2. Il servizio sociale: progetto della modernità
2.2 Le origini del servizio sociale
2.2.2 Questioni di genere
Nell’ambito del processo di professionalizzazione del servizio sociale non sembrano irrilevanti alcune caratteristiche del gruppo professionale. Benchè, come
181 L’esigenza della modernità di pervenire a un mondo ‘ordinato’ implica, secondo Bauman, “sbarazzarsi dell’‘impurità’, dell’‘opacità’, della ‘contingenza’ della condizione umana”. In questo modo, tuttavia, secondo l’autore, prima o poi si arriva a un verdetto secondo cui alcune persone meritano di vedersi negare l’aiuto”. Z. Bauman, K. Tester, Società, etica, politica. Conversazioni con Zygmunt Bauman, Cortina, Milano, 2002, pag. 60.
182 Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, cit., pag. 14.
183 Idem, pag. 17.
184 Idem.
185 Diagnosi e prescrizione costituirebbero, nel pensiero di Illich, i simboli del potere delle professioni. I. Illich et al., cit., pagg. 27 e seg.
186 D. Schon, Il professionista riflessivo. Per una nuova epistemologia della pratica professionale, Dedalo, Bari, 1993, pag. 295.
rileva Payne, gli approfondimenti relativi alle caratteristiche dei primi assistenti sociali si limitino alle figure di maggior rilievo187, pare incontestabile la dimensione di genere, con tutte le implicazioni che essa può aver avuto tanto nel processo di professionalizzazione, quanto nelle rappresentazioni del lavoro sociale.
La visione tradizionale di famiglia, che vedeva l’uomo impegnato nel lavoro fuori casa e la donna dedita alle mansioni domestiche e alla cura dei figli, propria dell’epoca moderna188, permeava il pensiero delle donne impegnate in attività filantropiche.189 L’attività volontaria, peraltro, rappresentava un’opportunità per innalzare il livello di istruzione e per avere, attraverso impegni esterni alla vita domestica, un “ruolo riconosciuto pubblicamente negli affari della nazione”.190 Nello stesso tempo era presente, almeno in una parte delle prime social workers, la consapevolezza dell’esclusione delle donne dalla vita pubblica: all’adesione ai canoni della famiglia tradizionale si affiancava quella ai movimenti riformisti e femministi dell’epoca in uno scenario difficilmente riducibile a una rappresentazione unica e omogenea.191 Altrettanto disomogenea risultava la percezione sociale del ruolo delle donne nell’ambito delle COS o del movimento dei Settlements: l’idea di un impegno delle donne verso i bisognosi veniva accettato dalla società dell’epoca192, che, tuttavia, appariva meno incline sia a riconoscere quest’attività come forma di lavoro retribuita193, sia ad accettare la presenza di social workers all’interno dell’ambito formativo accademico.194 Le modalità attraverso cui il servizio sociale si autodefiniva, diverse da quelle utilizzate da altre professioni, da un lato, lo scarso interesse per le persone e i
187 M. Payne, cit., pag. 5-6. La pubblicistica di servizio sociale, generalmente, fa riferimento a figure che, in qualche modo, hanno contrassegnato lo sviluppo della professione (in questa sede l’analisi è stata limitata a Richmond e Addams), mentre non vengono prese in considerazione le caratteristiche (es. estrazione sociale, appartenenze ideologiche, ecc.) di coloro che quotidianamente erano impegnate nel lavoro sociale.
188 Nella sua analisi Elena Pulcini sottolinea l’influenza del pensiero di Rousseau che, pur valorizzando la figura femminile e riconoscendo alla stessa un “potere di relazione”, di fatto relegava la donna in un ambito privato che veniva contrapposto a quello pubblico di esclusiva pertinenza maschile. E. Pulcini, Il
potere di unire. Femminile, desiderio, cura, Bollati Boringhieri, Torino, 2003, pagg. 59 e seg; pagg. 107 e seg.
189 M. Payne, cit., pagg. 15 e seg.
190 W. Lorenz, cit., pag. 46.
191 La pluralità sembra emergere dall’analisi proposta da S. Fargion, cit., pagg. 36 e segg.
192 Idem.
193 L. Dominelli, cit., pag. 77. La diversa percezione del ruolo della donna sembrerebbe esemplificare quell’“ambiguità” che permea, secondo Pulcini, la concezione della donna nell’epoca moderna. E. Pulcini, cit., pag. 59.
194 Emblematico, in questo senso, l’allontanamento di Jane Addams da contesto accademico, avvenuto dopo la prima guerra mondiale. A tale allontanamento Bortoli riconduce la “separazione fra il social work, come dominio femminile, e la sociologia, come dominio maschile”. B. Bortoli, Jane Addams…, cit., pag. 128.
problemi di cui il servizio sociale si occupava, dall’altro, rendevano meno agevole l’acquisizione di uno status di professione.195
La tensione verso tale riconoscimento avrebbe portato a un “ridimensionamento di tutti gli aspetti di coinvolgimento personale e affettivo” in favore di “neutralità scientifica presentata come ‘asessuata’”.196 Anche in questo caso, tuttavia, si possono cogliere delle difformità: all’orientamento ad adeguarsi a “stereotipi maschili”197 si sarebbe affiancata, infatti, una sensibilità verso le questioni di genere - e, più in generale, verso le discriminazioni - generativa di specifici filoni di pensiero e di azione. La tematizzazione della differenza all’interno del pensiero femminile, in particolare, avrebbe permesso di riconoscere le differenze di genere nella declinazione del lavoro di cura. Più orientato ai diritti e alla giustizia nel pensiero maschile, il lavoro di cura sembra assumere, nel pensiero femminile, la relazione (essere con l’altro198) e l’interdipendenza come elementi essenziali, capaci di originare un’etica della cura e della responsabilità.199 Prendendo le distanze da un’“etica universalistica”, che assegna priorità alla neutralità, imparzialità, razionalità, astrazione, oggettività, l’etica della cura propone di coniugare razionalità ed emotività, suggerisce un’apertura all’altro e, conseguentemente, conferisce primato alla comunicazione, all’interpretazione, al dialogo.200 In questa prospettiva la relazione di cura diviene essenzialmente “capacità di connettere, di mettere in relazione, legare”, che non esclude il suo opposto, (la
195 L. Dominelli., cit., pag. 77. Una riflessione analoga compare in Folgheraiter: in particolare l’autore evidenzia la correlazione tra lo scarso riconoscimento attribuito alla professione e lo scarso interesse per i problemi di cui il servizio sociale si occupa. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale…, cit., pag. 181-2.
196 S. Fargion, cit., pagg. 39-40.
197 Idem
198 L’espressione ‘essere con l’altro’ fa riferimento al pensiero di Heidegger, cui esplicitamente si richiamano le riflessioni intorno al lavoro di cura proprie del pensiero femminile. A titolo esemplificativo si citano. i contributi di Pulcini e Mortari richiamati nel presente lavoro. E. Pulcini, cit.; L. Mortari, C. Sità (a cura di), Pratiche di civiltà, Erickson, Trento, 2007.
199 Andrebbe ricondotta al movimento femminista la riflessione intorno alla diversa concezione del lavoro di cura nel pensiero maschile e femminile: in particolare le ricerche di Gilligan (In a different voice) sulle scelte morali avrebbero evidenziato una maggiore propensione del pensiero maschile verso i diritti e la giustizia e una maggior inclinazione del pensiero femminile verso i legami, le relazioni e le interconnessioni (etica della cura e della responsabilità). C. Leccardi, Responsabilità, in A. Melucci (a cura di), Parole chiave, Carocci, Roma, 2000, pag. 166. L’analisi di Gilligan viene ripresa da Pulcini (E. Pulcini, cit.). Alla distinzione tra un’etica di giustizia, che rifletterebbe l’impostazione morale kantiana e utilitaristica, e un’“etica della solidarietà” si richiama Banks. Nel riprendere l’analisi di Gilligan, Banks evidenzia come vi siano state delle perplessità in merito alla diffusione del pensiero dell’autrice, perplessità che paiono connesse alla possibilità di considerare l’etica della solidarietà di esclusiva pertinenza del mondo femminile. S. Banks, Etica e valori nel servizio sociale. Dilemmi morali e
operatori riflessivi nel welfare mix, Erickson, Trento, 1999, pagg. 39 e seg.
200 N. Parton in F. Folgheraiter, Servizio sociale postmoderno…, cit., pag. 67. Riconoscendo il divenire del Sé e quindi della stessa identità morale entro pratiche relazionali, Parton sottolinea il valore dell’accudimento nei termini di una pratica sociale per la quale sono necessari un “pensiero in situazione” e un’“etica in situazione”. Idem, pagg. 67-8.
separazione, il distacco), bensì lo assume come elemento costitutivo (alla pari dell’essere con)201. Si configura, così, una relazione che, proprio nel riconoscere e tenere insieme gli opposti, sviluppa la sua capacità trasformativa e generativa202: una capacità che non tende alla guarigione, secondo un modello medico, ma a un miglioramento della qualità della vita, secondo un concetto più ampio di benessere, non necessariamente ancorato alla patologia.203
Nel contesto italiano le riflessioni legate alle questioni di genere riprendono, seppur con alcune differenze, l’eterogeneità degli orientamenti: all’impegno sociale, proprio di alcuni gruppi di assistenti sociali, si sarebbe affiancato un orientamento più ‘operativo’, caratterizzato da una maggior disponibilità al fare e da una minor attenzione alla rielaborazione concettuale.204 Questo comportamento avrebbe prodotto una scarsa attenzione per la produzione scientifica da parte della comunità professionale (fatta salva una controtendenza dell’ultimo decennio205); nello stesso tempo avrebbe contribuito a creare, a livello di opinione pubblica, una sorta di deficit di visibilità del servizio sociale e delle problematiche che esso affronta, colmato, più frequentemente, da rappresentazioni altrui, spesso parziali, stereotipate o appiattite sulle immagini delle organizzazioni entro cui operano gli assistenti sociali.206
201 E. Pulcini, cit., pagg.70-1.
202 Idem, pag. 71.
203 F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva di rete, F. Angeli, Milano, pag. 35; F. Folgheraiter, B. Bortoli, Il lavoro sociale postmoderno: introduzione ai concetti, in F. Folgheraiter (a cura di), Il servizio sociale postmoderno. Modelli emergenti, Erickson, Trento, 2004, pagg. 18-9.
204 F. Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale, cit., pag. 29. La riflessione viene ripresa anche da Campanini. A. Campanini, Servizio sociale e sociologia: storia di un dialogo, LINT, Trieste, 1999, pag. 67.
205 Si fa riferimento, nello specifico, alla pubblicazione di testi di servizio sociale e non alle “pubblicazioni orali”, che, secondo la definizione di Merton, comprenderebbero corsi, seminari, convegni, ecc. R. K. Merton, Teoria e struttura sociale, Il Mulino, Bologna, 2000, pagg. 961 e seg. Un’analisi delle pubblicazioni orali, probabilmente, potrebbe mettere in luce la vivacità di un dibattito, solo raramente testimoniato da una traduzione di contenuti di convegni e seminari in testi scritti. La debolezza della produzione scientifica scritta da parte degli assistenti sociali viene messa in luce nell’indagine condotta da Tassinari sugli articoli comparsi su riviste di servizio sociale. A. Tassinari, Il
servizio sociale nella pubblicistica di un decennio, in S. Giraldo, E. Riefolo (a cura di), Il servizio sociale:
esperienza e costruzione del sapere, F. Angeli, Milano, 1996, pagg. 55 e seg. Al lavoro di Tassinari si richiama Fargion per argomentare la diversa possibilità di partecipare al dibattito teorico tra “chi opera sul campo” e “chi entra nel mondo accademico”. S. Fargion, I linguaggi del servizio sociale, Carocci, Roma, 2002, pag. 16.
206 E. Allegri, Le rappresentazioni dell’assistente sociale. Il lavoro sociale nel cinema e nella narrativa, Carocci, Roma, 2006. Ult. E. Allegri, (S)parlano di noi. Il sistema di tutela minorile su stampa e