disciplinare: se, da un lato, i principi della complessità escludono la possibilità di un fondamento unico, dall’altro la multidimensionalità dei fenomeni richiede un pensiero aperto, capace non solo di separare, secondo un criterio di specializzazione, ma anche di interconnettere. È alle possibilità offerte dall’apertura disciplinare, dall’interconnessione che possono esser ricondotti, secondo Morin, gli sconfinamenti dei problemi da una disciplina a un’altra, la circolazione dei concetti, la formazione di discipline ibride, che progressivamente si rendono autonome.459
Sottende a questa visione l’idea che le nozioni, lungi dall’afferire a una sola disciplina (o addirittura a una sola teoria), possono migrare e acquisire significato in altri campi disciplinari (anche attraverso il fraintendimento) nelle quali si radicano.460 Tale possibilità appare agevolata, secondo Morin, dalla definizione di oggetti e progetti aventi caratteristiche di inter-poli-transdisciplinarietà.461 Sarebbero questi oggetti/progetti che favorirebbero gli scambi generativi di nuove concezioni: attraverso di essi, infatti, diventa possibile unire ciò che era disgiunto, avvicinare ciò che appariva lontano, dando origine a ipotesi esplicative nuove.462 Il progresso scientifico risulterebbe, quindi, agevolato dalla rottura dell’“isolamento delle discipline”, dalla “circolazione dei concetti e degli schemi cognitivi”, dagli “sconfinamenti e interferenze”, dalla “complessificazione di discipline in campi policompetenti”, dall’“emergenza di nuovi schemi cognitivi e nuove ipotesi esplicative o infine… [dalla] costituzione di concezioni organizzatrici che permettono di articolare i domini disciplinari in un sistema teorico comune”.463 Nello stesso tempo un pensiero capace di non chiudersi nel particolare, ma di concepire gli insiemi apparirebbe, secondo Morin,
458 E. Morin, La testa ben fatta…, cit., pag. 95.
459 E. Morin, La testa ben fatta…, cit., pagg.112 e seg.
460 Idem, pag. 113.
461 E. Morin, La testa ben fatta…, cit., pag. 123. Nel riconoscere la polisemia dei termini, Morin offre alcune indicazioni di senso: in particolare attribuisce all’interdisciplinarietà tanto un significato di dialogo tra diverse discipline, quanto un senso di scambio e cooperazione, aspetti questi che consentirebbero all’interdisciplinarietà di originare “qualcosa di organico”. La polidisciplinarietà è intesa come “associazione di discipline in virtù di un oggetto o di un progetto”; la transidisciplinarietà farebbe riferimento a “schemi cognitivi che possono attraversare le discipline”. I complessi inter-poli-transidisciplinari, per Morin, peraltro, richiederebbero “un punto di vista metadisciplinare, dove il termine ‘meta’ indica superare e conservare”. Idem, pagg. 123-4.
462 Morin si riferisce, in questo caso, esplicitamente all’abduzione di Peirce
più adatto a favorire lo sviluppo del senso della responsabilità e del senso della cittadinanza, con evidenti implicazioni esistenziali, etiche e civiche.464