2. Il servizio sociale: progetto della modernità
2.6 Mandato e ambivalenze del servizio sociale
L’analisi di alcuni passaggi che hanno caratterizzato la genesi e lo sviluppo del servizio sociale non ha pretesa di esaustività per quanto concerne il processo di professionalizzazione, né per quanto riguarda le possibili chiavi di lettura. Rappresenta, piuttosto, una possibilità interpretativa che sceglie di esplicitare – e, a volte, di enfatizzare - alcune criticità presenti nel servizio sociale. Ne sottolinea, in particolare, la “natura ambigua” (Parton), le “ambivalenze” (Fargion), i “compromessi” (Lorenz, Parton e Kirk)287 che, nel rendere più difficoltosa la definizione di un oggetto di lavoro (tuttora, all’occhio esterno, incerto e vago) e l’individuazione di una specificità disciplinare, avrebbero favorito una continua messa in discussione dello status di professione. Il dibattito intorno a questo tema potrebbe esser considerato, in un certo senso, emblematico delle contraddizioni proprie della modernità, del progetto di stato-nazione e della nascita stessa del servizio sociale come forma organizzata e scientifica dell’aiuto.288
A partire dalla domanda di Flexner “Is social work a profession?” (1915)289, diversi sono stati i dubbi rispetto allo status di professione, riconducibili,
286 In questo senso sembra di poter declinare il concetto di “competenza comunicativa” proposto da Lorenz. In particolare, secondo l’autore, “la pratica del servizio sociale, concettualizzato dal punto di vista della comunicazione, deve diventare la pratica della politica sociale compresa come cittadinanza sociale…”. Idem, pag. 21. Il pensiero di Lorenz sembra richiamare alcune osservazioni, ora critiche, ora propositive, che Bauman (al cui pensiero Lorenz fa esplicito riferimento nel corso del testo) sviluppa in relazione alla possibilità di riattivare il confronto in uno spazio pubblico (agorà). Z. Bauman, La società
dell’incertezza, cit.
287
N. Parton, P. O’ Byrne, cit., pag. 42; S. Fargion, Il servizio sociale…, cit., pag. 42; W. Lorenz, cit., N. Parton, S. Kirk, in I. Shaw, K. Briar-Lawson, J. Orme, R. Ruckdeschel, cit., pag. 25. All’ambivalenza del ruolo e all’ambivalenza della domanda si richiama Pittaluga per la quale “l’ambivalenza è alla base di tutte le relazioni di fiducia”. M. Pittaluga, L’estraneo di fiducia. Competenze e responsabilità
dell’assistente sociale, Carocci, Roma, 2000, pag. 26.
288 L’espressione, volutamente ambigua, fa riferimento all’utilizzo, nella pubblicistica di servizio sociale, di locuzioni quali “carità scientifica” (M. Payne, cit., pag. 34), “filantropia scientifica” (S. Fargion, Il
servizio sociale…, cit., pag. 9), “assistenza scientifica” (N. Parton, S. Kirk, in I. Shaw, K. Briar-Lawson, J. Orme, R. Ruckdeschel, cit., pag. 26), che rimandano a una relazione in cui gli elementi volontaristici e spontanei, propri dell’aiuto caritatevole e solidale, si coniugano con competenze specifiche di natura scientifica.
289 A. Campanini, Servizio sociale e sociologia…, cit.; M. Diomede Canevini, Storia del servizio sociale, in M. Dal Pra Ponticelli (a cura di), Dizionario di servizio sociale, cit.; S. Fargion, in A, Campanini (a cura di), Scenari di welfare…, cit.; N. Parton, S. Kirk, The nature and purposes of social work, in I.
sostanzialmente, a due aspetti: l’autonomia e la competenza. A esser criticata, nel primo caso, è stata la posizione intermedia occupata dal servizio sociale, riassunta nell’espressione “dual responsability” di Carr Saunders con riferimento alla doppia committenza, da parte dei cittadini e delle istituzioni. Una posizione che avrebbe limitato e, tuttora, limiterebbe l’autonomia dei professionisti, costretti ad adeguarsi alle regole imposte dal datore di lavoro (l’istituzione) rispetto al quale si trovano in posizione di subordinazione gerarchica290. A quest’argomentazione, ripresa successivamente da Etzioni291 e da Scott292, di per sé già sufficiente a considerare il servizio sociale una semi-professione, lo stesso Saunders ha aggiunto, come ulteriore elemento di deprofessionalizzazione, la tendenza alla specializzazione (in opposizione all’orientamento generalista delle origini del servizio sociale).293
Di diverso orientamento e, seppur in forme diverse, tutti riconducibili a una visione del servizio sociale nei termini di “professione in sviluppo”, sarebbero, secondo Villa, i contributi di Greenwood294, Friedlander, Hughes, Wilensky e Barber. Quest’ultimo, in particolare, avrebbe sottolineato la tendenza, propria dell’epoca moderna, alla professionalizzazione di tutte le occupazioni retribuite: la differenza,
Shaw, K. Briar-Lawson, J. Orme, R. Ruckdeschel, cit.; A. Perino, Il servizio sociale. Strumenti, attori e metodi, F. Angeli, Milano, 2010, pag. 17; F. Villa, cit., pag. 159.
290 F. Villa, cit., pagg. 161 e seg.; A. Campanini, Servizio sociale e sociologia…, cit., pag. 40.
291 Sottoposte ai vincoli organizzativi e a controlli più rigorosi, le semiprofessioni, secondo Etzioni, sarebbero costituite prevalentemente da donne, maggiormente disposte ad accettare forme di controllo amministrativo. Sempre secondo l’autore le semiprofessioni aspirerebbero a uno status di professione e ciò determinerebbe una sorta di disagio, oltre che un rifiuto verso coloro che detengono uno status di professione (F. Villa, cit., pag. 163). Il pensiero di Etzioni appare simile a ciò che Smelser definisce “ansia da status”, tipica dei ruoli intermedi, che spingerebbe i componenti del gruppo a professionalizzarsi, oppure ad abbandonare l’impiego, o, ancora, a cercare relazioni influenti per acquisire prestigio. N. Smelser, cit., pag. 492.
292 Benchè collocato all’interno dell’analisi sulle semiprofessioni, il contributo di Scott sembrerebbe sottolineare i vantaggi che deriverebbero all’utenza dei servizi dallo status di professione del servizio sociale. F. Villa, cit., pag. 163; A. Campanini, Servizio sociale e sociologia…, cit., pag. 41.
293 F. Villa, cit., pag. 162. Gli stessi elementi, ma con significato diverso, vengono ripresi oggi da Dominelli: l’inserimento nelle organizzazioni burocratiche costringerebbe gli assistenti sociali a confrontarsi con il personale amministrativo, numericamente più importante, limitando le possibilità di rivendicare condizioni di lavoro coerenti con il ruolo; la tendenza alla specializzazione e la concomitante parcellizzazione dei processi di lavoro comporterebbero una professionalizzazione dei livelli inferiori (che, per titolo di studio, avrebbero limitate possibilità di carriera) e una deprofessionalizzazione dei livelli superiori (cui sarebbe sottoposto anche il servizio sociale). L. Dominelli, cit., pag. Nell’analisi di Hall la specializzazione sarebbe, inoltre, fattore di indebolimento dell’identità del gruppo professionale. C. Hall, cit.
294 Nell’analisi di Greenwood una professione si qualificherebbe come tale per il possesso dei seguenti attributi ideal-tipici: corpo sistematico di teorie, autorità professionale, codice etico, sanzione da parte della comunità, specifica cultura professionale. All’analisi di Greenwood si richiamano esplicitamente: E. Allegri, Supervisione e lavoro sociale, NIS, Roma, 1997, pagg. 38-9; S. Banks, Etica e valori nel
servizio sociale, Erickson, Trento, 1999, pag. 69; A. Bartolomei, L. Passera, L’assistente sociale.
Manuale di servizio sociale professionale, Cierre, Roma, 2005, pag. 47; F. Villa, cit., pagg.166 e seg.; E. Neve, cit., pag. 20-1.
quindi, non giacerebbe nello statuto di professione, quanto nelle condizioni che permettono di esercitarla.295
L’idea di “professione in sviluppo” o di “professionalizzazione incompleta” non sarebbe, peraltro, da considerarsi negativamente, bensì da valutare in relazione alla specificità delle professioni sociali.296 Sarebbe, cioè, proprio la natura “sociale” che porterebbe le professioni sociali a non distanziarsi da quei processi sociali che, nel definire il benessere, l’integrazione, la solidarietà, ne specificano il mandato.297
Sul versante della competenza, a essere messa in discussione, da Flexner in poi, è la base teorica del servizio sociale: il servizio sociale, cioè, non disporrebbe di quel corpo sistematico di conoscenze che costituisce requisito indispensabile per esser considerato professione.298 Da questa considerazione sarebbe scaturita la tensione verso la scientificità e la strenua ricerca dei fondamenti teorici del servizio sociale, ricerca che, tanto nel pensiero di Banks, quanto in quello di Thompson (entrambi sostenitori dell’opzione scientifica più che di quella artistica299), si rivela fallimentare per l’impossibilità di ricondurre a un unico corpo teorico di conoscenze un lavoro che si caratterizza per l’eterogeneità di contesti, ruoli, compiti propri degli assistenti sociali.300 Inoltre il rapido mutamento dei contesti sociali e dei problemi cui il servizio sociale è chiamato a dare risposta avrebbe impresso un’accelerazione allo sviluppo del pensiero, impedendo il consolidamento di alcune prospettive teoriche.301
Considerate complessivamente le critiche apparirebbero fondate e, al tempo stesso, parziali: focalizzerebbero l’attenzione solo su una parte del lavoro sociale, senza cogliere il versante opposto, mentre il dibattito interno alla professione sembrerebbe fermarsi alle dicotomie che rendono ragione dell’ambivalenza. Entrambi questi modi di procedere sembrano soffrire del limite della scomposizione, della separazione: un limite
295 Il pensiero è ripreso da Villa. In F. Villa, cit., pag. 168.
296 W. Lorenz, cit., pag. 23.
297 Idem.
298 La “debolezza epistemologica”, secondo Folgheraiter, non può costituire l’unico elemento da cui far discendere uno scarso riconoscimento della professione. In proposito l’autore rileva come il disconoscimento potrebbe esser “la conseguenza di un debole mandato societario”, connesso anche alla collocazione marginale dei problemi di cui si occupa il servizio sociale, e della modalità con cui vengono organizzati gli interventi professionali. Ulteriore fattore di criticità è la prossimità dell’intervento professionale con compiti svolti comunemente dalle persone: in questo senso il lavoro sociale, secondo l’autore, “difetterebbe di esclusività”. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale. La
prospettiva di rete, F. Angeli, Milano, 1998, pagg. 181 e seg.
299 Il dibattito tra scienza e arte, cui si fa riferimento, verrà ripreso nel corso del lavoro.
300 S. Banks, cit., pag. 54-5; N.Thompson, Theorizing social work practice, Palgrave Macmillan, London, 2010, pagg. 3 e seg.
301 L’irriducibilità del servizio sociale a un’unica teorizzazione e la costante necessità di riadattarsi, riformularsi viene sottolineata da diversi autori di servizio sociale. Si cita, a titolo esemplificativo, E. Allegri, Supervisione e lavoro sociale, NIS, Roma, 1997, pag. 15.
che apparterrebbe, secondo l’analisi finora proposta, al bisogno di ordinare e alla contestuale riproposizione delle situazioni ambigue che l’ordine tenta di eliminare.302 A titolo esemplificativo si possono considerare le critiche mosse all’autonomia professionale. L’enfasi posta sulla dipendenza gerarchica non sembra tener conto delle diverse implicazioni della particolare “posizione di confine”303, occupata all’interno dell’organizzazione. Se è ben vero che tale posizione può rispondere a un’esigenza di controllo leggero e diffuso da parte dello stato, di cui il servizio sociale sarebbe espressione, è altrettanto vero che la posizione di marginalità, coniugata, in particolare, con la promozione di partecipazione (inclusa, ad esempio, nelle politiche di decentramento) assume un significato non univoco rispetto a un’istituzione, in particolare quella pubblica, sensibile al consenso come fonte di legittimazione.304 Il processo di progressiva pluralizzazione e frammentazione (dei bisogni, delle risposte e degli attori deputati a tale scopo) non avrebbe reso superflua la preoccupazione della legittimazione, bensì avrebbe trasformato le modalità attraverso cui essa può esser conseguita. Parcellizzazione del lavoro sociale, privatizzazione della solidarietà, responsabilizzazione delle famiglie, cui spetta di colmare il divario tra offerta dei servizi e bisogni delle persone, unite a un maggiore controllo, preferibilmente di tipo burocratico-procedurale, sull’operato del servizio sociale potrebbero costituire esempi di come lo stato continui a perseguire obiettivi di controllo e legittimazione, pur sottraendosi progressivamente a interventi diretti nell’area del welfare e, in ultima analisi, al confronto pubblico.
Posto a un “crocevia di relazioni che hanno diverse finalità”305, un “crocevia di mandati” (sociale, istituzionale, professionale)306, “caratterizzati da una contraddizione formale perché fondati sulla base di tre esigenze diverse”307, il servizio sociale si
302 Si rimanda all’analisi di Z. Bauman, proposta in precedenza.
303 Oltre al richiamo al contributo di Abbott, che definisce il servizio sociale “professione dei confini”, presente in diversi testi di servizio sociale (es. E. Allegri, (S)parlano di noi…, cit, pag. 245; S. Fargion, Il
Servizio sociale..., pag. 48), numerosi sono i riferimenti alla posizione di confine occupata dal servizio sociale (es. “gli assistenti sociali sono collocati a custodia dei punti di entrata” M. Pittaluga, cit., pag. 26).
304 Nella critica all’expertise professionale Illich evidenzia come per un certo periodo i politici abbiano sostanzialmente rinunciato al loro potere decisionale, affidando ai professionisti il potere di decidere sui bisogni delle persone. I. Illich et. al., cit., pag. 28.
305 F. Ferrario, Le dimensioni dell’intervento sociale. Un modello unitario centrato sul compito, NIS,Roma, 1996, pag. 104.
306 L. Gui, in F. Lazzari (a cura di), Servizio sociale trifocale, F. Angeli, Milano, 2008, pag. 183; ult. L. Gui (a cura di), Organizzazione e servizio sociale, Carocci, Roma, 2009, pag. 30; E. Allegri, Le
rappresentazioni dell’assistente sociale, Carocci, Roma, 2006, pag. 29; ult. E. Allegri, (S)parlano di noi.
Il sistema di tutela minorile su stampa e televisione, in Lavoro sociale, Erickson, Trento, n. 2/2011, pag. 245.
307 E. Allegri, Le rappresentazioni…, cit., pag. 33; ult. E. Allegri, (S)parlano di noi. Il sistema di tutela
troverebbe a dover coniugare istanze differenti e, a volte, antagoniste nello strenuo tentativo di legittimarsi e, al tempo stesso, nell’impossibilità di rinunciare a tale impresa. In altre parole le istanze di legittimazione del servizio sociale troverebbero una corrispondenza nelle istanze di legittimazione dello stato-nazione all’interno di un rapporto di potere308 che, più che simmetrico, sembrerebbe configurarsi come una necessaria reciprocità tra disuguali.309