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Promesse di scientificità

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 38-41)

2. Il servizio sociale: progetto della modernità

2.2 Le origini del servizio sociale

2.2.1 Promesse di scientificità

Se la modernità aveva creato le condizioni per la nascita del servizio sociale, il suo sviluppo, come professione “distinguibile dalle altre forme di welfare”158, richiedeva una differenziazione dalle attività filantropiche sulla base di quei criteri di razionalità propri dell’era moderna.

“La tensione verso la scientificità nel servizio sociale si sviluppa in effetti in contemporanea con il processo di professionalizzazione dello stesso”.159

“Il processo di professionalizzazione dell’aiuto corrisponde a una lettura del bisogno come fatto scientifico, oggetto di studio e di intervento ‘professionale, tecnico’…”.160

“Il servizio sociale, nella sua evoluzione, si è posto di fronte alla necessità di definirsi in quanto scienza e non solamente come attività creativa…”.161

“Per crescere nella modernità, il servizio sociale non poteva legittimarsi… se non confrontandosi con il nodo cruciale della scienza”.162

156 B. Bortoli, Jane Addams…, cit., pagg. 123 e seg.; M. Payne, cit., pag. 38.

157 Il riferimento è, in particolare, al casework. M. Payne, cit., pag. 38. Sarebbe stato, peraltro, proprio il casework a venir istituzionalizzato: tale passaggio sarebbe stato contrassegnato, secondo Dominelli, anche dall’ingresso delle teorie psicodinamiche nel servizio sociale. L. Dominelli, cit., pag. 78.

158 Idem, pag. 48.

159 S. Fargion in A. Campanini (a cura di), Scenari di welfare…, cit., pag. 274.

160 E. Neve, cit., pag. 44. Il corsivo è nell’originale.

161 A. Campanini, F. Luppi, Servizio sociale e modello sistemico. Una nuova prospettiva per la pratica

“La connessione tra servizio sociale e modernità rendono comunque quasi inevitabile il confronto con la scienza”.163

Dotarsi di un metodo che consentisse di pervenire alla “definizione più esatta possibile della situazione”164 non rappresentava, quindi, solo una modalità per sottrarre la valutazione alla discrezionalità moralista e inquisitrice dell’epoca e per evitare “una gestione autoritaria del ruolo”165, ma costituiva un passaggio obbligato per essere legittimati nella modernità e, nello stesso tempo, per legittimare l’assetto socio-politico dell’epoca.

“La razionalità… doveva informare di sé, in modo assoluto, i metodi e i principi applicati dai professionisti… e soltanto l’uso di questi metodi, sviluppati in un processo di riflessione sistematica e scientifica, poteva attribuire legittimità alla loro azione”.166

L’adozione di una prospettiva ‘razionale’ implicava una trasformazione dei bisogni delle persone in “fatti scientifici”167, non solo da indagare e studiare, ma soprattutto da trattare: “gestire in modo scientifico il materiale umano difettoso”168 avrebbe permesso di “trasformare gli individui devianti in cittadini accettabili”169, secondo le esigenze di ordine dello stato-nazione. “La modernità … esigeva regole e certezze per ‘capire’ il comportamento delle persone e ‘agire’ per adattarlo alle esigenze della società…”.170 Nell’ambito del servizio sociale questa prospettiva avrebbe indotto a privilegiare il casework171, a scapito del lavoro di comunità, e a sottolineare le responsabilità individuali piuttosto che le cause strutturali dei problemi sociali.172

La prospettiva scientifica, peraltro, non appariva priva di ambiguità per il servizio sociale: se, da un lato, l’attenzione alle situazioni particolari, propria del lavoro sociale, cercava di evitare stereotipi e categorizzazioni, dall’altro l’atto stesso di definire e nominare, secondo criteri di “normalità” riconducibili a “nozioni positivistiche di

162 L. Gui, Le sfide teoriche del servizio sociale, cit., pag. 23. Ult. L. Gui, Teoria del servizio sociale, in M. Dal Pra, Dizionario di Servizio sociale, cit., pag. 688.

163 S. Fargion, in A. Campanini, Scenari di welfare…, cit., pag. 275.

164 M. E. Richmond cit. in B. Bortoli, cit., pag. 272.

165 S. Fargion, in A. Campanini (a cura di), Scenari di welfare…, cit., pag. 275.

166 W. Lorenz, cit., pag. 47.

167 E. Neve, cit., pag. 38.

168 Z. Bauman, Modernità e ambivalenza, Bollati Boringhieri, Torino, 2010, pag. 45.

169 L. Dominelli, cit., pag. 74.

170 L. Gui, Le sfide teoriche del servizio sociale…, cit., pag. 57.

171 In ambito britannico e statunitense il lavoro sociale sarebbe stato legittimato e supportato finanziariamente dallo stato grazie al prevalere del casework e del lavoro delle COS. Attraverso questo passaggio, secondo Dominelli, il lavoro sociale sarebbe divenuto “una professione intrinsecamente subordinata alla pubblica amministrazione”. L. Dominelli, cit., pag. 75.

salute mentale e adeguamento sociale”, riduceva la possibilità di definizioni soggettive differenti173.

“Definire significa ‘attribuire un nome alle cose’, circoscrivere l’oggetto di analisi, evidenziare elementi di differenziazione”.174

“Dare un nome significa esercitare il potere di rappresentare e di includere (o escludere) in una certa categoria… Il collocare le persone entro categorie come ‘meritevoli’ o ‘immeritevoli’ è un esempio del potere di definizione”.175

“Non esiste potere più grande del diritto di definire i termini di un problema”.176 Il potere di definire, sulla base di una razionalità scientifica, distaccata e neutrale, chi doveva esser considerato meritevole di aiuto portava in sé il rischio di indurre le persone a mettere in scena di rappresentazioni che, nel loro complesso, secondo Sennett, hanno a che fare con “l’esposizione vergognosa”177, con quella mancanza di rispetto che, nell’accezione di Margalit, è rappresentata dall’umiliazione.178 L’evidente contraddizione della pretesa scientifica con i principi che hanno animato, fin dalle origini, il servizio sociale, tuttavia, non esaurirebbe l’ambivalenza evocata dall’atto di classificare: non circoscrivibile solo a un rapporto ambiguo tra scienza ed etica (per quanto non scontato e non eludibile), l’ambivalenza si inscriverebbe nello stesso atto di classificare, di voler, cioè, imporre al mondo un ordine “esclusivo e al tempo stesso comprensivo”.179

“Ogni volta che diamo un nome a qualcosa dividiamo il mondo in due”.180 E, tuttavia, proprio attraverso questa funzione ordinatrice, attraverso lo sforzo di pervenire a criteri sempre più precisi di classificazione, capaci di eliminare le posizioni

173 W. Lorenz, cit., pagg. 47-8.

174 E. Allegri, Valutazione di qualità e supervisione, LINT, Trieste, 2000, pag. 53. Similmente “Definire significa circoscrivere l’oggetto della trattazione, segnarne i confini”. E. Allegri, Supervisione e lavoro

sociale, NIS, Roma, 1997, pag. 11.

175 Nello sviluppare la nozione di potere Dominelli si richiama esplicitamente al pensiero di Foucault. L. Dominelli, cit., pag. 71. Nel pensiero di Foucault non vi sarebbe un centro di potere: il potere sarebbe insito nel discorso e da ciò deriverebbe la sua pervasività. H. Joas, W. Knobl, Social Theory, Cambridge University Press, 2009, pagg. 355 e seg.

176 J. Mc Knight, Assistenti sociali disabilitanti, in I. Illich et al., Esperti di troppo, Erickson, Trento, 2008, pag. 85.

177 L’esposizione vergognosa costituisce un concetto che Sennett riconduce esplicitamente al pensiero di Goffman e Foucault, R. Sennett, cit., pag. 172.

178 Il concetto di rispetto viene definito da Margalit in termini negativi, cioè come non umiliazione. La società decente, per Margalit, infatti, è la società le cui le istituzioni non umiliano le persone. Il rispetto che le persone si devono le une alle altre – su cui si fonda, per Margalit, la società civile – ha a che fare, nella prospettiva dell’autore, con il concetto di onore. A. Margalit, La società decente, Guerini e Associati, Milano, 1998, pag. 49 e pagg. 85 e seg.. Nella critica alle professioni e al sapere professionale il potere di definizione assumerebbe implicitamente l’incapacità della persona di definire il proprio problema e di trovarne una soluzione. J. McKnight, cit., pagg. 73 e seg.

179 Z. Bauman, cit., pag. 36.

marginali181 (quelle, cioè, di chi non è incluso in nessuna classe o di chi appartiene a più classi) si rivela, secondo Bauman, l’impossibilità del compito.182 Un’impossibilità che non deriva da un’insufficiente precisione nella definizione dei criteri, bensì dalla necessaria compresenza e dalla complementarietà dell’ordine e del suo opposto, il caos.183 L’epoca moderna descritta da Bauman sarebbe moderna proprio in virtù della separazione tra ordine e caos. Nello strenuo tentativo di stabilire l’ordine separandolo dal caos, la modernità lega inscindibilmente i due termini: l’apprezzamento della positività del primo è possibile solo attraverso il riconoscimento della negatività del secondo. “Senza la negatività del caos, non c’è la positività dell’ordine: senza caos, non c’è ordine”.184

All’interno questo progetto di ordine, intrinsecamente ambivalente, si sarebbero sviluppate le scienze moderne (e le professioni) e il patto che esse avrebbero stretto con il sistema politico. Le critiche successive, tese a demistificare l’expertise professionale e a svelare le collusioni tra potere politico e scienza, avrebbero portato a posizioni antagoniste (controprofessioni). In particolare la critica radicale avrebbe imputato ai professionisti di essersi arrogati il potere di definire realtà e i bisogni delle persone (diagnosi) e di prescriverne le soluzioni, sostituendosi tanto alla decisionalità personale, quanto a quella politica.185 Entrambe le posizioni (professioni/controprofessioni), tuttavia, apparirebbero, secondo Schon, mistificatorie e poco adatte allo sviluppo di quelle pratiche discorsive e riflessive che permettono di “aprire [la] conoscenza all’indagine”.186

Nel documento UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE (pagine 38-41)