2. Il servizio sociale: progetto della modernità
2.7 Oltre l’ambivalenza
“La responsabilità di risolvere l’ambivalenza ricade, in ultima istanza, sulla persona confinata nella condizione ambivalente” (Bauman)
Mandato e legittimazione sembrerebbero, quindi, riproporre l’ambivalenza su cui si è edificato il servizio sociale. Un’ambivalenza che non sembra poter trovare una soluzione ‘esterna’, frutto di quella che Elias definirebbe una “regolamentazione dall’alto”310, ma deve essere necessariamente risolta, come rileva Bauman, da chi si trova nella posizione ambivalente.311 Sarebbe, quindi, proprio all’interno del servizio sociale che si dovrebbe rinvenire una possibilità interpretativa differente. E, in effetti, se è vero – e la pubblicistica specifica sembra dimostrarlo - che il servizio sociale si edifica sull’ambiguità del progetto della modernità e con essa si confronta, pare altrettanto vero che esprima costantemente la tensione a ‘risolvere’ l’ambivalenza: sarebbe così che nel
308 Il fatto stesso di essere nodo di una rete comunicativa conferirebbe, nell’analisi di Lyotard, alla persona (o al gruppo), anche se collocata in una posizione sfavorita, una qualche forma di potere. J. Lyotard, cit., pag. 32.
309 Merton riprende il pensiero di Simmel per sottolineare come qualsiasi relazione sociale, per quanto asimmetrica, in ordine a ceto, potere, influenza, sarebbe, comunque, ambivalente e comporti conseguenze per entrambi i soggetti in relazione. R. K. Merton, Teoria e struttura sociale. III Sociologia della
conoscenza e sociologia della scienza, Il Mulino, Bologna, 2000, pag. 969. Nell’affrontare la componente del dono, da diversi autori ripresa nell’analisi della relazione di cura, Sennett sottolinea l’importanza di mantenere le caratteristiche della reciprocità anche in situazioni di disuguaglianza. In questo modo la relazione reciproca si diversificherebbe tanto dallo scambio fondato sull’equivalenza (R. Sennett, cit., pag. 219), quanto dalla relazione di dominio, caratterizzata dall’”assenza di contropartita”. J. Baudrillard,
Power inferno, Cortina, Milano, 2003, pag. 67. Similmente Bauman sottolinea l’ambivalenza della bontà, generativa della solidarietà, da un lato, espressione di superiorità e distacco e, in ultima analisi, di scarsa empatia, dall’altro. Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, cit., pag. 284. Diverso è il concetto di reciprocità proposto da Folgheraiter. Intesa come “equità degli scambi di dare-avere tra parti in relazione”, in una condizione, cioè, in cui non è riconoscibile una “chiara differenziazione di ruolo”, la reciprocità costituisce, per l’autore, “una sorta di collante strutturale che ‘tiene assieme’ le inter-azioni sociali”. F. Folgheraiter, Le basi microsociologiche del lavoro sociale: la prospettiva relazionale, in C. Marzotto (a cura di), Per un’epistemologia del servizio sociale. La posizione del soggetto, F. Angeli, Milano, 2002, pag. 55. (corsivo nel testo)
310 N. Elias, cit.
linguaggio, prima ancora che nella concettualizzazione312, comparirebbe la nozione di complessità.313
“Il concetto di servizio sociale è complesso e va considerato nell’ottica della complessità”. (Lerma)314
“Complessità non è sinonimo né di complicato (che diventa, una volta ‘spiegato’, ricondotto al semplice), né di irriducibile (che genera confusione e senso di depressione per l’impossibilità di spiegazione”; ma, suggerisce Allegri riprendendo la definizione di Pardi e Lanzara, è “un principio metodico secondo il quale gli oggetti dipendono da altri oggetti, le relazioni da altre relazioni, i sistemi, infine, da un osservatore che non occupa più un punto di vista privilegiato…”315
Assumere la complessità implica rinunciare alle pretese di certezza e di ordine proprie della modernità e confrontarsi con “l’incertezza, il disordine, la contraddizione”316, implica considerare la relazione tra elementi, precedentemente separati, che, proprio in virtù di tale relazione, danno origine a “un’unità che riunisce ciò che è contraddittorio”.317 Nel sociale, in quello spazio ibrido, intermedio tra individuo e società pensato dalla modernità, si realizzerebbe, perciò, una relazione tra realtà complementari e, al tempo stesso, antagoniste.318 Impensabili in termini di “separazione” o “giustapposizione”, individualità e società costituirebbero, secondo
312 Il riferimento è alla ricorrenza nell’uso del termine complessità nella pubblicistica di servizio sociale. Va riconosciuto, peraltro, che il termine, se non sufficientemente definito, potrebbe esser ricondotto al concetto di “causalità multipla”, che “è favorevole alla conciliazione” e “vede qualcosa di positivo in tutti i punti di vista” e, in ultima analisi, evita una qualsiasi presa di posizione. R. K. Merton, cit., pag. 888.
313 Il termine complessità può essere inteso come “lo stato di un sistema caratterizzato da un numero tanto elevato di relazioni componenti tali che non si dà o non è reperibile un’unica descrizione del sistema stesso. Complessità è quindi sinonimo di irriducibilità a un unico criterio di indagine conoscitiva o di intervento pratico dato che una esplorazione di un sistema complesso chiama in causa e mobilita la comprensione di una pluralità di punti di vista, di prospettive esplicative, ciascuna adatta a rendere conto di aspetti particolari, i quali possono assumere un qualche significato entro una logica relazionale di carattere sistemico”. F. De Marchi, A. G. Ellena, B. Cattarinussi, Nuovo dizionario di sociologia, ed. Paoline, Milano, 1987.
314 M. Lerma, cit., pag. 27.
315 E. Allegri, cit., pag. 21. Ult. E. Allegri, Valutazione di qualità e supervisione, LINT, Trieste, 2000, pag. 63.
316 M. Lerma, cit., pag. 27.
317 N. Luhmann. Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna, 1990, pagg. 559 e seg. Secondo Luhmann solo nel momento in cui viene unito ciò che diverge, si contrappone, si forma una contraddizione e “solo la contraddizione trasforma ciò che in essa viene riunito in qualcosa di contraddittorio” (Idem, pag. 565). Ciò che si contraddice, quindi, è in qualche modo, già determinato, altrimenti non sarebbe possibile alcuna contraddizione: quest’ultima, peraltro, non svolgerebbe una funzione dialettica, ma andrebbe intesa in una prospettiva evoluzionistica (Idem, pag. 563). La soluzione di una contraddizione consisterebbe, secondo Maturana e Varela, ai quali è riconducibile il pensiero di Luhmann, “nell’uscire dal piano dell’opposizione e nel cambiare la natura della domanda passando a un contesto più ampio”. H Maturana, F. Varela, L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano, 1992, pag. 123.
318 Si potrebbe supporre che sia a questa relazione che faccia riferimento Payne quando sottolinea che nella modernità si sono create le condizioni, prima impensabili, per lo sviluppo del servizio sociale. M. Payne, cit., pag. 13.
Morin, “un doppio sistema dove in modo complementare e contraddittorio individuo e società diventano parte integrante l’uno dell’altra in un rapporto di simbiosi”.319 La complessità giacerebbe, secondo l’autore, proprio nella “combinazione individuo/società con i suoi disordini e le sue incertezze, nell’ambiguità permanente della loro complementarietà, della loro concorrenza e, al limite, del loro antagonismo”.320 In questa prospettiva, che delinea una relazione dialogica321, la stessa integrazione sociale emergerebbe da una costante oscillazione tra ordine e disordine, tra disorganizzazione e nuova organizzazione.322 Ordine e disordine, tuttavia, conserverebbero, tanto nella prospettiva di Bauman, quanto in quella di Morin, il loro carattere ambiguo: se l’ordine, nel suo strenuo tentativo di classificare, porta in sé il disordine, quest’ultimo favorisce la costruzione di un nuovo ordine e, nello stesso tempo, rimane disordine, con le sue potenzialità disgregatrici.323 “L’ordine umano comporta il disordine” e il disordine, in quanto minaccia all’ordine, viene, secondo Morin, “sia cancellato incessantemente attraverso l’organizzazione, sia recuperato e trasformato nel suo opposto (gerarchia), sia scaricato all’esterno (devianza) oppure mantenuto alla periferia”.324 Il disordine, quindi, conferisce alla società quel carattere complesso di “riorganizzazione permanente” all’interno della quale il cambiamento si produce, secondo Morin, “a causa di, con e malgrado” il disordine.325
“Ogni trasformazione è disorganizzatrice/riorganizzatrice. Scompone vecchie strutture per costituirne di nuove. Ogni innovazione trasformatrice è una devianza…” che de-regolamenta e propone una nuova regolamentazione: la regola consente la trasformazione e quest’ultima consente la regola, secondo un “principio dialogico”326,
319 E. Morin, Il paradigma perduto. Che cos’è la natura umana?, Feltrinelli, Milano, 1974, pag. 41. Il pensiero di Morin, cui si fa riferimento in questa sede, viene esplicitamente richiamato nella pubblicistica di servizio sociale. Si citano, a titolo esemplificativo, E. Allegri, Supervisione e lavoro sociale, NIS, Roma, 1997; ult. E. Allegri, Valutazione di qualità e supervisione, cit.; L. Bini, Documentazione e
servizio sociale. Manuale di scrittura per gli operatori, Carocci, Roma, 2003; A. Campanini, L’intervento
sistemico. Un modello operativo per il servizio sociale, Carocci, Roma, 2002; ult. A. Campanini, F. Luppi, Servizio sociale e modello sistemico. Una nuova prospettiva per la pratica quotidiana, NIS, Roma, 1988; M. Dal Pra Ponticelli in L. Gui, Le sfide teoriche del servizio sociale, cit.; ult. M. Dal Pra Ponticelli, Nuove Prospettive per il servizio sociale, Carocci, Roma, 2010.
320 E. Morin, pagg. 41-2.
321 La possibilità di alternare rapporti complementari e antagonisti caratterizza, secondo Morin, la relazione dialogica. E. Morin, Il metodo. L’identità umana, Cortina, Milano, 2002, pag. 32.
322 E. Morin, Il paradigma perduto…, cit., pag. 44.
323 Idem, pag. 45.
324 Idem.
325 E. Morin, Il paradigma perduto…, cit., pagg. 45 e 113 (corsivo nel testo). È esplicito nel testo di Morin il richiamo al pensiero di Maturana (Maturana H.R., Strategies cognitives, in Morin E., Piattelli Palmarini M., a cura di, L’unité dell’homme, Editions du Seuil, Paris, 1974).
326 Morin definisce il principio dialogico come “l’associazione complessa (complementare/concorrente/antagonista) di istanze, necessarie insieme all’esistenza, al funzionamento e
proprio della complessità, capace, per Morin, di tenere uniti complementarietà e antagonismi, di legare gli opposti.327
La complessità suggerisce un pensiero capace di congiungere ciò che è diviso e compartimentato, di rispettare il molteplice e l’unità, di riconoscere le interdipendenze328: una prospettiva che riconsidera il rapporto parte – tutto, inscrivendo il tutto nelle parti e le parti nel tutto. Si delinea, in questo modo, quella che Morin definisce un’“organizzazione ologrammatica” nella quale ciascuna parte può essere singolare, originale pur presentando le caratteristiche del tutto, può esser dotata di relativa autonomia e stabilire comunicazioni e scambi organizzativi con le altre parti, può eventualmente esser capace di rigenerare il tutto.329
Assumendo questa accezione del rapporto parte - tutto Morin non solo rivisita la relazione individuo-società (“ologrammatica, ricorsiva, dialogica”330), ma la stessa idea di conoscenza. Fenomeno multidimensionale, la conoscenza sarebbe stata frammentata, secondo Morin, nei diversi saperi disciplinari dall’organizzazione della conoscenza.331 La separatezza dei saperi, tuttavia, concretizzerebbe una sorta di riduzionismo che rende impossibile il confronto e la comprensione della complessità del reale. Ne deriva, per Morin, la necessità di superare la frammentazione attraverso una “dialogica ricorsiva”332 che separa e, contestualmente, unisce: in questo modo la conoscenza non si svilupperebbe solo per separazione e analisi, ma anche per interconnessione e sintesi, dando origine a un’“organizzazione che interconnette le conoscenze”.333 Si ridefinisce, così, la relazione tra sapere disciplinare e la più ampia conoscenza necessaria a rapportarsi alla realtà e, allo stesso tempo, si riconosce l’esistenza di discipline di confine (le”nuove scienze” di Morin), il cui sviluppo non pare riconducibile a una progressiva specializzazione settoriale, bensì alla poli o trans-disciplinarietà che rende possibile la connessione e la comunicazione tra ambiti disciplinari differenti.334
Il “pensiero del complesso”335 sviluppato da Morin sembrerebbe offrire, già attraverso gli elementi presentati finora, una chiave di lettura che permette non solo di
allo sviluppo di un fenomeno organizzato”. E Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, cit., pag. 108 (corsivo nel testo).
327 E. Morin, A. B. Kern, Terra-Patria, Cortina, Milano, 1994, pag. 148.
328 Idem, pag. 168.
329 E. Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, Cortina, Milano, 2007, pag. 112.
330 E. Morin, Il metodo 5. L’identità umana, cit., pag. 149.
331 Idem, pagg. 8 e seg. Ult. E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del
pensiero, Cortina, Milano, 2000.
332 E. Morin, Il metodo 3. La conoscenza della conoscenza, Cortina, Milano, 2007, pag. 115.
333 Idem, pagg. 19-20.
334 E. Morin, La testa ben fatta…, cit., pag. 21.
ricollocare le ambiguità del servizio sociale in una prospettiva evolutiva e trasformativa, ma anche di ripensare alle sue basi conoscitive e al rapporto tra esse e il pensiero scientifico. È attraverso il confronto con la scienza che il servizio sociale gradualmente definisce la propria specificità ed è sempre questo confronto che, in qualche modo, mette in discussione il sapere specifico del servizio sociale. Il confronto con il pensiero scientifico della modernità e con i suoi sviluppi successivi diventa, quindi, un passaggio ineludibile in una riflessione sulle basi conoscitive del servizio sociale.