2. Il servizio sociale: progetto della modernità
2.3 Il servizio sociale tra consensi e accuse
Pur avendo avuto un impatto significativo rispetto alle questioni sociali, l’origine del servizio sociale non sembra esser stata accompagnata da particolari consensi se a essi si attribuisce il significato di un indiscusso riconoscimento professionale. Nonostante una serie di eventi, tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900, che allineavano lo sviluppo del servizio sociale a quello delle altre professioni207, è opinione condivisa che il periodo di maggior consenso del servizio sociale sia coinciso con lo sviluppo, a partire dagli anni ’40, del welfare state. Riconducibile alle teorie economiche di Keynes e alle concettualizzazioni di Lord Beveridge, il welfare state viene considerato come il “punto di arrivo di un processo” (avviato con la nascita dello stato-nazione) che ha consentito di passare da uno stato liberista a uno stato assistenziale e, infine, a uno stato sociale208, la cui affermazione sarebbe strettamente connessa alle assicurazioni sociali obbligatorie e, in particolare, al passaggio da un criterio selettivo a uno universalistico.209
La locuzione ‘welfare state’ ha conosciuto, nel corso del tempo, declinazioni plurali, così come plurali appaiono i “regimi welfare” (Lorenz) – e le relative opportunità di cittadinanza sociale - risultanti dalle diverse configurazioni assunte dalle relazioni tra stato, mercato e società civile e dalla loro evoluzione nel corso del tempo.210
Seguendo un criterio evolutivo, Titmuss individua tre configurazioni (modello residuale, meritocratico-funzionale e istituzionale-redistributivo211), sviluppate in successione212: in questa prospettiva il modello istituzionale-retributivo costituirebbe la piena espressione dello stato sociale, cui si sarebbe pervenuti, secondo Titmuss, grazie
207 Secondo l’analisi di Wilensky, ripresa da Villa, lo sviluppo delle professioni seguirebbe “una tipica successione di eventi”, che, nel caso del servizio sociale, si sarebbero sviluppati tra la fine dell’800 e l’inizio del ‘900. Il lavoro sociale, in ogni caso, si configurerebbe come professione in sviluppo. F. Villa, cit., pagg. 169-170.
208 I. Colozzi, Le nuove politiche sociali, Carocci, Roma, 2002, pag. 13.
209 R. Maggian, G. Menichetti, La gestione dei servizi sociali, NIS, Roma, 1988, pag. 18; F. Girotti,
Welfare State, in M. Dal Pra Ponticelli (diretto da), Dizionario di servizio sociale, cit., pag. 781.
210 Per un’analisi più ampia si rimanda al testo di W. Lorenz., cit.
211 Si riportano, di seguito, le definizioni inglesi utilizzate da Titmuss per indicare i tre modelli: the residual welfare model of social policy, the industrial achievement-performance model of social policy, the institutional retributive model of social policy).
212 I. Colozzi, cit., pagg. 15-6; F. Franzoni, M. Anconelli, La rete dei servizi alla persona. Dalla
normativa all’organizzazione, Carocci, Roma, 2003, pag. 18; F. Girotti, Welfare State, in M. Dal Pra Ponticelli (a cura di), Dizionario di servizio sociale, cit., pagg. 779 e seg.; F. Villa, cit, pag. 132. Nel rielaborare questi modelli Donati ne avrebbe aggiunto un quarto, quello totale o della pianificazione statale, sviluppato, in particolare, dagli stati a regime socialista. I. Colozzi, cit., pag. 16; F. Villa, cit., pagg. 133-4.
alla diffusione, nel secondo dopoguerra, del consenso sociale rispetto a politiche sociali basate su criteri universalistici.213 Un’impostazione maggiormente descrittiva, secondo Colozzi, viene proposta da Esping-Andersen (modello liberale, modello conservatore-corportativo, modello socialdemocratico): centrale, nel suo pensiero, appare il concetto di demercificazione che avrebbe luogo “…quando un servizio viene assicurato in quanto corrispondente a un diritto, e quando una persona può disporre dei mezzi di sussistenza indispensabili senza doversi affidare al mercato”.214
Il riconoscimento dei diritti si sarebbe accompagnato, tuttavia, anche a una diffusione del controllo, attraverso “il rafforzamento di regole rigide e il potere crescente di professionisti e burocrati”.215 In questa prospettiva le stesse politiche di decentramento dei servizi (che hanno coinvolto in modo importante il servizio sociale) avrebbero assunto una connotazione ambigua, determinata dalla coesistenza, nell’idea di prossimità al cittadino, tanto di obiettivi di partecipazione, quanto di obiettivi di controllo più ‘leggero’ e, al tempo stesso, più capillare.216 Nel momento in cui le mutate condizioni politiche ed economiche hanno messo in discussione il welfare state (e la stessa configurazione di rapporti tra stato-mercato-società civile che lo sosteneva217) quest’ambivalenza sarebbe entrata a far parte delle più ampie critiche mosse ai sistemi di welfare. Nel loro complesso tali critiche apparirebbero riconducibili a quella che Lorenz definisce la “rottura di …compromessi”218, di natura politica, culturale, scientifica, su cui si era fondato lo stato-nazione e su cui lo stesso servizio sociale aveva costruito “le proprie caratteristiche metodologiche e i propri compromessi organizzativi”.219
213 M. Payne, cit., pag. 52.
214 I. Colozzi, cit., pag. 17.
215 Il pensiero di Saraceno viene ripreso da W. Lorenz, cit., pag. 78.
216 L’evoluzione delle forme di controllo porterebbe, secondo Foucault, a sviluppare modalità più ‘leggere’, ma, al tempo stesso, più pervasive. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Torino, Einaudi, 1977. A un concetto di redistribuzione del controllo in capo ai diversi soggetti della comunità, successivo ai processi di deistituzionalizzazione, si richiama Neve: l’autrice, in particolare, evidenzia come il controllo diventi “una componente intrinseca alle relazioni e al vivere sociale”. E. Neve, cit., pag. 187.
217 A essere messa in gioco sarebbe stata, secondo l’analisi di Lorenz, la capacità mediativa dello stato. W. Lorenz, cit., pag. 187.
218 La rottura rappresenterebbe “paradossalmente…il risultato della grande stabilità e del grande successo che le politiche di welfare hanno prodotto nell’economia di mercato”. W. Lorenz, cit. pag. 177. Un’analisi relativa al welfare state che riprende le idee di ricerca di “consenso sociale”, di “compromesso politco”, di “risposta riparativa” viene avanzata da Franzoni e Anconelli. F. Franzoni, M. Anconelli, cit., pagg. 19 e seg.
Identificato agevolmente, per quanto non pienamente coincidente220, con il sistema di welfare, il servizio sociale ha subito, in concomitanza con la crisi del welfare state, una significativa perdita di consenso, a testimonianza della natura storicamente contingente della professione221 e della sua maggior esposizione (rispetto ad altre professioni) ai mutamenti socio-politici ed economici. Le critiche, sia interne al gruppo professionale, sia provenienti dall’esterno, hanno investito sia la capacità del servizio sociale di rispondere ai bisogni e alle aspettative delle persone, sia la dipendenza dello stesso dagli assetti organizzativi, dipendenza percepita come adesione al progetto politico statale. In altre parole il lavoro sociale avrebbe rinunciato tanto agli aspetti emancipatori, quanto ad occuparsi delle cause strutturali dei problemi.222
I successivi sviluppi socio-politici ed economici, in particolare nei paesi anglosassoni, non sembrano aver agevolato una riaffermazione del servizio sociale. Al contrario essi hanno favorito l’introduzione nel servizio sociale di logiche di mercato che, unitamente all’enfasi posta sugli aspetti procedurali, hanno contribuito a contrarre l’autonomia professionale dei social workers223 e a indebolirne l’identità.224 Processi analoghi, anche se con connotazioni differenti e con espressioni più o meno accentuate, si sarebbero verificati in molti paesi europei, a testimonianza del legame tra servizio sociale, sistemi di welfare e il progetto dello stato-nazione.
La rottura degli equilibri che avevano reso possibile lo sviluppo del welfare state, tuttavia, non sembra aver implicato una scomparsa dello stato nell’ambito delle politiche sociali, bensì una ridefinizione del suo ruolo nei termini di uno dei partner possibili all’interno di un sistema plurale. Ed è forse la pluralità o, in uno stadio più avanzato, la frammentazione (cui andrebbe incontro il processo di progressiva specializzazione innescato nella modernità) che potrebbe offrire una chiave di lettura entro cui ricomporre i diversi processi che si intrecciano con gli sviluppi più recenti del servizio sociale.
Prima di affrontare questo aspetto pare opportuno aprire una parentesi e integrare gli aspetti finora proposti con quelli relativi alla nascita e allo sviluppo del servizio sociale italiano.
220 In proposito Lorenz osserva che se, da un lato, il servizio sociale ha contribuito a supportare il sistema di welfare, dall’altro avrebbe apportato degli aggiustamenti sulla base delle istanze provenienti dall’utenza. Idem
221 Idem, pag. 175.
222 L. Dominelli, cit., pag. 82.
223 L. Dominelli, cit., pagg. 88.
224 C. Hall, Postmodernismo e servizio sociale: quale futuro per la pratica professionale?, in P. Donati, F. Folgheraiter, (a cura di), Gli operatori sociali nel welfare mix, Erickson, Trento, 1999, pagg. 134-5.