• Non ci sono risultati.

Pluralità e frammentazione

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 55-59)

2. Il servizio sociale: progetto della modernità

2.5 Pluralità e frammentazione

La comparsa del plurale potrebbe apparire in contraddizione con le premesse della modernità: la capacità di evocare il disordine, infatti, potrebbe collocare il plurale in uno spazio antagonista a quel principio di ordine cui tendeva la società moderna. Tuttavia, proprio la tensione ad affinare i criteri che consentono di ridurre l’ambivalenza e a scomporre in parti semplici problemi complessi per poterli risolvere sarebbe all’origine del plurale o, più precisamente, della frammentazione.262 Scomporre, separare e ordinare (che significa anche rendere gestibile e controllabile) sarebbero funzioni proprie della modernità e la frammentazione ne costituirebbe il prodotto. Un prodotto che, nella prospettiva di Bauman, conosce il proprio limite nel rapporto con quella realtà che avrebbe la pretesa di governare e che, di fatto, si sottrae a questo processo di scomposizione.263 A venir messo in discussione, in questo caso, sarebbe quell’equilibrio tra universale e particolare, generato nella modernità, tanto a livello politico264, quanto a livello scientifico.265

“La crisi della modernità si caratterizza per la de-convenzionalizzazione e la pluralizzazione delle pratiche, delle conoscenze e degli organismi gestionali”266

Per quanto apparentemente astratto e lontano dalle prassi del lavoro sociale, il processo di frammentazione sembra avere delle precise ripercussioni nell’operatività. Il servizio sociale, infatti, si misura con gli effetti della frammentazione tanto nel lavoro individuale, quanto nelle prassi organizzative, quanto, ancora, in quella dimensione comunitaria, intesa sia come il ‘sociale’, sia come comunità professionale.267 A livello

262 Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, cit., pagg. 22 e seg.

263 Idem, pag. 23

264 Nell’analisi di Lorenz i compromessi su cui si fonda la modernità avrebbero in comune il fatto di stabilizzare “una particolare relazione tra universalismo e particolarismo al livello dello Stato-nazione. Lo Stato rendeva l’universale particolare… rendendo allo stesso tempo il particolare universale”. W. Lorenz, cit., pag. 181.

265 A livello scientifico verrebbero a cadere le pretese di verità universale della scienza e le metanarrazioni lascerebbero il posto a visioni parziali, contingenti. J. Lyotard, La condizione

postmoderna, Feltrinelli, Milano, 1981.

266 Gli autori si richiamano al pensiero di Wagner. N. Parton, P. O’Byrne, cit., pag. 45 (corsivo nell’originale)

267 Alla frammentazione, o meglio alla “disarticolazione delle coscienze” e della società e a un sistema di “welfare perfettamente snodato”, ovvero “dotato di sufficiente autonomia in ogni sua parte” fa riferimento Folgheraiter. In questa situazione, per l’autore, le professioni di aiuto perdono “l’ancoraggio esterno e… se lo devono trovare “dentro’”; “…il corpo sociale si ‘particolarizza’ e… perde il suo tradizionale collante sistemico”. F. Folgheraiter, Teoria e metodologia del servizio sociale. La prospettiva

di rete, F. Angeli, Milano, 1998, pag. 29. E, ancora, secondo Folgheraiter e Bortoli, nel differenziarsi dalla modernità, la postmodernità imporrebbe di “riconoscere la frammentazione delle percezioni e delle formule organizzative”. F. Folgheraiter, B. Bortoli, Il lavoro sociale postmoderno: introduzione ai

concetti, in F. Folgheraiter (a cura di), Servizio sociale postmoderno. Modelli emergenti, Erickson, Trento, 2004, pag. 14.

individuale le biografie personali sembrano diventare discontinue e le appartenenze, pure plurali, tendono a configurarsi come aggregazioni provvisorie.268 L’enfasi posta sulla libertà dell’individuo di autodeterminarsi e di compiere le proprie scelte sembra tradursi, da un lato, in una sorta di condanna a dover scegliere (che include anche le prestazioni assistenziali), dall’altro in un’accentuazione della responsabilità personale di successi o fallimenti a scapito di una visione che contempla l’influenza della dimensione strutturale nella scelta.269 La contingenza delle esperienze, la fragilità dei legami, la provvisorietà dei riferimenti, unite a richieste di flessibilità e di capacità di rinnovamento270 contribuirebbero a rendere più incerte quelle “province di significato” (Schutz) che orientano l’agire. Prima ancora che configurarsi come domanda di prestazioni, la domanda sociale si caratterizzerebbe, oggi più che in passato, come domanda di senso, spesso a connotazione esistenziale.271

“Ciò che si percepisce come disagio non riguarda più solamente l’assenza di beni materiali (povertà assoluta), né il mero raggiungimento dei livelli di reddito medio e di consumi (povertà relativa), ma l’insieme globale della esperienza soggettiva e dei significati che le persone attribuiscono ad essa, rispetto al contesto di relazioni in cui sono inserite”.272

Sul versante organizzativo la frammentazione sembrerebbe tradursi in una parcellizzazione del lavoro sociale attraverso meccanismi procedurali-burocratici.273 In particolare le importanti critiche all’operato dei servizi, scaturite da alcuni episodi eclatanti274, avrebbero messo in discussione le premesse scientifiche del servizio sociale, spingendo, da un lato, le amministrazioni a codificare le prassi di lavoro attraverso dettagliate procedure275, dall’altro gli assistenti sociali ad adeguarvisi al fine di eludere responsabilità e rischi. La “taylorizzazione del social work”, di cui, secondo

268 Esemplificativa, in questo senso, è l’espressione di ‘comunità piolo’ utilizzata da Bauman. Z. Bauman,

Voglia di comunità, Laterza, Bari, 2001.

269 U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000.

270 Le due espressioni fanno riferimento all’immagine di uomo flessibile di Sennett e a quella del giocatore di Bauman. R. Sennett, L’uomo flessibile, Feltrinelli, Milano, 2001; Z. Bauman, La società

dell’incertezza, Il Mulino, Bologna, 2000.

271 Emblematica, in questo senso, può essere la ricorrenza di questa espressione nei testi più recenti di servizio sociale. Si cita, a titolo di esempio e per le possibilità di confronto con i testi pubblicati in precedenza, M. Dal Pra Ponticelli, Nuove prospettive per il servizio sociale, Carocci, Roma, 2010.

272 L. Gui, Tre committenti per un mandato, in F. Lazzari (a cura di), Servizio sociale trifocale, F. Angeli, Milano, 2008, pag. 170.

273 Più che all’idea di burocrazia di Weber, la logica procedurale-burocratica richiamerebbe l’immagine della tecnocrazia di Foucault, cui il pensiero di Dominelli si richiama esplicitamente. L. Dominalli, cit.

274 In particolare in Gran Bretagna le critiche mosse al servizio sociale, soprattutto in ambito minorile, avrebbero indotto allo sviluppo di specifici codici procedurali, di cui il risk assessment costituirebbe la manifestazione emblematica. L. Dominelli, cit.; C. Hall, cit.

275 In uno sforzo di raggiungere l’oggettività le procedure si sarebbero progressivamente sostituite ai metodi. W. Lorenz, cit., pag. 194.

Dominelli, l’approccio competence-based costituisce un’espressione, avrebbe scomposto in “elementi precisi, discreti, separabili” (e controllabili) il processo di aiuto, di per sé unitario e caratterizzato da “compiti relazionali qualitativi complessi”.276 Nello stesso tempo la parcellizzazione del lavoro sociale avrebbe agevolato l’introduzione di prospettive manageriali. Finalizzato sostanzialmente al controllo, il managerialismo avrebbe indotto, da un lato, gli utenti a proporre realtà frammentate, dall’altro gli operatori a scegliere, sulla base di procedure codificate, a quale frammento dare risposta.277 Il controllo, anch’esso realizzato secondo uno spirito manageriale, avrebbe permesso, inoltre, valutazioni di qualità (dell’operato dei singoli operatori e dei servizi), centrate prevalentemente sull’efficienza.

Le influenze del pensiero manageriale, tuttavia, sembrano essere andate al di là delle singole organizzazioni e aver interessato la stessa dimensione comunitaria. La presenza in ambito comunitario di diverse titolarità sociali, portatrici di istanze di riconoscimento e protagonismo, avrebbe favorito la declinazione del welfare in un’ottica plurale, non necessariamente omogenea, che sembra essersi prestata, nel tempo, alla penetrazione di logiche economiche. In questa prospettiva l’offerta dei servizi pare inscriversi più agevolmente in un (quasi)mercato, in cui organizzazioni e associazioni assumono il ruolo di erogatori, l’utente si trasforma in un consumatore, dotato di “possibilità di scelta”278 (suo malgrado), e lo stato diviene l’acquirente dei servizi279, rinunciando, non solo, a quel ruolo dominante conosciuto durante il welfare state, ma anche a quel ruolo di mediazione e di garante.280

276 L. Dominelli, cit., pag. 88. Se il processo di taylorizzazione permetterebbe di scomporre il processo di aiuto, la progressiva fordizzazione consentirebbe di “rimuovere le competenze in capo all’operatore e infonderle nel macchinario con cui opera”. Si sposterebbe, in questo modo, la responsabilità dall’operatore agli strumenti della sua azione. Reso mero esecutore, l’operatore si troverebbe sempre più distante dal luogo (per Bauman la “sovrastruttura decisionale”) dove vengono prese le decisioni che richiedono una certa competenza. Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, cit. pag. 233.

277 L. Dominelli, cit., pag. 88. Sul tema si veda anche S. Fargion, cit.; W. Lorenz., cit.

278 Secondo Dominelli questa espressione avrebbe sostituito il concetto di empowerment. L. Dominelli, cit., pag. 86.

279 Idem, pagg. 83 e seg.

280 L’analisi di Fazzi e Gori mette in luce punti di forza e criticità del managerialismo. Tra i punti di forza vengono menzionati il ridimensionamento delle logiche politiche nella programmazione, che si caratterizzerebbe, pertanto, per maggiore trasparenza e linearità; l’introduzione di indicatori, standard, procedure e misure di performance che risponderebbero a logiche di trasparenza e oggettività; la valorizzazione del ruolo del cittadino, in contrasto a eventuali tendenze paternalistiche; il controllo sulle prassi e sui risultati che dovrebbe accrescere la produttività dei lavoratori. Tra le criticità gli autori ricordano l’imposizione di “forme di razionalità forti” non sempre adeguate ad affrontare situazioni complesse; l’enfasi posta sulla standardizzazione e la misurazione, che costringerebbe gli operatori a tradurre le “intuizioni” in forme oggettive misurabili; le concezioni sottese alla valorizzazione del cittadino, che farebbero riferimento a una società atomistica, composta da consumatori e non da co-produttori dei servizi, e a una dinamica contrattuale che, non tenendo conto delle specifiche problematiche, indurrebbe gli operatori ad atteggiamenti difensivi e a comportamenti rigidamente informati alle procedure. Inoltre l’enfasi sul controllo accentuerebbe la dimensione del risultato a scapito

L’assunzione di una logica manageriale, peraltro, non implica necessariamente una scomparsa dello stato, che, anzi, può mantenere e, addirittura, accentuare la sua funzione di controllo sul servizio sociale; è, piuttosto, il mandato di quest’ultimo che rischia di allontanarsi da “forme di controllo quantomeno democratiche, mediate e gestite dallo stato-nazione” e di avvicinarsi al “campo delle transazioni negoziate per via commerciale e, in ultima analisi, privata, che evitano la mediazione democratica.”281

Nel sistema inglese, inoltre, lo sviluppo del managerialismo ha portato all’introduzione di una nuova figura, il case manager, non necessariamente assistente sociale, incaricato di svolgere funzioni prima di pertinenza del servizio sociale, a testimonianza di quel progressivo spostamento di decisionalità dagli operatori a una “sovrastruttura” esterna dalla quale gli esecutori sono esclusi.282

Nel loro complesso i processi di frammentazione, burocratizzazione e l’introduzione di logiche manageriali avrebbero inciso sul servizio sociale in termini di contrazione dell’autonomia professionale e di parcellizzazione dei processi di lavoro, cui potenzialmente si connettono sia istanze di specializzazione, non sempre congruenti con l’orientamento della comunità professionale, sia una tendenza alla deprofessionalizzazione del lavoro sociale, capace di ridurre le basi scientifiche a procedure.283 Nello stesso tempo e in opposizione a queste tendenze sembrerebbero emergere una significativa attenzione ai riferimenti teorici del servizio sociale, un pensiero e una pratica maggiormente critici e riflessivi, una declinazione di ruolo capace di coniugare pratiche discorsive, maggiormente adeguate a relazioni abilitanti, e una dimensione politica, concepita nei termini di cittadinanza praticata (Lorenz).284 Sarebbe, in particolare, questa concezione di cittadinanza a permettere una nuova declinazione del ‘ruolo politico’ del servizio sociale e a configurarlo nei termini di “servizio pubblico”: una qualificazione che non deriverebbe dall’appartenenza istituzionale, né si esaurirebbe nella definizione dei destinatari e delle finalità285, ma chiamerebbe in causa

delle circostanze che lo hanno prodotto e delle conseguenze a lungo termine dello stesso. L. Fazzi, C. Gori, Managerialismo, in Lavoro Sociale, Erickson, Trento, n. 3/2003, pagg. 425 e seg.

In questa prospettiva potrebbe esser letto anche il contributo di Franzoni e Anconelli. La “maggior ‘frantumazione’ delle sedi decisionali”, secondo le autrici, porterebbe con sé il rischio di “non consentire un’effettiva unitarietà della rete dei servizi” e di “compromettere la garanzia di equità rispetto ai diritti di ciascuno”. F. Franzoni, M. Anconelli, cit., pag. 80.

281 W. Lorenz., cit., pagg. 191-2.

282 L. Dominelli, cit., pag. 86. Z. Bauman, cit., pag. 233. Un’analisi del managerialismo viene proposta anche da Fargion. S. Fargion, Il servizio sociale…, cit.

283 L. Dominelli, cit.

284 W. Lorenz, cit., pag. 101

285 Un’analisi di impostazione giuridica sul servizio sociale come servizio pubblico, nella quale si evidenziano finalità e destinatari è proposta in G. Garancini, La dimensione giuridica dei principi del

la capacità di promuovere il confronto in uno spazio pubblico, secondo i principi della partecipazione democratica.286

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 55-59)