3. Il ‘confronto con la scienza’
3.3 Servizio sociale: scienza e/o arte?
C’è qualcosa di artistico nella scoperta scientifica e c’è qualcosa di scientifico in ciò che gli ingenui chiamano ‘geniali intuizioni dell’artista’”479
L’aver ripreso in questa sede, seppur sinteticamente, alcuni contenuti del pensiero scientifico permette di collocare il dibattito intorno alla scientificità del servizio sociale in un quadro più ampio, nell’ambito del quale la scienza stessa sembrerebbe cambiare statuto. In particolare il venir meno delle certezze della scienza positiva, l’emergere dell’imprevisto, la messa in discussione dell’idea di un fondamento del sapere (e la concomitante apertura al relativismo), il riconoscimento della complessità del reale (pur diversamente declinata) e l’idea di un sapere che si fa discorsivo costituiscono temi con i quali, nel corso del tempo, il servizio sociale ha
475 Idem, pag. 253.
476 E. Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, cit., pag. 256.
477 P. Jedlowski, Testo/discorso, cit., pag. 224.
478 Alla connessione tra pragmatica, etica e politica fa riferimento Lorenz nell’ambito della riflessione sulla comunicazione interculturale. L’autore, in particolare, sottolinea come l’isolamento di uno di questi elementi possa condurre a distorsioni, alienazioni, esclusioni. W. Lorenz, cit., pag. 139.
479 U. Eco, Sugli specchi e altri saggi. Il segno, l’interpretazione, l’illusione, l’immagine, Bompiani, Milano, 1985, pag. 169.
dovuto – e tuttora deve – confrontarsi per legittimare, secondo criteri di scientificità, i propri riferimenti teorici.
Fin dalle prime formulazioni teoriche (Richmond) sembrerebbe delinearsi uno scenario composito in cui coesistono elementi di scientificità (il metodo, l’esattezza della diagnosi) e di soggettività, particolarità, che rinviano a quella creatività (“arte”) che, nel prevedere un coinvolgimento e una non “neutralità”480 dello scienziato, sarebbe capace di invalidare l’attività scientifica o di determinarne l’errore.481 Non avulsa da preoccupazioni relative allo status professionale e accademico, la questione della scientificità appare strettamente correlata alla nozione di scienza ‘pura’482 e a un primato accordato alla razionalità nel modificare la vita delle persone483. Lo sforzo di “rendere comprensibile, comunicabile, replicabile la propria azione, giustificandone la validità e approntandone tecniche vieppiù efficaci”484 sembra, tuttavia, scontrarsi con una pratica fatta di “eventi unici”, incerti, imprevedibili, di fronte ai quali gli stessi professionisti faticano “a giustificare operazioni che essi stessi sono giunti a considerare di centrale importanza per la competenza professionale”.485
Il dibattito, ancora attuale e, per certi aspetti, urgente486, alterna posizioni che individuano una possibile coniugazione tra dimensione scientifica e creatività e posizioni in cui i due termini appaiono irriducibilmente contrapposti. A giustificare tale contrapposizione interviene, in particolare, una sottolineatura della razionalità tecnica (e una relativa aspirazione a essere annoverati nelle scienze considerate maggiormente prestigiose487), di matrice positivista, secondo la quale l’applicazione delle conoscenze (ordinate gerarchicamente in scienze di base, scienze applicate e perizie488) permetterebbe di risolvere i problemi, agendo tanto sulle cause (secondo una causalità
480 L’abbandono del “concetto di ‘neutralità’ dell’operatore e del ricercatore” in favore delle “capacità soggettive” costituisce, nel pensiero di Elisa Bianchi, un passaggio necessario al fine di “comprendere altre soggettività”. E. Bianchi, Fondamenti e sviluppi culturali del servizio sociale, in M. Bianchi, F. Folgheraiter (a cura di), L’assistente sociale nella nuova realtà dei servizi, F. Angeli, Milano, 1993, pag. 63.
481 Si richiama, a questo proposito, il pensiero di Merton. R. K. Merton, cit.
482 Il riferimento alla nozione di scienza ‘pura’ compare più o meno esplicitamente nella pubblicistica di servizio sociale in relazione alla dimensione scientifica dello stesso. A tale concetto, ad esempio, fa riferimento esplicito Campanini, mentre Fargion si richiama alla sociologia della scienza di Merton, Gui alla scienza positiva.
483 S. Fargion in A. Campanini (a cura di), Scenari di welfare…, cit., pag. 274.
484 L. Gui, Le sfide teoriche…, cit., pag. Ult. L. Gui, Teoria del servizio socale, in M. Dal Pra, Dizionario
di servizio sociale, cit., pag. 688. Ult. cit. in S. Fargion, in A. Campanini (a cura di), Scenari di welfare…, cit., pag.
485 D. Schon, cit., pagg. 46-7.
486 L’urgenza del dibattito viene sottolineata da Dal Pra in relazione ai mutamenti che hanno interessato la professione e la disciplina, oggi chiamata a definire con “maggiore chiarezza… [la sua] fisionomia scientifica”. M. Dal Pra Ponticelli, Nuove prospettive per il servizio sociale, cit., pag. 52.
487 D. Schon, cit., pagg. 53 e seg.
lineare), quanto sulla prevenzione (capacità predittiva).489 A questa prospettiva aderirebbero, secondo Fargion, tanto coloro che sostengono la necessità di una conoscenza scientifica per risolvere i problemi, quanto coloro che ritengono che la pratica del servizio sociale debba essere informata a un metodo scientifico.490 Similmente Parton e Kirk identificherebbero nell’opzione scientifica tanto un’idea di scienza a guida della pratica, quanto un’idea di conoscenza scientifica a garanzia dell’efficacia degli interventi, aspetto questo che implicherebbe la capacità, non scontata, di orientarsi in una pluralità di teorie e di utilizzarle in modo appropriato.491
Intrinseca alla posizione ‘scientista’ - che, nel servizio sociale può trovare esemplificazione nell’evidence based practiced, il cui sviluppo in Italia appare, peraltro, residuale492 - sarebbe la tensione a raggiungere la certezza, propria della scienza positiva, scarsamente sensibile, come già precedentemente osservato, alla mutevolezza dei significati in relazione ai diversi contesti culturali e semantici493 e scarsamente adattabile all’unicità delle molteplici situazioni della pratica professionale. La tendenza a riportare la pratica a situazioni standard indurrebbe a una sorta di riduzionismo, capace di eludere l’imprevisto, ma incapace, secondo Schon, di spiegare la competenza attivata dai professionisti in situazioni di elevata incertezza e inabilità, competenza che rimanderebbe, secondo l’autore, a “processi artistici, intuitivi”.494
Se la prospettiva ‘scientista’ tenderebbe a eludere l’imprevisto, quest’ultimo risulterebbe cruciale nella prospettiva ‘artistica’: una prospettiva che si focalizza sulla comunicazione e sui processi, sui significati che le persone attribuiscono ai loro problemi e sulle capacità di fronteggiarli, più che sulla ricerca di un rimedio efficace.495 In questa visione la conoscenza non rappresenterebbe una guida per la pratica, ma un
489 S. Fargion in A. Campanini, cit.
490 S. Fargion, Il servizio sociale…, cit., pag. 67.
491 N. Parton, S. Kirk, cit., pag. 28.
492 Sviluppato maggiormente nel contesto anglossassone e preferibilmente in ambito accademico, a riprova della separatezza tra ricerca e pratica propria di un approccio basato sulla razionalità tecnica (Schon), l’evidence-based practice (fondato sull’idea di poter pervenire a una ‘misurazione’ scientifica) sarebbe stato fortemente contestato da coloro che aderiscono al costruzionismo sociale, al pensiero postmoderno, da un lato, all’interpretativismo e al naturalismo, dall’altro. M. Payne, cit., pag. 223. In Italia questo filone non avrebbe avuto grande seguito per l’orientamento degli operatori a privilegiare le situazioni particolari, la personalizzazione e la concomitante distanza mantenuta dagli stessi operatori nei confronti di approcci improntati alla razionalità tecnica, ritenuti inadeguati a “cogliere il… significato profondo” delle situazioni. M. Dal Pra Ponticelli, Nuove prospettive per il servizio sociale, cit., pag. 57.
493 Le critiche allo scientismo formulate da Marradi vengono riprese nella pubblicistica di servizio sociale (es. L. Gui, Le sfide teoriche…)
494 D. Schon, cit., pag. 75.
supporto alla comprensione dei significati all’interno di un processo che, più che al contesto della “scoperta”, sembra afferire a quello della “creazione”.496
Le differenze tra le due prospettive, che rimandano alla già citata distinzione tra pensiero illuminista e pensiero romantico497, non sembrano richiedere necessariamente una declinazione dicotomica: “la possibilità di esser considerata una disciplina scientificamente orientata” non verrebbe inficiata, infatti, secondo Dal Pra, dall’integrazione tra la teoria per la pratica e la teoria della pratica, tra scienza e arte.498 “Si può contrapporre il pensatore all’artista. Ma si può anche supporre che essi coesistano potenzialmente in ciascuno di noi e che sarebbe il caso di farli dialogare”(Morin).499 In una prospettiva tesa a tenere insieme dimensione scientifica e artistica il rigore metodologico, proprio del pensiero scientifico, viene visto come una necessità per uscire dall’opinabilità, dalla discrezionalità, dall’autoritarismo, ma non come un elemento ostativo rispetto all’attenzione al particolare, all’unicità delle situazioni o allo sviluppo della componente creativa (intuito artistico)500. La “razionalità scientifica”, garantita un “procedimento metodologico riconoscibile ed esplicitabile” non esclude, quindi, la possibilità di un atteggiamento creativo, innovativo, incline alla sperimentazione (Dal Pra)501. Non avulsa da questa posizione sarebbe l’assunzione, più volte auspicata da Dal Pra, di un’ottica di ricerca, intesa come “atteggiamento scientifico” (Dal Pra) della comunità professionale volto ad accrescere conoscenze e abilità.502
496 S. Fargion in A. Campanini (a cura di) Scenari di welfare…,cit., pag. 73.
497 Si è già fatto riferimento alla distinzione operata da Gadamer e ripresa da Bhaskar, cui si richiama esplicitamente Dal Pra, e alla distinzione tra pensiero illuministico e romantico di Mannheim cui fa riferimento Fargion. M. Dal Pra Ponticelli, Nuove prospettive per il servizio sociale, cit.; S. Fargion, Il
servizio sociale…, cit.
498 M. Dal Pra Ponticelli, Nuove prospettive per il servizio sociale, cit., pag. 82.
499 E. Morin, Il Metodo 3. La conoscenza della conoscenza, cit. pag. 101.
500 Un’analisi delle diverse posizioni sul versante italiano è proposta da Campaninii. A. Campanini,
Servizio sociale e sociologia..., cit. pagg. 17 e seg.
501 M. Dal Pra, in G. Pieroni, M. Dal Pra Ponticelli, Introduzione al servizio sociale, Carocci, Roma, 2005, pag. 159.
502 M. Dal Pra Ponticelli (a cura di), I modelli teorici…, cit., pag. 21. Un analogo orientamento viene espresso, successivamente da Pieroni: in particolare l’autrice, riprendendo il pensiero di Capo (E. Capo,
La ricerca di servizio sociale: conoscere per meglio operare, in M. Cortigiani, L’assistente sociale e i
suoi campi di intervento, Phoenix, Roma, 2001), sostiene che “l’assistente sociale dovrà ispirare tutto il suo lavoro a una ‘mentalità di ricerca’ … intesa come base dell’esperienza” che, unitamente alle conoscenze teoriche, “consentirà… di operare sulla base di conoscenze ‘scientfiche’ e non fondate sul sentito dire o su impressioni superficiali”. G. Pieroni in G. Pieroni, M. Dal Pra Ponticelli, cit., pagg. 94-5. L’assunzione di un orientamento di ricerca, peraltro, è riconducibile al pensiero di Dewey e, in particolare, all’idea che l’atteggiamento scientifico, potenzialmente proprio di tutti gli esseri umani, sia espressione dell’intelligenza libera ed efficace. Secondo Dewey, infatti, una persona diviene soggetto conoscente grazie al suo impegno in “operazioni di ricerca controllata” (N. Abbagnano, pag. 254). Il pensiero di Dewey viene ripreso nel corso di questo lavoro; per la sintesi dello stesso si è fatto riferimento a: N. Abbagnano, Storia della filosofia. La filosofia dei secoli XIX e XX (Dallo spiritualismo
La “sistematicità” e il “rigore” del procedimento, proprio della dimensione scientifica, e la “creatività” e la “fantasia…necessarie per affrontare le imprevedibili e molteplici difficoltà” costituirebbero, quindi, secondo Ferrario, “due aspetti interessanti del servizio sociale, due anime da non perdere”.503 La loro coniugazione sembrerebbe esser favorita, in Ferrario come in Dal Pra, dalla “dimensione della ricerca”, intesa come “un’abitudine a considerare riflessivamente il proprio lavoro”.504
Più che una contrapposizione tra scienza e arte - o tra teoria e pratica - il servizio sociale italiano sembrerebbe esprimere una tensione a costruire una relazione mutuamente feconda tra i due termini: la reciproca implicazione, all’interno del medesimo modello teorico-operativo, di teoria per la pratica e teoria della pratica (secondo la distinzione mutuata dal mondo anglosassone505) sembrerebbe orientarsi in questa direzione. Tuttavia i diversi livelli in cui potrebbe esplicarsi la dimensione ‘artistica’ non sono privi di criticità. A un livello operativo il riconoscimento di un orientamento creativo-innovativo, ossia della capacità di “cogliere la situazione problematica”506 e di immaginare e realizzare (o “co-costruire”, a seconda degli orientamenti teorici507) percorsi inediti in situazioni complesse, contesti incerti e risorse
all’esistenzialismo), TEA, Torino, 1993, pagg. 246 e seg.; M. Dal Pra, Sommario di storia della filosofia, La Nuova Italia, Firenze, 1993, pagg. 371 e seg.; G. Reale, D. Antiseri, cit., pagg. 389 e seg.
503 F. Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale, cit., pag. 30. (corsivo nell’originale).
504 F. Ferrario, Le dimensioni…, cit., pag. 30.
505 M. Dal Pra Ponticelli (a cura di), I modelli teorici del servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1985, pag. 14. La teoria della pratica (practice theory), secondo la definizione che Dal Pra mutua da Curnok e Hardiker, è “una teoria operativa e metodologica che si fonda, per la maggior parte, su processi osservativi induttivi che originano una serie di enunciati ricavati da generalizzazioni empiriche. È il sapere che si ricava dalla descrizione e interpretazione della realtà operativa”. La teoria per la pratica, riconducibile a “un livello normativo del sapere”, fa riferimento alla costruzione di “modelli di analisi e di intervento per la pratica attraverso un confronto con le teorie idiografiche delle scienze sociali di riferimento nell’ambito di orientamenti nomotetici generali”. Idem, pagg. 14-5; ult. M. Dal Pra Ponticelli,
Lineamenti di servizio sociale, Astrolabio, Roma, 1987, pag. 79. La distinzione è richiamata ulteriormente in M. Dal Pra Ponticelli, Nuove Prospettive per il servizio sociale, Carocci, Roma, pag. 82. Alla medesima distinzione si richiamano inoltre: E. Allegri, Supervisione e lavoro sociale, NIS, Roma, 1997, pag. 14; ult. E. Allegri, Valutazione di qualità e supervisione, LINT, Trieste, 2000, pag. 60; ult. E. Allegri, Le rappresentazioni dell’assistente sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella narrativa, Carocci, Roma, 2006, pag. 30; A. Campanini, Servizio sociale e sociologia…, cit., pag. 68; ult. A. Campanini, L’intervento sistemico, Carocci, Roma, 2002, pag. 18; M. Diomede Canevini, E. Neve,
Servizio sociale, in M. Dal Pra Ponticelli (diretto da), Dizionario…, cit., pag. 590; I De Sandre, in E. Bianchi, A. M. Cavallone, M. Dal Pra Ponticelli, I. De Sandre, E. Gius, A. Palmonari, cit., pag. 91; L. Gui, Le sfide teoriche…, cit., pag. 26; ult. L.Gui, Teoria del servizio sociale, in M. Dal Pra Ponticelli (diretto da), Dizionario…, cit., pag. 691; A. Sicora, L’assistente sociale ‘riflessivo’. Epistemologia del
servizio sociale, Pensa Multimedia, Lecce, 2005, pag. 18.
506 M. Diomede Canevini, E. Neve, Servizio sociale, in M. Dal Pra Ponticelli (diretto da), Dizionario…, cit., pag. 595. La capacità di cogliere la situazione problematica, che per le autrici andrebbe rinvenuta nella componente artistica del servizio sociale, richiama quella capacità di ‘scorgere un qualcosa di nascosto’, proprio dell’atto di conoscenza inespressa, e di passare da una situazione indeterminata alla definizione di un problema (secondo il pensiero di Dewey). I temi saranno ripresi nel corso di questo lavoro.
507 Sebbene tutti i modelli teorico-operativi del servizio sociale prevedano un coinvolgimento della persona nella definizione del ‘problema’ e nella formulazione del progetto di intervento, il livello di
scarse (“capacità di scegliere fra diverse opzioni”508), apparirebbe non solo plausibile, ma anche auspicabile. Tale orientamento, infatti, darebbe concretezza a quei principi di individualizzazione e personalizzazione che, rifuggendo soluzioni precostituite, privilegiano percorsi flessibili, sperimentali, ritenuti maggiormente adeguati all’unicità della situazione particolare. Immaginare un livello operativo disgiunto dai riferimenti teorici, tuttavia, contraddice l’idea, appena richiamata, di una reciproca influenza tra teoria e prassi: lo stesso approccio al ‘problema’ e l’individuazione di percorsi e strumenti di intervento sono significativamente orientati dal (o dai, a seconda degli orientamenti) riferimento teorico prescelto. La creatività operativa, quindi, interrogherebbe il livello teorico sia a un livello di coerenza (del percorso e degli strumenti utilizzati rispetto al riferimento teorico), sia al livello della capacità della ‘teoria’ di fungere da guida per la pratica. In una prospettiva che intenda coniugare dimensione scientifica e artistica, questo interrogativo sembrerebbe rimandare a un’analisi del rapporto, forse non scontato e non lineare, tra teoria e pratica.
partecipazione sembra variare in relazione a diversi elementi (ad esempio il peso attribuito all’expertise professionale e il corrispondente riconoscimento di competenza in capo alla persona che si rivolge al servizio, la distribuzione, o condivisione, di responsabilità tra tutti i soggetti coinvolti nell’intervento, lo stile relazionale dell’operatore, il contesto operativo).
4. Il rapporto tra teoria e pratica